D’un tratto comprese che quella schiena, di cui da giorni si occupava in maniera ossessiva, smentiva tutta la sua teoria sulla sostenibilità della solitudine. Dal momento che l’essere umano è dotato di una parte del corpo che da solo non riesce a toccare, significa che la natura, l’universo, Dio – in qualunque modo vogliamo chiamarlo – aveva immaginato la cosa diversamente da come lei si ostinava ad affermare. Perché se fossimo stati pensati come esseri solitari avremmo avuto le braccia lunghe due metri, con le quali avremmo potuto senza problemi raggiungere e accarezzare ogni centimetro del nostro corpo e abbracciarci ogniqualvolta ne avessimo avuto bisogno.

Una questione di pelle, pag. 178

Una questione di pelle, di Marina Vujčić, Bottega Errante Edizioni 2021, traduzione dal croato Estera Miočić, pagg.303

Il romanzo della drammaturga ed editor Marina Vujčić mi ha davvero sorpresa e conquistata. Senza timore lo definisco un vero gioiello, originale nell’espediente che mette in moto la narrazione, condotto con una regia impeccabile, sottilmente psicologico,  ironico, capace di toccare un tema tanto profondo quanto la solitudine delle persone in un modo singolare.

Originaria della regione spalatino-dalmata, Marina Vujčić vive e lavora da anni a Zagabria. Nel 2015 viene inserita nella rosa dei quattro autori croati candidati al Premio per la letteratura dell’Unione europea. Grazie alla sapiente voce della traduttrice Estera Miočić, possiamo leggere il primo romanzo pubblicato in Italia di questa talentuosa autrice.

Zagabria

Il romanzo è narrato in terza persona a capitoli alternati nei quali si incrociano le solitudini dei due personaggi che dominano le pagine: Veronika Vinter e Florijan Bauer.

La signora Vinter è una quarantenne impiegata separata dal marito che ha poco amato: disillusa e sfiduciata rispetto alle relazioni, è ancora una bella donna, svolge un lavoro in banca ma ha da sempre la passione per la pittura; passione che già da bambina aveva manifestato e che i genitori avevano del tutto represso. Fuggita di casa in giovane età, ha tentato di rifarsi una vita nella capitale ma attualmente se la passa male economicamente, anzi è sull’orlo della miseria poiché il suo stipendio non basta a pagare il mutuo e le bollette. Ha un amante che altro non è se non una distrazione dalla sua solitudine, niente a che fare con l’amore.

Florijan Bauer è un cinquantenne vedovo benestante, misantropo e abitudinario; “eseguiva la vita invece di viverla” ci dice la voce narrante. Bauer ha ingegnerizzato la sua vita, scandita da regole e abitudini precise – dai giorni delle pulizie in casa, ai pasti, alla lettura – soprattutto da quando è rimasto vedovo perdendo l’unica persona che lo abbia mai amato e compreso, la sua Amalija. Ingegnere meccanico, gode di un discreto benessere grazie ad una sua invenzione brevettata: una macchina per impacchettare i regali, proprio lui che regali non ne ha mai fatti né voluti ricevere.

Il romanzo prende l’avvio quando il signor Bauer pubblica un’inserzione sul giornale “Večernje novosti” – tradotto: notiziario serale, quotidiano serbo che esiste davvero -:  incapace di fare a meno delle carezze che sua moglie Amalija gli faceva sulla schiena, si mette alla ricerca di una donna che possa offrirgli questo servizio, solo ed esclusivamente questo, come ben spiega nell’inserzione, senza nessun doppio fine, né coinvolgimento.

Veronika, nella sua situazione economica drammatica, è alla ricerca di un secondo lavoro saltuario per rimpinguare le sue magre finanze ma è anche incuriosita dalla richiesta piuttosto insolita, dunque decide di rispondere a questo bizzarro annuncio.

La signora Vinter e il signor Bauer, superato il primo imbarazzo e stabilito il modo in cui eseguire la prestazione, iniziano così i loro incontri, un’ora ben remunerata durante la quale, nel più assoluto silenzio, lei gli accarezza la schiena e lui si abbandona alla ritrovata e piacevole sensazione per la quale è deciso a pagare un compenso, purché rimanga senza alcun tipo di coinvolgimento umano.

I due protagonisti continuano a vivere le loro vite come sempre, alternandole ai momenti in cui si incontrano per l’accarezzamento della schiena. Il racconto parallelo e alternato aiuta il lettore a mantenere un contatto stretto con i due protagonisti, di cui pian piano conosce i pensieri, le abitudini, il minuzioso racconto della quotidianità in cui si muovono. C’è quindi un grande equilibrio narrativo che determina una messa a fuoco bilanciata dei due attori. E dico attori non a caso, perché la grande capacità di rendere per immagini il narrato da parte dell’autrice, conferisce al romanzo un taglio cinematografico e dinamico.

Nel susseguirsi del racconto attraverso i due punti di vista, Vujčić crea una tensione narrativa data dai pensieri che progrediscono contemporaneamente in relazione agli avvenimenti che li legano, innescando una serie di esiti imprevisti e capaci di rimettere in discussione profondamente le vite dei due protagonisti.

Il tema centrale del romanzo è quello della solitudine, declinato nelle due diverse forme vissute dai protagonisti. Quella del signor Bauer ha radici profonde nella sua infanzia, ed è una specie di recinto invalicabile che si è costruito intorno, protetto da automatismi, regole e abitudini intoccabili, che però ad un certo punto, per effetto dell’incontro-scontro con Veronika, si sfaldano pezzo per pezzo. Le carezze della signora Vinter che è disposto a pagare e di cui non riesce a fare a meno, rivelano quanto lui non riesca a fare i conti con il vuoto lasciato dalla moglie e con la consapevolezza di non averla amata nel modo giusto, di non avere saputo apprezzarla fino in fondo e dimostrarglielo.

