Hanno vinto, mamma. La gente da spiaggia ha conquistato il mondo. Vaga in destinazioni esotiche indifferente e inebriata dal piacere. Priva di qualsiasi valore. La libertà è solo la maschera della sua misera anima. Orde di gente volgare in vestiti e calzature firmati trascinano valigie e borse altrettanto firmate nelle hall degli alberghi. Invadono aeroporti, stazioni ferroviarie, navi da crociera. Ovunque greggi di turisti. Hanno inquinato l’intero pianeta. È immorale trascorrere le vacanze nelle isole greche senza conoscere nemmeno una tragedia dell’antica Grecia. Fare il giro dell’Andalusia ignorando che un tempo la solcava il cavaliere Don Chisciotte con al seguito il suo servo Sancho Panza. Vuoi andare a Londra? Bene, ma prima leggi qualche verso di Shakespeare. O di John Donne. (Pag. 19-20)

Il quaderno scomparso a Vinkovci, di Dragan Velikić, Keller editore 2021, traduzione dal serbo di Estera Miočić, pagg. 293

La notizia della morte della madre coglie lo scrittore a Budapest e diventa l’occasione per aprire una scatola nera emotiva , per svelare storie multistrato nella quotidianità di un tempo che non esiste più. Perché il ricordo rende vivi i mondi del passato, anche quando sono già scomparsi. Allora ricordare e ripercorrere la memoria, personale e collettiva, è la strada che si snoda per geografie che hanno visto accadere la storia. Questo libro contiene ciò per cui Velikić è noto: un perfetto senso dei dettagli, precisione linguistica e uno stile brillantemente raffinato. Il romanzo sulla madre diventa una confessione auto-poetica, ma anche una storia sul paese e sulle persone che non ci sono più.

Dragan Velikić è nato a Belgrado, in Serbia, nel 1953. Dato che suo padre lavorava come ufficiale di marina, cinque anni dopo la famiglia si trasferì a Pola, dove trascorse l’infanzia e la giovinezza. Proprio da qui iniziano i racconti a ritroso nella memoria, sulle tracce di nomi di alberghi, di città, di persone che hanno popolato la sua infanzia; come sua madre era solita annotare su un quaderno tutto questo, allo stesso modo Dragan ripercorre il passato personale – e collettivo – della sua vita, affidandosi però ai ricordi, poiché il famoso quaderno fu rubato, insieme ad altri beni, sul treno che da Belgrado li avrebbe portati a Pola. Con grande disperazione della madre che, essendo un’amante dell’ordine e della correttezza, aveva vissuto come una ferita profonda nel suo animo la perdita di quel quaderno.

Inizia così un carosello di volti e di storie in cui spicca Lisetta, la vicina di casa a Pola, con un passato avventuroso a conferirle ancora più fascino. La madre di Dragan era affascinata da questa donna, così apparentemente diversa da lei, con la quale invece aveva una sintonia particolare, persino nei gesti. Anche Dragan è stato conquistato da questa donna di cui, specialmente nella seconda parte del libro – scritta in terza persona -, ne ripercorre la vita, i viaggi tra Trieste e Salonicco, passando per Vienna, per nave e in treno, gli amori, la storia familiare. Raccontando la storia di Lisetta, così come di tutte le altre persone che ha incontrato, Dragan ci racconta un’epoca, i cambiamenti che l’hanno caratterizzata, i drammi, le violenze, ma anche le speranze, gli ideali. E come tutto questo si sia vanamente autoalimentato accendendo un fuoco che ha rischiato di annientare tutto.

Proprio sua madre spinge Dragan a prendere spunto dalla realtà per scrivere i suoi romanzi: che bisogno c’è di inventare delle storie quando la realtà è così densa e drammatica? Quando attorno a te ci sono tante vite da raccontare? E sì, è proprio questa la strada che Dragan intraprende, perché ciò gli permette di dare seguito alla sua “cosa più importante nella vita (..): vivere parallelamente più esistenze“. Dragan continua la storia iniziata sul quaderno di sua madre sparito a Vinkovci.

