Anche se spesso si tende a confondere e avvicinare i due generi, in realtà non coincidono del tutto, né nella forma, né nei contenuti. In generale, possiamo dire che l’autobiografia differisce dal memoir nel senso che un’autobiografia copre tutti gli eventi della vita del narratore in ordine cronologico, con rigore, mentre un memoir – termine legato al ricordo – parla di un’esperienza di vita reale dell’autore, che ha una lezione o un messaggio da condividere con i lettori. Vediamo più nel dettaglio le differenze.
La memorialistica è un genere letterario che consiste nella raccolta dei ricordi di un determinato protagonista (memorie). Argomento di un memoriale possono essere sia i ricordi che hanno segnato l’esistenza di una persona sia gli avvenimenti che hanno segnato l’esistenza di un popolo, anzi spesso si tratta di una combinazione di questi. Un memoriale può essere espresso sia in prosa sia in poesia.
La scrittura in forma di memoria può anche essere un espediente narrativo adottato da un autore per dare forma letteraria a un’opera d’invenzione.
Mentre l’autobiografia assume interesse per un personaggio di rilievo (storico, letterario, scientifico, ecc.) la memoria può essere interessante anche quando proviene da personaggi comuni, dal momento che essa attinge valore dal suo essere testimonianza di un’epoca, di un ambiente sociale, di un periodo storico, di un costume linguistico.
Ne sono validi esempi le memorie scritte da spettatori minori di eventi storici, come persone comuni, soldati semplici, servitori di personaggi storici, vittime o superstiti di eventi storici, deportati in lager e gulag ecc.
Mentre l’autobiografia deve rispettare gli eventi, deve ricostruire i fatti, e quindi esige un riscontro oggettivo tra realtà e scrittura, per il memoir non è così. Perché la memoria, più che ai ricordi reali, è legata all’emozione vissuta e dunque ciò che conta è la verità emotiva, non la verità fattuale. Scardinare la verità oggettiva e usare la memoria emotiva permette di muoversi avanti e indietro nel proprio tempo interiore, per creare legami e associazioni spontanee che ricostruiscono gli eventi non nella loro esattezza storica, ma per ciò che hanno significato.
Un’altra forma letteraria che si avvicina al memoir è il diario: questa è una forma narrativa in cui il racconto – reale o di fantasia – è sviluppato cronologicamente, spesso scandito ad intervalli di tempo regolari, solitamente a giorni. Il diario è, in poche parole, un testo in cui vengono annotati avvenimenti personali e importanti per ciascuno di noi, insieme a fatti più generali. Dal punto di vista della tipologia testuale è la forma che di solito rivela la parte più intima dell’autore. Chi scrive lo fa per puntualizzare a sé stesso ciò che gli sta accadendo in quel periodo; il destinatario può essere o il diario stesso o un amico immaginario. Questa forma può assumere delle caratteristiche specifiche, e sfociare ad es. nel diario di viaggio o nel diario di bordo.
Le autobiografie, dicevamo, raccontano vite di persone che hanno avuto un ruolo e una notorietà nel mondo politico, dello sport, della cultura o dello spettacolo. Si tratta di un genere che esercita notevole appeal sui lettori e infatti, non a caso, queste pubblicazioni le troviamo nelle parti alte delle classifiche di vendita. Il personaggio del momento, manco a dirlo, si traduce a breve giro nell’uscita delle sua autobiografia e il successo è garantito. Ma, in generale, questo genere è capace anche di portare sul mercato vite straordinarie, vite di persone che hanno inciso sul percorso sociale, politico e artistico dell’umanità. Inoltre, non dimentichiamoci che ha degli antenati molti illustri… La letteratura moderna nasce tanto dall’invenzione e dalla leggenda (Odissea e affini), quanto da confessioni (Da Sant’Agostino in poi) in cui l’io è diventato il personaggio principale. Raccontare in prima persona è una tecnica antica che è giunta con successo fino ai giorni nostri perché aiuta a sospendere l’incredulità del lettore suggerendogli che quanto viene raccontato sia accaduto davvero. Ma quello che oggi appare come il tratto caratteristico più nuovo e trasversale geograficamente, è il romanzo in cui lo scrittore stesso diviene personaggio: tra i casi più recenti possiamo citare Le otto montagne di Cognetti o i vari romanzi di Annie Ernaux. Per approfondire questi aspetti vi consiglio la lettura di questo articolo di Giacomo Papi su Il Post.
