Per tutto agosto le indagini ristagnarono. La città era deserta, non fu possibile parlare praticamente con nessuno dei conoscenti della vittima, come al comando la chiamavano tutti: ufficiosamente, perché non c’era nessuna certezza al riguardo. Né si può certo immaginare che a Pistoia, nel 1994, si facessero esami del DNA e si trovasse un riscontro grazie a qualche capello rimasto impigliato nella spazzola: l’unico modo per per identificare con certezza il cadavere, che ancora giaceva in una cella refrigerata dell’obitorio, e che nessuno aveva reclamato, consisteva nel mostrarlo a qualcuno che conoscesse bene Efisia Caddozzu e che potesse dire «Sì, è lei». (pag. 112)

L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu, di Marisa Salabelle, Edizioni Piemme 2015, pagg. 223

Tra i libri da mettere in valigia per le vacanze estive non può mancare questo giallo ambientato proprio nella calura estiva in cui il delitto già preannunciato nel titolo si compie. Una fine di luglio oppressa dall’afa, in cui i cittadini si preparano a festeggiare il santo patrono con banchetti e botti, quando due ragazzini fanno una macabra scoperta: riversa nel fossato di una strada alla periferia di Pistoia, una donna giace esanime. Il suo corpo avvolto in abiti succinti, il volto impiastricciato di trucco, nessun documento, lividi e una ferita alla testa, fanno pensare ad un delitto maturato nel mondo della prostituzione ma, dopo le prime indagini dei carabinieri, quel corpo resta senza nome, nessuna prostituta che bazzica quello stradone la riconosce. Oltre alle forze dell’ordine, ad occuparsi di questa morte misteriosa, c’è anche Saverio Giorgianni, cronista de “La Nazione” che, dovendo destare l’attenzione dei suoi lettori, si butta – anche se un po’ di malavoglia – sul caso.

Mentre i carabinieri pensano più alle ferie che a fare luce sul caso, il giornalista comincia a fare domande in giro ma nessuno sembra reclamare quel corpo. Tuttavia, il direttore del giornale viene interpellato da una conoscente che lavora in una casa di riposo dove sta soggiornando un vecchietto che dà fuori di matto perché sua figlia non dà notizie di sé da due settimane. La donna in questione è però un soggetto irreprensibile: maestra elementare, non sposata, vive con il padre affetto da una malattia degenerativa e costretto in carrozzina, si prodiga nel proletariato e si concede solo due settimane all’anno di vacanza durante le quali “parcheggia” il padre nella struttura di accoglienza per anziani sulle colline pistoiesi, non senza esimersi dal chiamarlo ogni giorno.

Mentre Saverio ipotizza un legame tra i due fatti, per quanto assurdo possa sembrare, sia il suo capo in redazione, che i carabinieri ai quali paventa l’ipotesi, gli danno del pazzo: come poteva trovarsi Efisia Caddozzu, maestra dalla vita irreprensibile, agghindata come una prostituta su quella strada, e per giunta finire ammazzata? Eppure Saverio segue il suo istinto, sente nell’aria profumo di scoop, e si mette a fare domande: nel palazzo dove la Caddozzu abita, presso le colleghe, nella parrocchia dove la donna si prodiga a favore di immigrati. In realtà raccoglie pareri discordanti: c’è chi ne traccia un ritratto di onore immacolato, di generosità, di altruismo, e chi invece descrive una donna incattivita, anche un po’ razzista e prepotente.

La trama si srotola portando avanti, a capitoli alterni, il presente delle indagini e il passato della storia familiare della donna svanita nel nulla. Ecco che viene descritta la famiglia originaria di Cagliari, i nonni, i genitori, le cugine, insomma tutto il clan familiare dove Efisia Caddozzu è nata e cresciuta. Efisia non ha ereditato la grazia materna, ma piuttosto le caratteristiche un po’ stereotipate delle donne sarde. Bassa di statura, con la carnagione scura e una folta capigliatura riccia che scende fin sulla fronte, un po’ in carne e strabica, la povera Efisia è destinata a passare inosservata, soprattutto se paragonata alle grazie della cugina Ada, bella, snella e atletica. Quando è ancora bambina, il padre insegnante, vincitore del concorso per presidi, decide di lasciare la Sardegna dove il suo cognome (che significa sudicione) lo rende oggetto di lazzi e prese per i fondelli; il padre sceglie Pistoia come sede scolastica e trasferisce in continente moglie e figlia.

