Eravamo le figlie di padri che solo in pensione avevano trovato il tempo di parlare con noi. Noi spiegavamo Internet a loro e loro il tempo meteorologico a noi. L’amore era arrivato così tardi che potevamo ancora a malapena farci qualcosa. L’avevamo accettato solo in segno di gratitudine, ma potevamo dare poco, e di certo non restituire niente.

Figlie, pag. 26

Figlie, di Lucy Fricke, Corbaccio 2021, traduzione dal tedesco di Cristina Proto, pagg. 231

Il romanzo on-the-road di Lucy Fricke – nella lista dei bestseller dello “Spiegel” – è una perfetta miscela di amicizia, padri assenti, dolore  e vita da quarantenni, una trama tessuta incrociando i fili dell’ ironia, della schiettezza e dell’interiorità. Con un umorismo accattivante e tagliente e un perfetto equilibrio tra leggerezza e profondità, Fricke racconta di donne arrivate all’età di mezzo con le spalle piegate dalla vita, di addii inevitabili e di padri che scomparendo hanno lasciato uno spazio enorme, difficile da riempire. Le amiche Martha e Betty di Berlino – entrambe cresciute lontane dal padre – partono per un viaggio verso la Svizzera che invece prenderà tutt’altra direzione

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Betty – la voce narrante – desidera ardentemente ritrovare il suo padre adottivo – l’unico degli ex mariti della madre a cui si sia affezionata – che si dice sia morto, e vuole visitare la sua tomba in Italia. Il padre biologico di Martha è gravemente malato e dopo molti anni torna in contatto con sua figlia: vorrebbe che lei lo portasse in Svizzera in una clinica dove praticano l’eutanasia. Una richiesta a cui non si può dire di no, ma che provoca un malessere profondo in Martha, consapevole di non potere affrontare da sola un simile compito. E suo padre lo sa bene, al punto da chiederle di portare con loro Betty, la sua migliore amica.

«Vuole sparire prima che sia troppo doloroso. Probabilmente noi faremmo lo stesso» dissi io, che ero una maestra in fatto di sparizioni e viaggiavo per mezzo mondo per prevenire qualunque dolore, che nel mio caso però non era mai fisico.

Figlie, pag.20

I tre intraprendono uno strano viaggio sulla vecchia Golf di Kurt attraverso la Germania, fermandosi nelle aree di sosta a fumare e bere. Ma se all’inizio la missione sembrava chiara e il suo obiettivo ben definito, avvicinandosi alla Svizzera, i conflitti irrisolti e il dolore immagazzinato rimescolano le carte e tutto si ingarbuglia, e il piano viene completamente superato.

Io soffrivo per l’abbandono, per le relazioni interrotte, o nemmeno impostate, per la solitudine, per me stessa; mi sentivo ridicola e credevo che, se fossi risalita alla primissima perdita, se avessi recuperato quella memoria iniziale o almeno ne avessi trovato traccia, avrei potuto allontanare tutto questo come una maledizione.

Figlie, pag. 152

Martha e Betty hanno alle spalle un vissuto complicato e doloroso che le accomuna: una brutta infanzia in quartieri (una ad Amburgo, l’altra ad Hannover) che di ameno hanno ben poco, molte liti relazionali, fallimenti di ogni tipo. Né il sesso, né le droghe né il rock ‘n’ roll sono estranei alle loro esistenze, ma invece di risolvere i loro conflitti interiori li hanno resi ancora più desolanti. Dopo essersi conosciute e riconosciute a Berlino quando erano ventenni, il loro legame è l’unica certezza e l’unica scialuppa di salvataggio che le tiene a galla. A questo punto delle loro vite, si trovano alle prese con i loro rapporti non ideali con i genitori: soprattutto, i numerosi padri comparsi e scomparsi nella vita di entrambe hanno ovviamente lasciato il segno. L’egoista Kurt non fa eccezione. Ma è anche vero che né Martha né Betty sanno molto delle vite dei loro genitori, di quali esperienze e drammi le abbiano segnate; esattamente come i genitori non conoscono a fondo le vite dei loro figli.

Kurt disse di avere capito solo tardi che non si può sfuggire alle proprie origini, che i nostri errori sono solo una variante di quelli dei propri genitori e che di base ogni generazione diventa più abile a fare fesserie e a rovinarsi la vita.