Veronika Vinter, che si è votata alla solitudine per auto-difesa, ne è ben cosciente, l’ha cercata lasciando prima la famiglia e poi il marito, preferendo non avere legami che la costringano a fare cose che non vuole fare, legandosi poi ad un uomo sposato con cui condividere alcuni momenti piacevoli che la gratificano ma che non la obbligano ad una convivenza di cui non sente il bisogno.

Gli incontri tra Veronika e Florijan culminano in uno scontro che inizialmente li separa ma che, come vedremo, crea i presupposti per un riavvicinamento in un modo del tutto imprevisto e originale. Lo scontro ideologico scatena in entrambi una profonda crisi esistenziale, in merito al proprio modo di concepire l’esistenza, il loro modo di trincerarsi dietro un muro che li isola dagli altri, ma che crea anche un profondo malessere di cui ora prendono atto e a cui reagiscono entrambi rimettendo in discussione tutto.

Lui decide di rinunciare alle abitudini, aprendosi all’imprevisto, al non codificato; lei, scegliendo di seguire la sua inclinazione artistica, a cui ha rinunciato e di cui sente ora tutta la potenza. Per entrambi questa frattura tra il passato e il presente mette in luce il vero problema delle loro esistenze: la solitudine. Per Bauer la presa di coscienza di non potere da solo prendersi cura della schiena – metafora azzeccatissima -, e via via tutto ciò che da quei pensieri sul bisogno degli altri è scaturito, per Veronika, nel momento in cui riesce a dedicarsi alla pittura, come avrebbe sempre voluto fare, scopre che non ha nessuno con cui condividere questa gioia, con cui ammirare i dipinti che ha creato.

Ed ecco il secondo tema centrale: l’arte come elemento catartico. L’arte pittorica con cui finalmente Veronika, provocata dall’indisponente ingegnere, riesce ad esprimersi è un atto purificatorio, liberatorio nonché l’atto fondante della sua nuova vita. Il diverbio con Bauer accende in lei una consapevolezza tutta nuova, a cui lei stessa guarda con meraviglia e con determinazione a non rinunciarci mai più.

A volte per difendersi dalla realtà basta solo attivare la fantasia che, schiacciata dalle preoccupazioni, può arrugginire e impigrirsi al punto da farti pensare che non esiste nulla al di fuori di ciò che è concreto e palpabile.

Una questione di pelle, pag. 190

Per Bauer la catarsi passa attraverso l’arte a cui Veronika lo fa avvicinare ma anche attraverso la letteratura. Ogni sera infatti Florijan è solito sedersi in poltrona e leggere dei racconti, aprendo a caso le pagine del libro, nei quali cerca dei parallelismi con la sua vita; la storia scritta diventa quindi una lente attraverso cui interpretare la realtà della sua vita, un’esistenza barricata entro il perimetro della routine. Finché Veronika entra nella sua vita.

La “questione di anatomia” (titolo originale del romanzo) è la metafora che dà l’avvio al testo e che, nel suo commento finale, l’autrice ribadisce:

Grazie anche alla schiena per il suo essere là dov’è – in un posto che ci rende bisognosi degli altri. Se non fosse così, questo romanzo non avrebbe avuto ragione di essere scritto.

La schiena: espediente allusivo formidabile, efficace nel provocare un moto ondoso di emozioni e riflessioni che travolge le vite dei due protagonisti, innescando un’evoluzione morale: accorgersi che la propria vita non può essere vissuta da soli, che in fondo alla nostra coscienza sappiamo quanto abbiamo bisogno degli altri. La parabola di queste due vite parallele che abbandonano le loro sicurezze per convergere ci suggerisce che nella vita bisogna anche rischiare, fare un salto nel vuoto e  che non è mai troppo tardi per rimettersi in discussione.

Con una scrittura lieve e attraverso un profondo scavo psicologico, Marina Vujčić compone un piacevolissimo romanzo, divertente e pungente, che non ha paura di affrontare una questione così complessa senza cadere nella trappola del banale.

Qui potete leggere l’incipit. Le opere – di ia proprietà – che ho utilizzato nelle foto sono dell’artista Anna Àntola.

Anna Àntola nasce a Milano nel 1930, città alla quale resterà sempre fortemente legata. La sua pittura è considerata naïf, caratterizzata da colori accesi che danno vita a atmosfere sognanti, sospese tra la realtà interiore delle sue protagoniste, per lo più donne, e una dimensione fantastica, fiabesca. La sua formazione è accademica, Scuola d’Arte del Castello Sforzesco prima e Accademia di Brera poi; in questi anni entra in contatto e lavora sotto la guida di grandi artisti quali Domenico Cantatore e Carlo Carrà. Appassionata d’arte e musica fin dalla prima infanzia, viaggia molto e studia la grande pittura del passato, dagli Impressionisti, ai maestri del Novecento, fino al suo vero “grande amore” Pablo PicassoDonne morbide, sensuali, simpatiche, stravaganti, le cui passioni, sogni, desideri, sono raccontati in una Milano sognante, con le sue stradine, piazze, scorci sospesi in un’atmosfera onirica. Le forme sono semplici, i colori stesi in maniera piatta, rimandano all’espressionismo novecentesco, da Matisse a Gauguin. Toni accesi e linea di contorno marcata per raccontare un fantastico e fantasioso universo femminile, con un pizzico di ironia e sensualità. Oggi le sue opere sono presenti in numerosi musei italiani ed europei, da Helsinki a Lisbona.