I nostri antenati (1952/1959) è una trilogia fantastica ed allegorica sull’uomo contemporaneo, costituita dai romanzi Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959) di Italo Calvino, che prese a modello l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. L’autore stesso suggerì di considerare collegati i tre romanzi, quando già tali romanzi erano stati pubblicati e affermati presso critica e pubblico, e difatti ne dispose un’edizione (per la prima volta presso Einaudi nel 1960) con i tre romanzi legati.

Il libro passò nel 1985 a Garzanti per poi entrare nel catalogo di Mondadori dal 1991. Una breve Nota è stata premessa o messa a conclusione nelle varie edizioni. Anche in occasione della traduzione inglese di Archibald Colquhoun (1980), Calvino ne scrisse una premessa, dove dice:

Il racconto nasce dall’immagine, non da una tesi che io voglia dimostrare; l’immagine si sviluppa in una storia secondo una sua logica interna; la storia prende dei significati, o meglio: intorno all’immagine s’estende una serie di significati che restano sempre un po’ fluttuanti, senza imporsi in un’interpretazione unica e obbligatoria. Si tratta più che altro di temi morali che l’immagine centrale suggerisce e che trovano un’esemplificazione anche nelle storie secondarie: nel Visconte storie d’incompletezza, di parzialità, di mancata realizzazione d’una pienezza umana; nel Barone storie d’isolamento, di distanza, di difficoltà di rapporto col prossimo; nel Cavaliere storie di formalismi vuoti e di concretezza del vivere, di presa di coscienza d’essere al mondo e autocostruzione d’un destino, oppure d’indifferenziazione dal tutto.

Vediamo nel dettaglio le tre singole opere:

«Quando ho cominciato a scrivere “Il visconte dimezzato”, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.»

Il visconte dimezzato: Ambientato in Boemia e in Italia precisamente in Liguria a metà Settecento, presenta come tema centrale il problema dell’uomo contemporaneo (dell’intellettuale, per essere più precisi) dimezzato, cioè diviso a metà, in due parti. Proprio a tal fine il protagonista è stato dimezzato (da una palla di cannone) secondo la linea di frattura tra bene e male, costruendo una specie di metafora su tutta la storia, che va a simboleggiare il bene e il male, l’incompletezza dell’uomo e i possibili stati d’animo dell’uomo. Si potrebbe quindi definire un libro filosofico. Altri personaggi sono i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore di dubbia capacità (Trelawney) e il carpentiere (Pietrochiodo), rappresentante la scienza e la tecnica presenti nell’umanità.

Storia editoriale: la prima edizione de Il visconte dimezzato viene pubblicata da Einaudi Editore nella collana “I gettoni” (n. 9) nel 1952 (12/II). Fu Elio Vittorini, direttore della collana insieme allo stesso Calvino, a sollecitare la pubblicazione del romanzo, vincendo qualche perplessità dello stesso autore: “Mi sembra che il tuo Visconte faccia libro completo e che non si debba lasciarlo ad aspettare chissà quanto come se fosse un mezzo libro”. Le numerose altre edizioni, che non differiscono dalla prima, verranno pubblicate da Einaudi, Mondadori, Garzanti, Utet. Da segnalare un’edizione illustrata da Emanuele Luzzati e pubblicata nel 1975 da Einaudi nella collana Libri per ragazzi; le otto illustrazioni sono tratte da bozzetti di un adattamento televisivo del romanzo.

Personaggi principali:
Medardo “il Gramo” (la parte destra) Una stampella gli permette di camminare, ma preferisce muoversi a cavallo. È crudele e semina il terrore spesso tagliando in due metà le cose che gli capitano a tiro grazie ad un marchingegno costruito dal carpentiere Pietrochiodo. È prevalentemente vestito di nero. Si innamora di Pamela e insiste per sposarla.
Medardo “il Buono” (la parte sinistra) È la parte buona di Medardo. Arriva a Terralba dopo il Gramo, poiché era rimasto in Boemia. Impegnato a riparare tutte le ingiurie inflitte dal Medardo cattivo. Ha un mantello nero sgualcito e si sposta a dorso di mulo. Anche questa parte si innamora di Pamela, ma in uno slancio di generosità accetta di farla sposare al Gramo per evitare la vendetta di questo.
Il narratore È un ragazzino anonimo, nipote di Medardo ed orfano di genitori; nasce dalla sorella maggiore del visconte e da un brigante di passaggio e all’inizio della storia ha circa otto anni. Allevato dalla balia Sebastiana.
Pamela È cresciuta come una pastorella, ma sa come comportarsi in ogni occasione. La mamma vuole farle sposare il Buono poiché gentile e il papà il Gramo poiché ricco, infine sposerà il Buono.