Pistoia, Palazzo dei Vescovi, fonte Wikipedia

Intanto carabinieri e giornalista portano avanti, ciascuno con i propri metodi, le indagini che sembrano convergere sulle attività di volontariato svolte dalla donna. Attività a cui era approdata dopo gli anni di militanza nella sinistra extraparlamentare di “Lotta continua”; finite le manifestazioni, le cariche della polizia, molti compagni si erano ammorbiditi, avevano riposto nell’armadio l’eschimo, tagliato le lunghe barbe, e si erano dedicati alla più borghese delle esistenze. Delusa dall’andazzo, Efisia aveva riversato le sue energie nell’insegnamento e nel volontariato, aiutando soprattutto gli immigrati ad inserirsi nella vita civile: un’abitazione dignitosa, un lavoro, lezioni di italiano e attività di ricreazione per i più piccoli.

Quando però il corpo della donna ritrovato nel fossato viene mostrato alla migliore amica di Efisia – finalmente rientrata dalle vacanze – ogni dubbio viene dissipato: quel corpo senza nome è proprio di Efisia Caddozzu, la maestra svanita nel nulla di cui il padre insisteva a temere per il peggio. Ma cosa ci faceva Efisia su quello stradone, vestita e truccata come una prostituta? Chi poteva averla uccisa e perché?

Sia le ricerche del giornalista che le indagini dei carabinieri convergono su uno dei protetti di Efisia: un ragazzo albanese in cerca di lavoro, a cui lei aveva anche trovato alloggio nel suo stesso palazzo, e che, secondo le malelingue, poteva avere una tresca con la donna. Il ragazzo però si è dileguato, probabilmente tornando al suo paese, e gli altri albanesi presenti in città, impiegati nei lavori dei vivai e dell’edilizia, non ne sanno fornire notizie.

Saverio non si accontenta di questa facile verità, che calza a pennello con l’opinione diffusa che ogni male sia da addossare agli immigrati; la città, dopo avere integrato le ondate di immigrazione interna dal sud, si trova ora ad affrontare la difficile sfida dell’immigrazione straniera, verso cui i pregiudizi sono più radicati, e l’intolleranza più manifesta. Solo il mondo del volontariato, laico e cattolico, sembra volersi spendere per una pacifica integrazione, ed è proprio in quell’ambiente che Efisia ha trovato la sua dimensione. Ma chi è veramente Eifisia? Chi potrebbe veramente avere avuto interesse ad ucciderla?

Pistoia anni 60, Contestazione cattolica, fonte ToscanaNovecento

Il romanzo di Marisa Salabelle è un giallo ben condotto, la cui soluzione riserva delle (amare) sorprese e che si distingue per il respiro ampio di contestualizzazione che è il tratto distintivo dell’autrice. Attraverso la storia di Efisia, infatti, la scrittrice tratteggia con attenzione e precisione, la società cagliaritana sul finire degli anni Sessanta e quella toscana, da quel decennio al presente degli anni Novanta in cui si svolge la trama. Di formazione storica, Marisa Salabelle ricostruisce i movimenti politici e gli scossoni sociali che hanno caratterizzato quegli anni, anche nella provincia, in cui non mancavano i movimenti studenteschi e proletari, in cui si andavano assorbendo gli arrivi di immigrati, in cui il costume cambiava, le donne si scrollavano di dosso il ruolo di casalinga per immettersi nel mondo del lavoro, in cui la società andava via via trasformandosi.

La ricostruzione della personalità di Efisia è l’asse portante dell’intreccio, il perno su cui ruotano le indagini e il racconto che ne consegue; di pari passo, l’indagine giornalistica di Saverio Giorgianni fa emergere l’umore della città, i sentimenti diffusi nei confronti dei nuovi cittadini alle prese con non poche ostilità e difficoltà di inserimento.

L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu è il romanzo d’esordio di Marisa Salabelle, a cui sono seguiti L’ultimo dei Santi (qui la mia recensione) e Gli ingranaggi dei ricordi (qui la mia recensione); quest’ultimo è stato inserito da Robinson (inserto culturale di La Repubblica) nella rosa delle 1000 opere che partecipano al Totoromanzo, una specie di torneo per stabilire – votato dai lettori – il miglior romanzo uscito nel 2020.