D’inverno a Tetti non c’era un’anima, tranne quei quattro o cinque vecchi ostinati, era un paese che era finito, solo l’estate si rianimava quando venivano le famiglie coi bambini, e si riapriva casa, e si potevano scambiare due parole in piazza, ma d’inverno, che ci stava a fare a Tetti un vecchio come Svaldo o Romolo, che quando c’era la neve era pericoloso anche solo mettere il naso fuori, e infatti Romolo era morto così, che aveva fatto uno scivolone brutto sul ghiaccio e aveva battito la testa. (pag 21)

L’ultimo dei Santi, di Marisa Salabelle, Tarka edizioni 2019, pagg. 229

Avete presente quei paesini arroccati sui pendii delle montagne dell’Appennino, circondati da boschi e viottoli che vi si perdono, dove il naso si riempie di profumi silvestri, di resine e di piante selvatiche, dove l’aria è pungente d’inverno e fresca d’estate? Quei paesini con le case in pietra, tutte addossate le une sulle altre come per trattenere il calore nelle notti gelate? E le piccole piazze, con una chiesetta, magari due botteghe e qualche panchina, il monumento ai caduti delle guerre, un circolo dove gli anziani giocano a briscola?

Chi, come me, ha almeno un genitore che viene da quelle zone appenniniche – nel mio caso la Garfagnana, per discendenza paterna, non tanto distante dai luoghi in cui è ambientato il romanzo – ha ben in mente questa geografia rustica; e ben conosce quei paesi che, proprio come avviene nel romanzo di cui vi parlo oggi, sono deserti, o quasi, nella stagione fredda, e ripopolati in estate; paeselli e frazioni dove tutti si conoscono da generazioni e dove, apparentemente, non accade mai nulla di rilevante.

Montagna pistoiese paesino

Marisa Salabelle ambienta su questi monti anche il suo secondo romanzo, connesso con il primo, e lo vedremo: si tratta di un giallo appenninico, una storia che contiene un mistero da risolvere, ma oltre a questo, l’autrice dipinge a perfezione una realtà marginale, tipica delle nostre montagne interne, gli Appennini appunto, che costituiscono in realtà una larga fetta del nostro territorio, la sua spina dorsale, e rappresentano il carattere e il modo di vivere di una consistente popolazione.

Il paese di Tetti – un modesto nucleo centrale, e poi una costellazione di case sparse – non è solo uno sfondo di ambientazione; e non potrebbe essere altrimenti, perché la sua specificità, la storia della sua comunità, i vecchi dissapori, le ripicche, gli amori e gli interessi economici, in una realtà così piccola, assumono una dimensione ancora più dirompente e diventano la sostanza stessa che dà vita al caso.

Al centro della trama ci sono tre morti: tre fratelli che, a breve distanza, muoiono in quelli che, in un primo momento, appaiono come degli incidenti. Casualità che sembrano tali allorché muore il primo dei fratelli a causa di uno scivolone sul ghiaccio. Poi muore il secondo, cadendo da un tetto. Infine il terzo, che si schianta con l’automobile contro un albero. In comune le tre morti, oltre al legame familiare tra gli uomini deceduti, hanno la mancanza di testimoni. Nessuno ha assistito agli incidenti, e i cadaveri sono stati trovati ore dopo il fatto. I tre fratelli vivono a Tetti da sempre, anzi, ne costituiscono la famiglia più nota, e facoltosa. Man mano che la narrazione procede, si viene a sapere che non erano proprio degli stinchi di santi – a dispetto del cognome, Santi per l’appunto. Da giovani erano un po’ prepotenti, ma poi, con l’avanzare dell’età, certi comportamenti sfumano, e le persone un po’ se li dimenticano. Quel che nessuno dimentica è la consistenza del loro patrimonio che, alla loro morte e per via ereditaria – e magari ideale per qualche speculazione edilizia -, potrebbe costituire un movente. Nel caso, ovviamente, si potesse provare che le morti non sono state accidentali.

Quando poi muore in circostanze misteriose anche un quarto anziano, amico del terzetto, ecco che nessuno crede più al caso.