La storia: Medardo, un giovane visconte proveniente dal paese di Terralba, arriva insieme al suo scudiero e amico Curzio all’accampamento cristiano in Boemia, per partecipare alla guerra contro i Turchi. Ma durante la battaglia viene colpito da una palla di cannone in pieno petto, che lo divide in due. Viene ritrovata la sola parte destra. I medici del campo riescono a fasciarla e ricucirla, cosicché il visconte, dopo la guerra, fa ritorno a Terralba.
Qui gli abitanti capiscono che del visconte è tornata solo la parte malvagia, che si sbizzarrisce in empietà, tra cui tentare varie volte di uccidere suo nipote. Tutte le sue prodezze gli valgono il soprannome di “il Gramo”. Tempo dopo si innamora di Pamela, una contadinella, ma per punirla (perché l’aveva rifiutato) si vendica danneggiando la sua famiglia.
Nel frattempo il nipote del nobile è solito accompagnare il dottor Trelawney, un medico che è stato a servizio dell’esploratore James Cook in giro per il mondo: i due fanno ricerche sui fuochi fatui di notte nei cimiteri. Il ragazzino incontra frequentemente una comunità di ugonotti, tra cui una famiglia che vive commerciando prodotti della terra.
A Pratofungo, paese dei lebbrosi, torna la parte sinistra del visconte – la metà buona, salvata da alcuni eremiti, che esordisce salvando il nipote dal morso velenoso di un ragno. “Il Buono”, come viene chiamato, cerca di rimediare tutto quello che è causato dal Gramo. Anche il Buono si innamora di Pamela, che ancora una volta rifiuta il pretendente.
Il Gramo discute con la madre della ragazza del piano architettato per prendersi Pamela. Il Buono, invece, afferma col padre di lei di voler lasciare la città, permettendo al Gramo di sposarla liberamente. La contadina, però, incontra ambedue le metà e rassicura entrambi sulla riuscita del matrimonio.
Arrivato il giorno della cerimonia, il Buono e il Gramo sono sicuri del successo della propria idea, e il primo ad arrivare alla cappella del castello è il Buono, perché il Gramo riscontra un lieve infortunio a cavallo. Il Buono riesce così a sposare Pamela, ma il Gramo lo raggiunge poco dopo e lo sfida a duello. Durante la lotta, entrambe le metà tagliano le bende e le cuciture dell’altra. Il dottor Trelawney, che aspettava quest’eventualità, riesce quindi a riunire le due metà riformando il visconte Medardo, che infine sposa Pamela. Il Visconte, così, diviene un uomo saggio e riflessivo.

Incipit:
C’era una guerra contro i turchi. Il visconte Medardo di Terralba, mio zio, cavalcava per la pianura di Boemia diretto all’accampamento dei cristiani. Lo seguiva uno scudiero a nome Curzio. Le cicogne volavano basse, in bianchi stormi, traversando l’aria opaca e ferma.
– Perché tante cicogne? – chiese Medardo a Curzio, – dove volano?
Mio zio era nuovo arrivato, essendosi arruolato appena allora, per compiacere certi duchi nostri vicini impegnati in quella guerra. S’era munito d’un cavallo e d’uno scudiero all’ultimo castello in mano cristiana, e andava a presentarsi al quartiere imperiale.
– Volano ai campi di battaglia, – disse lo scudiero, tetro, – Ci accompagneranno per tutta la strada.

Considerava i libri un po’ come degli uccelli e non voleva vederli fermi o ingabbiati.

Il barone rampante. L’ispirazione per il protagonista del romanzo proviene dal giardiniere e botanico Libereso Guglielmi, grande amico di Calvino, mentre la trama deriva da un racconto che l’autore ascoltò da Salvatore Scarpitta una sera del 1950 all’Osteria Fratelli Menghi in Via Flaminia 57 a Roma. La narrazione attraversa tutto il periodo della Rivoluzione francese iniziando nel ventennio immediatamente precedente e concludendosi in piena Restaurazione. La storia inizia il 15 giugno 1767, quando Cosimo ha 12 anni, e finisce con la scomparsa di Cosimo durante l’inverno a 65 anni, nel 1820.