E’ da molto tempo che si è concluso l’ultimo viaggio delle Ferrovie jugoslave da Pola a Belgrado. Tuttavia le città che toccava esistono ancora. La geografia è rimasta la stessa. E’ cambiata solo l’amministrazione. E con essa anche le bandiere, gli inni, le divise. E ovviamente i confini. (Pag. 191)

Velikić scrive anche molte riflessioni che scaturiscono dalla storia di quei territori che, soprattutto dalla seconda metà del Novecento, sono passati attraverso cambiamenti di potere drammatici. Cambiamenti a cui – osserva lo scrittore – nessuno può pensare di non avere avuto parte. Non solo chi li ha progettati e messi in atto, non solo chi ha obbedito a degli ordini e li ha eseguiti. Ma anche chi, al sicuro nell’anonimato della massa, li ha avallati con l’indifferenza e il conformismo, quello di chi mai si chiede perché, e si accomoda ogni volta nel mutare degli eventi, pensando di uscirne indenne o, al meglio, avvantaggiato.

La famiglia di Velikić fu testimone delle vicissitudini dell’Istria negli anni del dopoguerra: vi arrivarono quando ebbe luogo l’esodo di massa degli italiani dovuto all’assegnazione della zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia (1954). Le case lasciate dagli italiani vennero assegnate alle famiglie provenienti dagli altri stati della federazione jugoslava, principalmente croati e serbi, ma non solo. E fa un certo effetto anche a Dragan bambino, che ovviamente non conosce ancora tutto ciò che è accaduto, trovare nei cassetti in casa della vicina Lisetta abiti eleganti e cappelli, posateria d’argento, piatti di porcellana, che non sembrano appartenerle. Ma, a distanza di qualche decennio, la storia degli esodi si ripete perché a seguito della dissoluzione della Jugoslavia e al ristabilirsi dei confini nazionali – dopo le guerre balcaniche degli anni Novanta – sono i serbi a dovere lasciare le loro case – compresa la famiglia di Dragan -, perché l’Istria è al novanta per cento in Croazia adesso. Un territorio conteso, che non è solo un riferimento geografico di lotta di potere ma che nasconde tante tragedie e rivolgimenti sulla pelle delle persone.

Dragan Velikić con il suo romanzo-memoir, ci offre un biglietto per un bellissimo viaggio, attraverso i luoghi e il tempo, in compagnia delle persone che hanno popolato la sua vita tra Belgrado, Pola, Pomer, Trieste, ma anche la Salonicco vissuta e visitata sulle tracce di Lisetta, indagando storie individuali e collettive, riportando in vita città, alberghi, linee ferroviarie, rotte navali. Un viaggio anche dentro se stesso, andando ad analizzare il suo rapporto con la madre, sezionando come un chirurgo la personalità della donna, le sue paure, le sue frasi fatte che ripeteva e che ancora risuonano nella testa dello scrittore.

Dopo gli anni vissuti in Istria, Dragan Velikić tornò a Belgrado per studiare letteratura comparata e teoria letteraria presso la Facoltà di Filologia. Ha scritto il suo primo racconto all’età di 26 anni e, dopo aver ricevuto un caloroso benvenuto da recensori e lettori, ha deciso di diventare uno scrittore professionista. Dal 1994 al 1999 è stato anche direttore della casa editrice Radio B92 e editorialista per diversi giornali serbi; inoltre, scrisse del clima sociale e politico dell’epoca per i media austriaci e tedeschi. Non accettando le politiche in tempo di guerra negli anni ’90, ha criticato pubblicamente Slobodan Milošević, la politica nazionalista croata e serba e si è fortemente opposto alla guerra; per questo è stato presto bollato come traditore nazionale. Ha lasciato Belgrado pochi giorni prima dei bombardamenti Nato del 1999 e ha vissuto per un periodo a Budapest, poi si è trasferito a Berlino e successivamente a Vienna, dove è stato ambasciatore della Repubblica di Serbia tra il 2005 e il 2009. Sono proprio questi soggiorni in diverse città europee, dall’infanzia in poi, che gli hanno permesso di non avere mai paura di qualcosa di “diverso”.

Dragan Velikić è uno degli autori più importanti della letteratura balcanica. Si è aggiudicato alcuni dei maggiori premi letterari dei Balcani come il Premio NIN – per due volte – e il premio Meša Selimović ai quali si sono aggiunti il Premio letterario Mitteleuropa-Preis, il Premio della Città di Budapest e il Premio Vilenica per la letteratura mitteleuropea. Le sue opere sono tradotte in numerose lingue.

Vi rimando alla mia recensione del suo romanzo Bonavia, che vi consiglio assolutamente di leggere.