Figlie, pag. 48

Quindi c’è molto da ricordare e di cui parlare lungo la strada. Per la prima volta Martha e Kurt aprono un dialogo e qualche frammento delle loro rispettive vite emerge. E poiché la storia è raccontata dalla sarcastica Betty, il lettore si ritrova presto a sorridere nonostante la gravità della situazione. Betty combina umorismo oscuro, ironia e una visione scettica del mondo nei suoi commenti in un modo che a volte sembra più come leggere una raccolta di aforismi per lo più taglienti, ma a volte quasi insopportabilmente troppo cinici. Se Betty ha abbandonato qualsiasi idea di avere un legame sentimentale stabile, e piange la scomparsa del padre adottivo Ernesto, Martha è invece ostinatamente attaccata all’idea di formare una famiglia che possa essere più felice della sua di origine: è sposata con Henning che la ama,  ha avuto tre gravidanze fallite e sogna ancora di avere un figlio. Ma tutto sembra in un equilibrio precario, le sue insicurezze la rendono incerta persino dei propri sentimenti. Solo il legame di amicizia con Betty la tiene con i piedi per terra.

La narratrice, attraverso i suoi pensieri e lo sguardo cinico su ciò che le ruota intorno, riesce ad affrontare numerosi argomenti: cosa significhi essere una figlia, la maternità cercata e non ancora realizzata, il rifiuto di costruire relazioni durevoli, un’idiosincratica dichiarazione generazionale sul femminismo: “Eravamo la prima generazione di donne che poteva fare quello che voleva, e questo a sua volta significava che dovevamo volere qualcosa. Questo è ciò per cui le nostre madri hanno combattuto. Dovevamo avere i nostri sogni, dovevamo averli, potevamo fallire, ma solo dopo aver provato di tutto, davvero di tutto, compresa la psicoanalisi, sulla via della felicità”.

La storia seria, spesso malinconica e allo stesso tempo fresca, sull’invecchiamento, sulla morte, sulle contraddizioni generazionali e una vita in frantumi non è permeata solo dai commenti divertenti di Betty, ma anche da una certa poesia dei perdenti. 

L’autrice in molte interviste ha accennato al fatto che nel romanzo ci sia molto della sua esperienza di vita, di ragazza cresciuta nella Germania del nord negli anni Settanta e Ottanta. Un motivo autobiografico, ad esempio, è la descrizione introduttiva della gentrificazione di Berlino-Kreuzberg dal punto di vista del residente di un piccolo appartamento – Betty – che guadagna qualche soldo in più affittandolo occasionalmente a turisti della movida. 

I modelli di ruolo che il romanzo di Fricke fa emergere vengono accennati anche dalla stessa narratrice, Betty: il film cult di Ridley Scott “Thelma & Louise”, anche se, osserva, “Quelle erano giovani, sexy e represse” mentre “Noi siamo donne all’alba della menopausa. Spero che tu non voglia fare paragoni“. Riecheggia anche il romanzo di Graham Swift del 1996 “Ultimo giro” (vincitore del Booker Prize nel 1996 e da cui è stato tratto un film), in cui tre anziani guidano verso il mare con l’urna del loro migliore amico nel bagaglio per spargere le sue ceneri a Margate Beach.

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Lucy Fricke dimostra di sapere partire da questi riferimenti senza apparire minimamente imitativa. Piuttosto, li cita con sicurezza e senza nascondersi, con ironica giocosità.  In questo modo, il previsto viaggio in Svizzera che avrebbe dovuto avere un finale luttuoso, si trasforma in un turbinoso on-the-road ricco di imprevisti  e colpi di scena, che si snoda per le strade italiane, dal Lago di Garda al Lazio, per poi trasferirsi su di una sperduta isoletta della Grecia. 

Per due anni avevo preso ogni giorno una pasticca, alzando gradualmente il dosaggio, finché secondo l’opinione del dottore ero correttamente dosata. Mi era piaciuto come l’aveva detto, mi piaceva che mi sottolineasse più volte che il farmaco in nessun caso poteva essere sospeso di colpo, ma doveva essere lentamente ridotto. Avevo pensato che potesse valere anche per le relazioni, con le persone di dovevano diradare i contatti, ridurre la dose appunto, finché si poteva rinunciare alla loro presenza.

Figlie, pag. 118

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Lucy Fricke è nata ad Amburgo nel 1974, ha studiato Letteratura tedesca all’Università di Lipsia, ha lavorato per molti anni nel cinema e ha pubblicato tre romanzi prima di Figlie, che ha ricevuto il Bayerisches Buchpreis 2018, ha superato le centomila copie in Germania, è stato venduto in numerosi paesi e da cui è stato tratto un film in arrivo nelle sale cinematografiche. Nel 2016 Lucy Fricke è stata borsista a Roma, come vincitrice del Premio dell’Accademia tedesca di Roma.
Vive a Berlino.