Personaggi principali:
Cosimo Piovasco di Rondò Il protagonista della storia all’inizio è un ragazzino di dodici anni figlio di una famiglia nobile; nel corso del racconto diventerà barone in seguito alla morte del padre. È forte e rapido nello spostarsi da un albero all’altro, mangia il cibo donato dagli abitanti del luogo e ciò che riesce a cacciare, veste indumenti fatti da sé secondo necessità, sua dimora sono gli immensi boschi del tempo sui quali si diceva fosse possibile spaziare per chilometri e chilometri di nazione in nazione. È testardo e irremovibile nelle sue decisioni e ha il coraggio di ribellarsi inizialmente ai suoi genitori e in seguito al mondo intero. Le sue virtù più forti sono la costanza, che ha sin da bambino, e l’orgoglio, tanto che non vorrà toccare terra neanche da morto, per essere sepolto. Pregi di Cosimo sono l’altruismo, la positività, l’apertura a idee nuove, la capacità e la naturalezza con cui riesce a convincere le persone, spesso diverse tra loro, a perseguire uno scopo comune.
Viola Il suo nome completo è Violante ed è figlia dei Marchesi d’Ondariva, vicini della famiglia di Cosimo. Ha un carattere incostante: in alcune occasioni è infantile e in altre è molto matura. È opportunista e spesso Cosimo e i suoi amici non sanno se manterrà le sue promesse. Si fa desiderare, si mette in mostra ed è estremamente viziata. Sarà però l’unico vero amore di Cosimo, fin dal primo giorno che la vedrà. Tornata dal collegio sembra cambiata: sarà fedele al Barone, fino a quando lo abbandonerà a causa di gelosie e incomprensioni tra i due.Per la creazione di Viola, Calvino ha dichiarato, in un’intervista a Maria Corti del 1985, di essersi ispirato a Pisana, la giovinetta di cui è innamorato il protagonista de Le confessioni d’un italiano, di Ippolito Nievo.
Biagio Fratello di Cosimo, minore di quattro anni. È suo fedele e assiduo compagno di giochi e di vita, continuando ad assecondarlo e ad assisterlo. Non ha un’indole ribelle e obbedisce agli ordini senza lamentarsi; è inoltre altruista e molto attaccato al fratello. Nel romanzo tuttavia ha sempre una posizione neutrale o irrilevante. Per creare Biagio, Calvino si è ispirato al proprio fratello minore Floriano.
Arminio Piovasco di Rondò Padre di Cosimo, barone d’Ombrosa. È un uomo distinto, ma anche schizzinoso e ambizioso, tuttavia ‘fuori tempo’ in un modo che ai figli sembra ridicolo, alla luce dei cambiamenti politici in corso. È preoccupato della successione del suo titolo e tiene molto alla propria immagine. Aspira alla carica di duca d’Ombrosa, ma non riuscirà ad ottenerla. Dopo che il suo primogenito si arrampica sugli alberi è restio a farsi vedere per la vergogna e teme per le conseguenze dinastiche che il fatto avrebbe provocato. Qualche mese prima della sua morte, viene a conoscenza, da parte di molti Ombrosotti, di voci assai gentili e di rispetto devoto verso il figlio primogenito, tanto che, in un secondo tempo, apprezza la creatività del figlio, regalandogli una pregiata “spada”, preziosissima e originaria della Dinastia dei Piovasco di Rondò. Dopo quest’episodio passa l’ultima parte della sua vita perdendo ogni attaccamento ad essa, chiuso in casa fino a trovare pace nella morte. Per creare Arminio, Calvino si è ispirato al proprio padre Mario.
Generalessa Corradina von Kurtewitz Madre di Cosimo, ha vissuto l’infanzia al seguito del padre che se la portava dietro quando andava in battaglia. È autoritaria e usa modi a volte bruschi, ma è premurosa e si prende cura, a distanza, del figlio, con amore materno, e con lui specie negli ultimi anni cerca e crea un forte rapporto. Muore in seguito ad un attacco d’asma. Per creare Corradina, Calvino si è ispirato a sua madre Eva.
Battista Sorella di Cosimo, è stata costretta a vivere da “monaca di casa” da suo padre, dopo il fallimento del suo fidanzamento col “Marchesino”, accusato di averla aggredita, anche se il giorno della presunta aggressione fu lui, e non la ragazza, a gettare un grido di terrore. È anch’essa una ribelle, a suo modo, ed esprime la frustrazione per il suo stato in cucina, dove prepara minuziosamente pietanze, la maggior parte delle volte disgustose ed esibizioniste, con ingredienti insoliti e volutamente indigesti. Sposerà anni dopo il Contino d’Estomac.
Abate Fauchelafleur Vecchietto sciupato e raggrinzito che viveva con la famiglia dei Rondò. Si prendeva cura come aio dei due fratelli, ma senza una vera disciplina, per cui i ragazzini riuscivano, con lui, sempre a farla franca. Finisce la sua vita fra carcere e convento, in quanto viene scoperto in possesso di libri proibiti, destinati a Cosimo, cui faceva da intermediario nell’acquisto di pubblicazioni legali o meno.
Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega Amministratore dei poderi dei Piovasco di Rondò e fratellastro di Arminio. Sta sempre sulle sue, non si conosce molto del suo passato tranne che ha soggiornato per molto tempo alla corte del sultano ottomano, che è diventato un esperto di idraulica ed è coinvolto in diverse vicende. Sembra che non abbia la parola perché parla raramente e si mostra assai distaccato. Connivente coi pirati turchi che razziano regolarmente le navi di Ombrosa, riesce a scappare dall’assalto guidato proprio da Cosimo contro la base dei pirati. Morirà decapitato mentre cerca di salire su una barca dei pirati turchi, sognando di raggiungere Zaira, forse una donna, forse la figlia, lasciata nell’Impero Ottomano.
Gian dei Brughi Brigante che viene salvato da Cosimo, il quale, vedendolo inseguito dai gendarmi, lo invita a nascondersi sull’albero con lui. Da questo incontro nasce un rapporto simile all’amicizia tra i due: il brigante, stanco di essere tale, si fa prestare libri da Cosimo, che inizialmente glieli dà volentieri, ma successivamente inizia a stancarsi della petulanza delle richieste e del pessimo stato in cui Gian glieli riconsegna. Verrà giustiziato per impiccagione dopo un fallito tentativo di rapina.
Narratore Il narratore è Biagio, il fratello minore di Cosimo, quindi il libro ha un narratore interno alla storia. Nel romanzo Biagio afferma di raccontare ciò che il fratello gli ha narrato, per cui i suoi racconti non sono del tutto veri, ma contengono diversi elementi fiabeschi aggiunti da Cosimo, il quale amava raccontare delle sue avventure alla gente, sempre aggiungendo nuovi particolari di propria invenzione. Infatti Biagio, durante tutta la narrazione, fa diversi interventi per spiegare queste fantasie e discordanze. Fa eccezione il capitolo XXVII, quasi interamente narrato in prima persona da Cosimo.