Si mettono al lavoro il maresciallo Borghi dei carabinieri e il cronista della Nazione Saverio Giorgianni, già noti ai lettori del primo romanzo, “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” (qui la mia recensione), ognuno appoggiandosi ai propri ragionamenti e con punti di vista diversi. Non è facile raccogliere informazioni in una realtà come questa; gli abitanti sono prudenti con i forestieri, commentano tra loro, conoscono vita morte e miracoli di tutti, ma sganciare dettagli, rivangare il passato, insomma lavare i panni sporchi è una cosa che proprio non si fa con chi ficca il naso nelle storie del paese. Se il maresciallo opta per un approccio diretto e perentorio, puntando l’attenzione soprattutto verso i “diversi” – una comunità alternativa che si è installata nella proprietà dei Santi -, Saverio, aiutato dal suo amico Mario – geometra del posto – invece preferisce “annusare l’aria”, piazzare qualche osservazione apparentemente innocente al momento giusto e con le persone giuste, cogliere un pettegolezzo confidato a denti stretti, osservare delle vecchie foto per capire le relazioni tra i defunti.

Montagna-pistoiese

Saverio e il suo menage familiare fanno da contrappunto alla vicenda delle morti sospette. Il giornalista, cronista della pagina sportiva della Nazione, vive a Pistoia con la moglie Valentina e due figlioletti, e, nell’estate in cui avvengono i fatti, trasferisce moglie e figli a Tetti, dove Valentina ha ereditato dal nonno una bella casetta. Animato da una passione per i segreti e da una corrosiva curiosità, insofferente alla monotonia, viene completamente irretito dalla catena di morti sospette e dal mistero che le avvolge. Ma se i Santi hanno qualche scheletro nell’armadio, anche Saverio ha un segreto scottante da nascondere alla famiglia… Un segreto che gli complica la vita durante l’estate movimentata di Tetti, in cui, tergiversando sulle sue decisioni da prendere, si fa completamente assorbire dalla risoluzione del mistero.

L’ultimo dei Santi” è un bel romanzo, giallo ma non solo, in cui il mistero da risolvere passa attraverso una fitta rete di relazioni, che affondano le radici nel passato, che necessitano di essere indagate e sviscerate, e dove le soluzioni più ovvie sono depistanti. Come spesso accade, è nel carattere delle persone che bisogna cercare gli indizi che portano a scoprire la verità. E il grande pregio di questo romanzo è proprio quello di condurre il lettore per le vie tortuose delle relazioni familiari, delle vecchie magagne da nascondere, dei segreti scottanti da tacere. L’autrice costruisce un grande affresco, dipinto con ironia, toni accesi e attenzione ai particolari, e regala al lettore un romanzo che ritrae la società chiusa dei piccoli centri, con le sue reticenze, le sue regole non scritte e i suoi equilibri su cui, per decenni, tutto si poggia e si tiene in bolla.

La scrittura fluida e ritmata, alterna il presente dell’azione a flash back che chiariscono gli antefatti; di capitolo in capitolo, si raccolgono particolari, indizi e suggestioni, che, sommandosi, avvicinano il lettore ai personaggi e ai possibili scenari che portano alla soluzione. Ma, ripeto, non è solo la ricerca della soluzione a intrigare il lettore, quanto – se non più – lo scavo psicologico, la resa dei caratteri, delle relazioni, dell’atmosfera tipica di una comunità ristretta legata a doppio filo da un vissuto che ha radici lontane nel tempo, a tenere banco, a rendere credibile un plot che, condotto diversamente, potrebbe apparire semplicistico. Ben inserito anche il richiamo al primo romanzo dell’autrice; richiamo che getta una luce inquietante sui placidi paesi immersi nella natura appenninica:

Cazzo, pensò Saverio, ecco chi era, la maestrina di Tetti: la signorina Caddozzu, barbaramente assassinata nel luglio di cinque anni prima … come dimenticarla, era il primo caso serio su cui si era cimentato da giovane cronista, e non ci aveva cavato niente, ancora a distanza di anni il caso della Caddozzu era rimasto insoluto. (pag. 103)

Salabelle fotoMarisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di Studi teologici presso il Seminario vescovile di Firenze. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu” (Piemme), con cui ha ottenuto significativi riconoscimenti.

Qui potete leggere l’incipit.