Mi siedo al tavolo da pranzo e disegno una mappa dell’universo come mi appare in quel preciso istante. Il pianeta di Min, il pianeta di Cherkis, le stelle di Thebes e Logan, vaste e perigliose distanze galattiche nel mezzo. Stazioni spaziali nemiche sotto forma di affido familiare e un UFO, io. Min non vuole vedere i suoi figli. Non vuole vedere me. I suoi figli non chiedono altro che di stare con lei. Io rivoglio mia sorella. Cherkis avrebbe voluto stare con i suoi figli, ma Min l’ha fatto correre. Min ha minacciato di uccidersi se Cherkis si prende i figli, ma adesso, a quanto pare, vuol morire comunque.
In fuga con la zia, di Miriam Toews, Marcos y Marcos ed. 2009, traduzione di Claudia Tarolo
La ventottenne Hattie se ne è andata dal Canada per lasciarsi alle spalle una complicata storia familiare; è andata a Parigi dove per caso ha conosciuto Marc e con lui ha provato a vivere una storia d’amore, con scarso successo. La sua fuga però viene interrotta da una telefonata, che la riporta esattamente da dove è fuggita. Sua nipote undicenne Thebes la chiama perché la situazione familiare sta precipitando. La madre, Min – sorella di Hattie – è vittima dell’ennesimo episodio di depressione e il ricovero in una clinica psichiatrica è ormai imminente; chi si occuperà di Thebes e suo fratello Logan quindicenne, visto che il padre è stato cacciato dalla madre e i nonni sono passati a miglior vita? Ovviamente Hattie.
Comincia così il romanzo on the road di Miriam Toews, che porta in scena ancora un dramma familiare, una storia dove ritroviamo molti ingredienti cari alla sua vena narrativa: i rapporti familiari complicati da disturbi psicotici, il dilemma dei familiari di chi manifesta il desiderio di porre fine alla propria vita, gli adolescenti che cercano di rimanere a galla e di costruire la propria identità, la fuga – mentale e reale – dei padri, la famiglia spezzata e la complessa ricetta per sopravvivere a tutto ciò. Anche lo stile è quello che caratterizza in generale la prosa della Toews: divertente e drammatico allo stesso tempo, esilarante quando i personaggi tirano fuori le proprie stranezze e trovate folgoranti, doloroso quando gli eventi sono gravi, struggente quando nella mente sfilano i ricordi. Non è facile parlare di questi temi senza cadere nel patetico: Miriam Toews ci riesce molto bene, grazie al suo stile leggero e delicato, ironico e pungente, scevro da falsi moralismi e ben attaccato alla realtà.
Mentre Min viene ricoverata e chiede soltanto di morire, Hattie, immersa nel suo dolore e intenzionata a trovare soluzioni, non sa come potere maneggiare degli adolescenti, se non facendo appello alla sua di adolescenza, al ricordo di quanto anche per lei sia stato difficile venirne fuori preservando un buon equilibrio; decide così di partire con i ragazzi e il loro furgone sgangherato, alla ricerca del loro padre, Cherkis, per farsi sì aiutare affinché non vengano affidati ad estranei, ma soprattutto per riallacciare dei fili che sono stati tagliati – per volontà di Min quando i bambini erano piccoli – creando un vuoto affettivo.
In un certo senso, mi pare che il viaggio sia soprattutto ricerca: per Hattie, viaggiando tra presente e passato, tra l’oggi che incombe drammatico e i ricordi della sua difficile vita accanto alla sorella che da quando lei è nata non ha desiderato altro che morire. Per i ragazzi, la ricerca del significato di famiglia, intesa come legami, amore, presenza, un complicato meccanismo che deve comunque funzionare anche laddove gli schemi tradizionali sono superati.
Il viaggio come prova, ma anche come crescita di consapevolezze, come sfida ai propri limiti e voglia di superarli; per la zia e i nipoti è anche un modo per ritrovarsi e scoprire di potere contare gli uni sugli altri; per i ragazzi è la possibilità di avvicinarsi e imparare a rispettare le rispettive personalità. E che personalità! Due universi da esplorare… Thebes, creativa e curiosa di tutto, ha due occhi spalancati sul mondo: viaggia con un laboratorio artistico nel bagagliaio, un dizionario da cui legge parole e definizioni per interrogare sua zia, si lava poco e si strugge per la mamma. Logan rientra al cento per cento nell’universo adolescenziale: problemi a scuola a causa di strane storie che scrive, sbronze saltuarie con cui cerca di allontanarsi dai problemi che lo angosciano, cuffie in testa e musica a palla, dominio incontrastato del telecomando appena un televisore entra nel suo raggio d’azione. Il basket e la musica rock indie come rimedio per le frustrazioni.
Viaggio inteso anche come avventura: una traversata che dal Manitoba, Canada, li porta ad attraversare gli Stati Uniti del west, fino alla California, al confine col Messico, tra paesaggi sconfinati e cieli arrabbiati. Un percorso costellato di incontri con personaggi strampalati, benzinai e hippies, poliziotti e sfasciacarrozze; chilometri percorsi facendo tappa in squallidi motel e su campi da basket abbandonati, mangiando dalla borsa frigo riempita nelle stazioni di servizio. Arrivando a destinazione con scoperte sorprendenti.
Min, la loro madre, è un personaggio molto complesso, quasi letterario nelle analogie con la poetessa Sylvia Plath, e che ricorda molto la Elfrieda di “I miei piccoli dispiaceri”: da bambina ha perso la rotta quando è nata sua sorella e tra loro si è instaurato un rapporto difficile, caratterizzato dall’amore ma anche dal rifiuto da parte di Min, e dall’insicurezza di Hattie, che dubita da sempre che sua sorella volesse ucciderla, quando erano bambine. Il loro legame è però qualcosa che, come dire?, è nel sangue, scorre sotterraneo ma quando viene alla luce è cristallino.
(..) non mi toglievo dalla testa che Min mi volesse morta proprio per proteggermi da qualche terribile pericolo nella vita noto solo a lei, un destino peggiore della morte, come si suol dire. Che fosse la sua maniera, in effetti, di prendersi cura di me.
Min ha iniziato mille progetti ma non è mai riuscita ad andare oltre le prime fasi, perdendo presto entusiasmo e abbandonando ogni cosa. Creava e subito dopo distruggeva. Ha cacciato il padre dei suoi figli, si è ripiegata in se stessa ma alla fine, vedremo, sceglie di riprovare a tornare in vita.
Min (..) è una stella fioca e cadente, ma è viva. Non aveva amato tanto l’eclissi del sole quanto vederlo riapparire. se avesse voluto davvero, seriamente morire ci sarebbe riuscita da tempo. Ama il limite, sfiorarlo e tirarsi indietro. (..) Magari raggiungere il limite le dà l’impressione di avere compiuto un gesto straordinario, di aver dato uno scopo alla propria vita, non foss’altro che quello di prolungarla a dispetto di se stessa.
Un romanzo all’apparenza leggero e divertente, che invece mette sul piatto temi importanti, che si interroga sulle vie contorte da percorrere per aprirsi alla vita, che mette al centro di tutto affetti e legami familiari, perché – come già Toews diceva in “Un complicato atto d’amore” – l’amore dura più del dolore. L’amore è tutto.
Copio il link all’editore: http://www.marcosymarcos.com/libri/in-fuga-con-la-zia-2/
L’incipit potete leggerlo qui.