La storia: è ambientata nel Settecento ed è narrata da Biagio, fratello minore del protagonista, Cosimo Piovasco di Rondò. Il giovane, rampollo di una famiglia nobile ligure di Ombrosa, all’età di dodici anni, in seguito a un litigio con i genitori per un piatto di lumache, si arrampica su un albero del giardino di casa dichiarando di non volerne più discendere per il resto della vita. Cosimo dimostra ben presto che il suo non è solo un capriccio, spostandosi solo attraverso boschi e foreste e costruendosi a poco a poco una dimensione quotidiana anche sugli alberi.
Il protagonista conosce Viola, una ragazzina di cui si innamora, figlia di nobili anche lei, trova un fedele amico nel cane Ottimo Massimo (di cui si scoprirà che una volta apparteneva a Viola e che si chiamava Turcaret) e diventa popolare presso gli abitanti delle terre dei Rondò. Lo stile di vita di Cosimo si trasforma in un percorso di formazione e maturazione: egli conosce i ragazzini popolani, fa amicizia col bandito Gian de’ Brughi (che morirà impiccato), studia la filosofia, arrivando a conoscere Voltaire per lettera, guida un attacco contro i pirati turchi, aiuta dei nobili spagnoli, i quali vivono anch’essi sugli alberi in una città chiamata Olivabassa, e forma una squadra di vigili del fuoco per prevenire gli incendi boschivi.
Il ritorno di Viola dal collegio fa avere a Cosimo una gioia immensa, ma temporanea a causa delle gelosie tra il protagonista e l’amata, che alla fine sposerà un nobile inglese e abbandonerà Cosimo. Nel frattempo anche ad Ombrosa si sente parlare della Rivoluzione francese e dell’esperienza travolgente di Napoleone Bonaparte: Cosimo, dopo tentativi di sollevare la popolazione locale, incontra il generale, rimanendone però deluso. Anziano e provato dagli anni sugli alberi, Cosimo non si arrende e non scende a terra, rispettando fino all’ultimo la propria promessa. Al passaggio di una mongolfiera, si aggrappa all’ancora e scompare all’orizzonte infine gettandosi in mare.

