Ho supposto che avessero di nuovo rubato qualcosa alla Casa natale del maresciallo Tito – probabilmente qualcosa di grosso, visto che tutti gli oggetti piccoli erano già stati portati via. Ormai non era una novità. Anche noi ragazze ci vendicavamo dei serbi e dei comunisti scrivendo di tutto e di più nel libro dei ricordi della Casa di Tito, una volta ne hanno persino parlato in tv denunciando la devastazione del patrimonio culturale croato. Io avevo annotato: Compagno Tito, ti ringrazio per la bellissima cameretta che hai riservato a me, a mia madre e a mio fratello, marcisci all’inferno. (pag. 96)
Hotel Tito, di Ivana Bodrožić, Sellerio editore 2019, traduzione di Estera Miočić, pagg. 177
Il romanzo di Ivana Bodrožić racconta la storia di una famiglia come tante, sfollata da Vukovar al tempo dell’assedio serbo (1991) che, dopo aspri combattimenti, portò alla caduta della città e all’uccisione di migliaia di civili, prevalentemente uomini e ragazzi, ma non solo, che erano rimasti intrappolati o che si erano spontaneamente fermati, per difendere la città, le loro case, le loro attività.
La scrittrice ha attinto alla sua personale esperienza: anche lei di Vukovar (città croata vicino al confine serbo), era una ragazzina quando dovette sfollare insieme alla madre e al fratello; il padre, come accade alla protagonista del romanzo, rimase a combattere e fu disperso.
Il titolo in originale è Hotel Zagorje, che l’editore italiano – per rendere più esplicito a noi lettori italiani il riferimento – ha deciso di cambiare in Hotel Tito , nome utilizzato dagli sfollati per indicare la sede della ex scuola del Partito Comunista sita in Kumrovec, la città natale di Tito, nello Zagorje, dove venivano fatti alloggiare gli sfollati provenienti da Vukovar in attesa di una sistemazione definitiva.
Il racconto – condotto all’inizio nel linguaggio acerbo di una bambina di nove anni, per poi man mano evolversi in quello di una ventenne – prende avvio dal momento in cui, ormai resosi evidente il precipitarsi della situazione, i genitori mandano lei e il fratello sedicenne, insieme a centinaia di altri bambini e adolescenti, via dalla città di Vukovar. In breve, la maggior parte degli abitanti della città fu costretta a fuggire dai bombardamenti e dalle continue azioni di sfondamento dell’esercito serbo.
Mentre all’inizio, arrivati a Zagabria, sono accolti dai parenti a braccia aperte, con umana comprensione, col passare dei mesi la convivenza inizia a farsi più difficile e la sensazione di essere di peso diventa sempre più concreta. Dopo una serie di difficoltà, il nucleo familiare – come centinaia di altri – approda appunto all’Hotel Tito dove, tra speranze e disillusioni continue di ricevere una sistemazione migliore, trascorrono sette anni.
Io e la mia famiglia eravamo arrivati fra gli ultimi, perciò non conoscevo nessuno. Alla reception avevo visto molti bambini della mia età. Dopo due o tre giorni trascorsi nella mia camera, sono uscita fuori e ho iniziato a girovagare per i corridoi bui e freddi. L’edificio di cemento era enorme ed era facile perdersi. Era tutto buio, soltanto le camere avevano le finestre, e da questo buio ogni tanto spuntavano i visi dei vecchi che si muovevano in silenzio come fossero nelle catacombe. (pag.36)
Mentre altri sfollati riescono ad ottenere una pensione come sostegno per la morte dei padri, loro non lo possono ricevere perché il padre risulta disperso. Il cibo e il vestiario sono forniti dalla Caritas, e per racimolare qualcosa, la madre inizia a lavorare.
Ivana, la ragazzina, riesce a godere di due settimane di vacanza quando viene ospitata da una famiglia in Italia, a Mantova; nonostante la curiosità di vedere come vivono i ricchi italiani e i regali che la famiglia le fa, per lei è difficile superare la nostalgia della mamma e del fratello, come è difficile non sentirsi a disagio quando viene presentata come la “bambina jugoslava”. Nel momento stesso in cui le esce la frase “Croatia, no Jugoslavia, bambina Croatia”, si rende conto di essere fuori posto e che quegli italiani non sanno nulla di quanto sta avvenendo al di là del confine.
La vita nel casermone non è facile: sradicati dalle proprie case e abitudini, privati della loro vita, gli sfollati vivono in una specie di apatia, specialmente le persone più mature o gli anziani. Vivono nella snervante attesa di vedere un caro riapparire, di ottenere un alloggio dignitoso, di trovare un’occupazione che fornisca i mezzi per andare avanti. Anche per i ragazzi non è facile: la convivenza forzata e la mancanza di qualsiasi possibilità, rende tutto inarrivabile. Un paio di jeans, qualche maglietta, un motorino sono tutte cose che non possono permettersi e l’unico svago è riuscire a vedere qualche serie televisiva nella sala comune. Si vive come in un universo chiuso, un mondo a parte rispetto al fuori.
Mentre gli anni passano, continuano gli scambi di prigionieri tra Serbia e Croazia e la famiglia continua a sperare che il padre un giorno torni da loro. Intanto la protagonista cresce, diventa una adolescente; stringe amicizie con le ragazze che vivono all’Hotel Tito, iniziano i primi innamoramenti; grazie alle sue capacità, riesce ad entrare in uno dei migliori licei. Cresce in lei anche la consapevolezza del passato felice che non tornerà più; tornano alla mente i ricordi di quando viveva a Vukovar, il volto del padre, quello del nonno, morto in modo atroce; e poi la crudeltà del conflitto, l’insensatezza di una guerra che ha spazzato via migliaia di vite.
Hotel Tito è un romanzo che lascia il segno in chi lo legge. Una trasposizione in narrativa della cronaca di vita degli sfollati dalla città di Vukovar che diviene emblematica di tutte le migrazioni forzate dai territori in guerra. Attraverso il linguaggio e lo sguardo di una adolescente, possiamo provare a capire il senso di spaesamento, il malessere legato al fatto di essere guardato dal paese o dalla città ospitante come un povero sfigato, e nello stesso tempo quasi come un parassita che vive di assistenzialismo. Quella difficile condizione in cui si è perso un passato che non è diventato futuro, e si vive un presente il cui futuro è incerto.
Vi segnalo questo articolo apparso su East Journal a firma Matteo Zola, che spiega in modo dettagliato le dinamiche relative al conflitto attorno alla città di Vukovar..
Vi suggerisco anche l’articolo apparso su Doppiozero, a firma Nicole Janigro.
Questo l’ho letto subito appena uscito perché amo le edizioni Sellerio e poi il titolo mi intrigava e come dici tu mi ha segnato davvero! Come sempre una recensione coi fiocchi con cui concordo totalmente!
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Grazie Matilde, le tue parole mi rincuorano sempre !!!
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Penso sempre quello che scrivo!!’🌺🌸
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