Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Sotto il cielo del mondo

INCIPIT

Il giorno in cui nacqui scendeva un caldo vento da nord. Nessuno
riusciva a raccapezzarsene: “Dal nord arriva il freddo” dicevano. Ma
a quel vento non fregava niente di cosa pensassero gli esseri umani.
Lui soffiava come gli pareva.
Il giorno in cui venni al mondo mia madre morì. Fu così, come
gemmano i rami dopo l’inverno: prima la morte e poi la vita. Mia madre
morì che ero a mezzo percorso. I piedi nel mondo e la testa ancora
dentro di lei. Mi tirarono fuori a forza. Piansi per cercare aria. “Eccoti
qua” dissero. Nessuno pensò a dire “Benvenuto!” oppure “Buona
vita!”, d’altronde a chi sarebbe potuto importare di quel bimbo nato
da madre morta e padre disperso? Mi tagliarono il cordone senza troppe
celebrazioni. “Taglia che dobbiamo staccarlo dalla madre” dissero.
Così fecero. Semplicemente mi tennero in vita, appena nato da una
madre morta.
Quella stessa notte undici vacche del Giovanni si suicidarono gettandosi
in un dirupo sotto l’alpe Aspra. Le trovarono il mattino seguente,
accatastate l’una sull’altra a formare una collina di carne e
ossa. Il Piero, che fu il primo ad arrivare sul posto, mi raccontò che
con i raggi di sole di taglio che sbattevano sull’ammasso, quello sembrava
formare quasi un volto. Le zampe ritte in aria i capelli, una
schiena la bocca ghignante e due o tre musi fusi assieme dall’impatto,
formavano un naso bitorzoluto e un paio di buchi del culo erano gli
occhi. “Un cazzo di diavolo” disse il Piero.
Il giorno in cui venni partorito di mio padre nessuno ebbe notizia.
All’ospedale del capoluogo c’era zia Ines, la sorella del disperso. Fu lei
che mi abbracciò come una madre. Fu lei che mi diede il nome, dato
che mia madre quello suo se l’era tenuto segreto. Mi chiamò Alvaro,
come un cantante girovago che le aveva fatto girare la testa quando era
appena diventata donna. Quell’Alvaro si era presentato al paese pochi
giorni prima della Festa di San Valeriano, il 14 di aprile. In paese si
stava preparando la celebrazione del patrono. Era tutto un brulicare di
persone intente agli addobbi, alle luminarie per la processione notturna,
all’allestire la cucina da campo nel cortile dell’oratorio. Ognuno
con il suo mestiere se ne stava indaffarato ad abbellire quella manciata
di strade che chiamavamo generosamente centro paese. Nei giorni
di San Valeriano non litigava nessuno, era questo il grande miracolo.

Flavio Stroppini

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