Incipit:
Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.

Questa storia che ho intrapreso a scrivere è ancora più difficile di quanto io non pensassi. Ecco che mi tocca rappresentare la più gran follia dei mortali, la passione amorosa, dalla quale il voto, il chiostro e il naturale pudore m’hanno fin qui scampata. […] Dunque anche dell’amore come della guerra dirò alla buona quel che riesco a immaginarne: l’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.

La storia, ambientata all’epoca delle Crociate contro gli infedeli, si sviluppa intorno a due personaggi antitetici: Agilulfo, cavaliere dall’armatura vuota, che esiste solo attraverso la forza di volontà e la coscienza, e Gurdulù, che esiste ma che è privo di coscienza, e che diventerà nel corso delle vicende lo scudiero del protagonista. Intorno a queste due figure (una priva di “individualità fisica”, l’altra priva “d’individualità di coscienza”) ruotano gli altri personaggi, attraverso i quali viene sviluppata la narrazione: in particolare acquista rilievo il giovane Rambaldo, che rappresenta una sorta di altro protagonista.


Uno dei temi predominanti nell’opera di Calvino è quello “dell’essere e dell’apparire”. Lo si denota nel cavaliere inesistente, in Suor Teodora e in Gurdulù. Calvino, nella sua opera, si sofferma anche su altre tematiche, quali la consapevolezza di sé stessi, la formazione dell’essere ed infine la ricerca interiore.

Agilulfo esiste solo per l’adempimento delle regole e dei protocolli di cavalleria, fra il rispetto delle norme del lavoro del campo e il combattere a partire dall’aver salvato l’onore di una vergine. Questo tema è strettamente collegato alla condizione moderna: Agilulfo è stato descritto come “il simbolo dell’uomo ‘robotizzato’, che compie atti burocratici con quasi assoluta incoscienza”. L’uomo del nostro tempo viene descritto da Calvino come smarrito, perso, fondamentalmente insicuro e vuoto, proprio come risulta vuota la bianca armatura indossata dal protagonista del romanzo Agilulfo.
Il personaggio che meglio rappresenta “l’unione”, il “punto di incontro” tra Gurdulù e Agilulfo è Rambaldo. Il ragazzo viene descritto da Calvino da una parte come una persona razionale e dall’altra parte come un individuo che si lascia guidare dal suo cuore. Rambaldo, giovane combattente che vuole vendicare la morte del padre, “cerca le prove d’esserci” nell’azione, e rappresenta quindi per Calvino “la morale pratica .
Torrismondo, l’altro giovane guerriero che mette in discussione le qualità del cavaliere Agilulfo per una superiore legge etica, rappresenta per Calvino “la morale assoluta”, perché il ragazzo ricerca l’esserci “da qualcos’altro che se stesso, da quel che c’era prima di lui, il tutto da cui s’è staccato”.
Bradamante, donna guerriero innamorata di Agilulfo, è anche narratrice occulta della storia nelle vesti di Suor Teodora; in lei si ricompongono i temi del libro (e anche della tradizione del poema cavalleresco di Boiardo, di Ariosto e di Tasso), l’amore e la guerra come prove della nostra esistenza. In più, nella sua natura doppia di Bradamante-Suor Teodora comincia a prendere corpo la riflessione di Calvino sulla scrittura e sulle sue potenzialità, preannunciando la linea di poetica degli anni Sessanta e Settanta. In tal senso, Il cavaliere inesistente illustra poi assai bene il piacere di Calvino per la citazione intertestuale, anche di stampo ironico.