Veniamo dunque al memoir, il genere su cui ci focalizziamo oggi, per fornire qualche spunto di lettura non scontato a chi vuole immergersi in una lettura più intimistica e personale perché i memoir offrono all’autore l’occasione di raccontare parti della sua vita e di fare riflessioni a ruota libera su temi sociali, sulle relazioni interpersonali, sull’arte, insomma su tutto ciò che incide sulle nostre vite.
Partiamo con questo abbagliante e commovente memoir. Se a metà degli anni ’50 ti trovavi a vivere a Leechfield, era molto probabile che a un certo punto della vita avessi commesso qualche sbaglio, o che non avessi colto un’occasione, o che magari ti fossi rassegnato. Non c’erano molte altre ragioni per abitare nella cittadina petrolifera più piccola, brutta, provinciale, puzzolente e sperduta del Texas orientale. A Charlie Marie queste cose erano capitate tutte e tre, ma Mary Karr, sua figlia, lo avrebbe scoperto solo molto più tardi, e dovevano passare ancora molti anni prima che si sentisse pronta a raccontarlo in questo memoir. D’altronde c’erano cose più urgenti di cui occuparsi per una bambina di cinque anni: come nascondere le chiavi dell’auto per assicurarsi che l’ennesima sbronza della mamma non si traducesse in un incidente mortale, o correre al bar per ascoltare le storie alcoliche che il papà raccontava ai colleghi della raffineria. C’era un sacco da fare insomma, senza contare quelle che davanti alla polizia venivano definite “discussioni familiari” ma che sarebbe stato più esatto chiamare esaurimenti nervosi, incendi e sparatorie.
Il club dei bugiardi è la storia di una famiglia disperata e felice, di un’infanzia difficile e consapevole, di uno dei tanti sogni americani che ogni giorno cadono a pezzi. Ma soprattutto è la storia memorabile di come si possa sopravvivere a tutto questo. Per raccontarlo.
Con la maturità e la grazia di chi si è lasciato la sofferenza alle spalle e senza mai perdere lo sguardo meravigliato dei bambini, Emma Reyes traccia a parole un delicato dipinto in cui la malinconia fa sorridere e la Colombia del passato sembra dietro l’angolo. È una storia universale e senza tempo quella di Emma Reyes, la pittrice colombiana la cui vivacità narrativa era tanto amata da García Márquez, che la incoraggiò a scrivere. Come senza tempo sono i ricordi d’infanzia: nelle ventitré lettere scritte dal 1969 al 1997 all’amico Germán Arciniegas, Emma racconta, con voce tenera, nostalgica e autoironica insieme, di quando era bambina. Di quando, con la sorella Helena, poco più grande e come lei figlia di una relazione illecita, viveva senza padre né madre in una stanzetta nella periferia di Bogotà e costruiva pupazzi di fango in una discarica, con i bambini del quartiere.
Da lì a una casa coloniale, da una bottega del cioccolato a un teatro con una pianola, dalle cure brusche della Signorina María a quelle delle suore in un convento di clausura: il tutto tra abbandoni e scoperte, confondendo lavoro e gioco, squallore e poesia, preghiere e paure. La piccola Emma non sa nulla del mondo, ma ha un coloratissimo universo interiore di cui questo «memoir per corrispondenza» è testimonianza preziosa.
