Vivere non è come dirigere una nave. Non basta avere la bussola e le mappe; navigare seguendo rotte già prestabilite; porre la comodità quale unica condizione di viaggio e aspettare che, così assicurati dai pericoli e dalle sorprese spiacevoli, dalle sconfitte e dagli insuccessi, si approdi sulle coste del paradiso. L’eccitazione si crea camminando. Solo i sensi inquieti sono in grado di riconoscere la bellezza. (pag. 241)

Bonavia, di Dragan Velikić, Keller editore 2019, traduzione di Estera Miočić

E sono i sensi inquieti dei protagonisti di questo romanzo mitteleuropeo a imprimere il passo delle loro  vite “in transito”. Mirko, Miljan, Marija, Kristina è così che vivono: in transito sui treni, negli alberghi, o in coda per ottenere un visto e attraversare “la grande acqua”. Kristina è tra loro l’unica che decide di tagliare i ponti col passato, personale e collettivo, con un paese e una città – Belgrado – dove tutto sembra fermo, dove tutto prende un movimento circolare attorno ad un unico fulcro

E lei, che non si era mai immaginata lì, chiusa in quella pozzanghera, circondata dalle abitudini di un mondo claustrofobico, che disegnava in anticipo i confini, voleva di più. E più lontano. La libertà di fare ciò che voleva. Non essere prigioniera di quella storia sfortunata e di una geografia confusa.(pag.71)

Belgrado
Belgrado, photo by Touring Club

Vite in stand-by, indecise tra l’accettare il territorio del conosciuto e la rottura definitiva. Da un lato ciò che conoscono bene e che è saldamente ancorato al passato: Belgrado, il suo immobilismo che vuole tenere in piedi il mito ormai lontano di una grande capitale dal fulgido futuro, sogni triturati da una guerra sanguinosa, e monco di un ideale ormai sfaldato. Oppure partire, abbandonare tutto ma con quale destinazione? Kristina vola negli Stati Uniti mentre gli altri personaggi anelano ad una città, Vienna, che da lontano nasconde sogni e possibilità, mentre da vicino non fa che resuscitare fantasmi.

La Vienna in cui Miljan, dopo anni passati a viaggiare sui treni come ferroviere, si stabilisce, aprendo dei ristoranti ed eleggendola a sua città; o quella a cui suo figlio Marko – orfano di madre e cresciuto con la sorella del padre a Belgrado – si reca durante le vacanze estive, quando, bambino lontano dagli affetti familiari, sognava un giorno di potere vivere nella città mitizzata. E dove, da adulto, continua a tornare, perché è lì che la vita sembra voglia attirarlo, perché è lì che il destino lo riporta continuamente.

Vienna
Vienna, photo by The Times

Miljan e Marko, padre e figlio mai vissuti insieme, mai capaci di dialogare tra loro, alla fine percorrono lo stesso binario di vita, le loro esistenze sono quasi una la fotocopia dell’altra: vite in cui è stato il caso a decidere –la leggerezza di un momento, dal quale si pensava di potersi svincolare in modo indolore -, vissute nel tentativo di fuggire dalle responsabilità. Vite che dell’insofferenza ai legami hanno fatto il loro leit-motiv. Tentativi ripetuti di opporsi a uno schema esistenziale già deciso in precedenza, coercitivo e castrante rispetto alle innumerevoli possibilità che la vita può offrire. Eppure in bilico sul rimpianto, arrovellate intorno alla ricerca della propria identità, della storia familiare, delle vite che li hanno preceduti e generati.

È questo uno dei temi centrali del romanzo: l’identità. La propria, da costruire indagando a ritroso nelle vite di genitori e nonni, così come quella di una nazione, la Serbia all’interno della confederazione jugoslava, o l’Austria, il suo passato asburgico che sembra ancora essere l’unico elemento a definirne un preciso carattere.

La cura della forma è il principio portante di ogni civiltà, l’insostituibile codice di sicurezza. Un secolo dopo la scomparsa ufficiale, il mondo asburgico sopravvive non solo nei souvenir di un’epoca, nelle passeggiate e nei valzer, nelle torte e nei cavalli lipizzani, ma anche nei rituali infantili di discendenti egocentrici, nell’autismo con il quale difendono pochi metri quadrati della propria privacy, nell’istinto innato che gli permette di sentire quando l’abbraccio maligno della collettività comincia a soffocare le gioie quotidiane, senza le quali la vita non è altro che un noioso durare. (pag. 113)

Indagare la propria identità per dare un indirizzo alla vita, per non sentirsi incompiuti, è questo lo sforzo che fa da motore all’esistenza di Marko, che dell’incompiutezza ha fatto la sua bandiera: iscritto a varie facoltà, ha continuato a cambiare rotta, ed ora può forse dirsi uno scrittore frustrato, ora che ha al suo attivo solo manuali di viaggio, perché la sua vita altro non è che un viaggio continuo, un movimento che non trova approdo, un pellegrinaggio attraverso la geografia della sua famiglia, con tasselli sparsi nell’Europa centrale.

“Transito” pensò Marija dentro se stessa. “Tutta la vita è un transito”. Avrebbe messo Marko di buon umore con quel bel titolo. Non gli veniva in mente un titolo adatto per il libro che stava scrivendo, una sorta di diario di viaggio, ma anche guida, romanzo. Senza una storia forte. (pag. 290)

E anche Marko e Marija, la loro storia che dura da sette anni, sono in transito. È un continuo movimento per il quale ruotano l’uno nell’orbita dell’altro, mantenendo una certa distanza, interrotta a tratti da momenti di intimo contatto. Eppure necessari l’uno all’altra, compagni senza i quali lo stesso viaggio non sarebbe più possibile.

La ricerca dell’identità passa anche attraverso la storia dello stesso autore, che fa la sua comparsa alla fine del romanzo, anche lui protagonista dello stesso destino dei suoi personaggi.

Bonavia” – nome di cui taccio la provenienza perché la possiate scoprire con la lettura – è il simbolo di questa ricerca identitaria, del porsi domande sul chi si è e perché lo si è proprio in quel modo. E cosa si poteva essere o diventare se invece di una strada ne fosse stata presa un’altra, e sulle possibilità che si hanno di poterlo decidere in prima persona. “Bonavia” è un romanzo profondo, indagatore, e affascinante; un generatore di domande, un istigatore a investigarsi. E una interessante finestra su un territorio, quello mitteleuropeo, distante da noi, complesso e carico di storia. Un romanzo che consiglio vivamente di leggere.

Velikic DraganDragan Velikić è uno degli autori più importanti della letteratura serba. Si è aggiudicato alcuni dei più importanti premi letterari balcanici come il premio NIN e il premio Meša Selimović, ai quali si sono aggiunti Il Premio letterario Mitteleuropa-Preis e il Premio della città di Budapest.

 

 

Qui potete leggere l’incipit.