Personaggi principali:
Agilulfo Emo Bertrandino: è il cavaliere inesistente, che riesce ad “esistere” solo grazie alla sua forza di volontà. La sua armatura, completamente bianca, pulita e senza graffi, non contiene niente e la sua voce sembra provenire dall’armatura stessa. La notte non può dormire, così s’impegna a contare ed ordinare le cose per vincere il malessere che lo assale, infatti, pur essendo uno dei migliori, è infelice perché spesso si sente sprofondare nel nulla. E’ molto impegnato anche di giorno, dato che controlla tutto all’interno dell’esercito e segnala eventuali mancanze: per questo motivo è antipatico a tutti gli altri cavalieri. Prende sul serio tutto ciò che gli viene detto, soprattutto gli ordini imperiali: quando Carlo Magno gli affida Gurdulù, mentre gli altri cavalieri ridono, egli cerca già di impartirgli i primi comandi. E’ puntiglioso, tanto che prepara in maniera perfetta anche le fosse per i caduti in battaglia e a tavola, pur non potendo magiare, pretende di essere servito come gli altri. Quando viene messo in dubbio il suo cavalierato si innervosisce e decide di partire per trovare delle prove a suo favore. Durante questo viaggio effettua molte imprese: si imbatte in alcuni orsi, libera una principessa e viene anche a contatto con una balena, ma grazie al suo coraggio riesce a portare a termine l’impresa. Tornato indietro, credendo ormai di aver perso l’opportunità di essere cavaliere, scappa e, dissolvendosi, decide di lasciare l’armatura al ragazzo.
Rambaldo di Rossiglione: figlio del marchese Gherardo, decide di arruolarsi per vendicare la morte del padre caduto in battaglia per mano dell’argalif Isoarre. Durante la sua prima battaglia, nonostante la paura per l’inesperienza, riesce a vendicare la morte del padre. Quando in battaglia il suo cavallo muore, è preso dal dolore per quel fedele “servitore”. Si innamora di Bradamante, una ragazza che accorre in suo aiuto sotto le vesti di un giovane cavaliere. Ammira molto Agilulfo e alla fine del romanzo riesce a conquistare la sua amata.
Bradamante: è la cavallerizza di cui si innamora Rambaldo. Si presenta sempre sotto le vesti di un giovane cavaliere, anche se ormai tutti sanno che è una ragazza. Lei, essendo amante della perfezione e del rigore si innamora di Agilulfo, ma alla fine, in convento, capisce di amare Rambaldo e fugge con lui.
Sofronia: è la figlia dei reali di Scozia e la ragazza che Agilulfo salva dai briganti. Dopo essersi fatta suora viene rapita e venduta ad un sultano, ma grazie ad Agilulfo riesce a fuggire e infine sposa Torrismondo.
Torrismondo: è un cadetto dei duchi di Cornovaglia e pensa che tutto ciò che lo circonda sia orribile e che l’unica cosa buona nel mondo sia l’Ordine del Santo Gral, di cui crede d’essere figlio. Durante un pranzo, egli rivela d’essere figlio dell’Ordine e di Sofronia, mettendo così in dubbio il cavalierato di Agilulfo. Partendo alla ricerca dei cavalieri cerca di entrare nell’ordine, ma capisce che non è facile. Alla fine del romanzo chiarisce l’equivoco e si sposa con Sofronia con la quale non vi è nessuna parentela.

La storia: In un Medioevo favoloso e ironico, Suor Teodora (che alla fine si rivela per l’eroina Bradamante) narra la storia di Agilulfo Emo Bertrandino, un cavaliere di Carlo Magno che non esiste perché è solo una splendida armatura bianca che cammina, assolutamente vuota dentro, che combatte con la sola forza di volontà. Siccome è molto preciso e puntiglioso, è antipatico a tutti, tranne che a Rambaldo di Rossiglione, un giovane cavaliere arruolatosi per vendicare la morte del padre e a Brandamente, una giovane guerriera innamorata di lui. Intanto, all’esercito di Carlo Magno arriva Torrismondo, un ragazzo che mette a rischio l’onore di Agilulfo perché sostiene che la donna che il cavaliere aveva salvato fosse sua madre e quindi non più vergine.  
Dopo avere dato prova sotto le mura di Parigi del suo valore, Agilulfo parte con lo scudiere Gurdulù alla ricerca di Sofronia, lasciata in un convento quindici anni prima. Dopo mille avventure, ritrova Sofronia che però ritiene colpevole di gravi peccati. Lascia allora l’armatura al compagno d’arme Rambaldo e scompare.
Gurdulù: è un ragazzo molto strano che l’esercito di Carlo Magno incontra nel suo cammino e a seconda dei paesi in cui transitano ha nomi diversi (Omobò, Martinzùl) Il re lo affida come scudiero ad Agilulfo, ma dissoltosi il suo padrone, viene preso come scudiero da Torrismondo. Viene descritto con gli occhi celesti, la pelle olivastra e la barba ispida a chiazze.

Durante un’ispezione di Carlo Magno alle sue truppe, il re scopre che nel suo esercito vi è Agilulfo,

Incipit: Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano lì; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po’ coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell’immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l’armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D’un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell’aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s’era sentito sin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài, pareva un po’ invecchiato, dall’ultima volta che l’avevano visto quei guerrieri.