Tara, la sorella e il fratello sono nati in una famiglia di mormoni anarco-survivalisti delle montagne dell’Idaho. Non sono stati registrati all’anagrafe, non sono mai andati a scuola, non hanno mai visto un dottore. Sono cresciuti senza libri, senza sapere cosa succede all’esterno o cosa sia successo in passato. Fin da piccolissimi hanno aiutato i genitori nei loro lavori: d’estate, stufare le erbe per la madre ostetrica e guaritrice; d’inverno, lavorare nella discarica del padre, per recuperare metalli. Fino a diciassette anni Tara non ha idea di cosa sia l’Olocausto o l’attacco alle Torri gemelle. Con la sua famiglia, si prepara alla prossima fine del mondo, accumulando lattine di pesche sciroppate e dormendo con il sacco d’emergenza sempre a portata di mano. Il clima in casa è spesso pesante. Il padre è un uomo dostoevskiano, carismatico quanto folle e incosciente, fino a diventare pericoloso. Il fratello è chiaramente disturbato e diventa violento con le sorelle. La madre cerca di aiutarla ma rimane fedele alle sue credenze e alla sottomissione femminile prescritta. Poi Tara fa una scoperta: l’educazione. La possibilità di emanciparsi, di vivere una vita diversa, di diventare una persona diversa. Una rivelazione. Il racconto di una lotta per l’auto-invenzione. Una storia di feroci lealtà famigliari e del dispiacere che viene nel recidere i legami più stretti…
A diciannove anni Garrard, figlio di un pastore battista e devoto membro della vita religiosa di una piccola città dell’Arkansas, è costretto a confessare ai genitori la propria omosessualità. La loro reazione lo mette di fronte a una scelta che gli cambierà la vita: perdere la famiglia, gli amici e il Dio che ama sin dalla nascita oppure sottoporsi a una terapia di riorientamento sessuale, o terapia riparativa, per «curarsi» dall’omosessualità, un programma in dodici passi da cui dovrebbe riemergere eterosessuale, ex-gay, purificato dagli empi istinti che lo animano e ritemprato nella fede in Dio attraverso lo scampato pericolo del peccato. Quello di Garrard è un viaggio lungo e doloroso grazie al quale, tuttavia, trova la forza e la consapevolezza necessarie per affermare la sua vera natura e conquistarsi il perdono di cui ha bisogno. Affrontando a viso aperto il suo passato sepolto e il peso di una vita vissuta nell’ombra, in questo memoir l’autore esamina il complesso rapporto che lega famiglia, religione e comunità. Straziante e insieme liberatorio, Boy Erased è un’ode all’amore che sopravvive nonostante tutto.
Il romanzo della scrittrice cino-canadese – nata a Vancouver da padre cino-malese e da madre cinese di Hong Kong – Madeleine Thien è uno splendido memoir e saga intergenerazionale, che risale indietro agli anni ’40 e giunge fino al presente, e che attraversa la Cina da Pechino a nord, fino al Guangxi rurale a sud. Vi rimando alla mia recensione.

La signorina Crovato è una storia avvolgente, scritta quasi come un diario con uno stile semplice, diretto e un po’ retrò, dalla voce di Luciana, che prima bimbetta poi adolescente, si trova ad affrontare mille difficoltà, ma che vive in un ambiente familiare in cui si cerca di tenere tutti uniti, anche quando le avversità sembrano avere il sopravvento, una famiglia in cui tutto ruota attorno a due parole chiave: amore e resilienza. Vi rimando alla mia recensione per approfondire.

Dragan Velikić con il suo romanzo-memoir, ci offre un biglietto per un bellissimo viaggio, attraverso i luoghi e il tempo, in compagnia delle persone che hanno popolato la sua vita tra Belgrado, Pola, Pomer, Trieste, ma anche la Salonicco vissuta e visitata sulle tracce di Lisetta, indagando storie individuali e collettive, riportando in vita città, alberghi, linee ferroviarie, rotte navali. Un viaggio anche dentro se stesso, andando ad analizzare il suo rapporto con la madre. Nella mia recensione trovate i dettagli.

il commovente e lucido memoir di Petruševskaja; un diario completato nel 2017 – una dura prova emotiva per l’autrice, dimagrita ben quattordici chili per realizzarla – che ci conduce all’inizio della sua vita, che narra la sua infanzia e adolescenza. Una vita segnata da fame, freddo e stenti – pensate ad una bambina poverissima e figlia di “nemici del popolo” in epoca staliniana, negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale -, da continui trasferimenti da una casa all’altra, dove per casa si intende una stanzetta condivisa con almeno altre tre persone: “Migrare – parola della mia infanzia”. Qui trovate la mia recensione.
Vi segnalo questa interessante intervista di Meredith Maran alla scrittrice haitiana-americana Edwidge Danticat sull’arte del memoir e il rapporto tra la nonfiction e la fiction.
Lascio ora spazio a voi, per allungare la lista delle letture su questo genere.
Un libro che mi sembra si possa considerare un memoir è La canzone di Achille di Madeline Miller. L’ autrice affida alla voce di Patrolo la storia del suo amore per Achille, ripercorrendo tutte le fasi della guerra di Troia.
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Sembra molto suggestivo, interessante, non lo conoscevo. Grazie per questo suggerimento!
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🙂
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Mi vengono in mente “Lucky” di Alice Sebold e “Brave Face” di Shaun David Hutchinson (purtroppo inedito in italiano), che ho amato molto.
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Grazie 👍👍👍👍
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