INCIPIT
Si ricordava bene quella giornata al mare: Orlando aveva appena due anni e Virginia dieci. Era la prima gita che facevano dopo il fatto. La cosa che più era marcata nella sua mente era la luce abbacinante del sole che si rifletteva sulla sabbia bianca di Rosignano Solvay. Erano solo loro quattro su quel tratto di spiaggia e lei aveva passato quasi tutto il pomeriggio a osservare i suoi figli sguazzare nell’acqua e divertirsi rincorrendo i cavalloni. Nonostante il mare fosse agitato, era chiaro e setoso.
Quello fu il primo giorno in cui intravide una flebile speranza di poter aggiustare le cose; la prima volta in cui, sebbene solo per pochi minuti, ritrovò il senso del suo esserci.
Siamo sempre troppo giovani davanti alla morte. Troppo puri davanti alle sopraffazioni. Violante quel giorno pensò anche che siamo sempre in ritardo davanti alla vita.
Cu cu rintoccò l’orologio appeso alla parete che si trovava alle sue spalle. Era un vecchio pendolo di legno scuro a forma di casetta, dalla quale usciva un uccellino che cantava allo scoccare di ogni ora. Erano le dieci e già da mezz’ora Violante si trovava là, in quella stanza dov’era dura anche per i minuti fluire senza intoppi. I mobili di legno opaco, la libreria, la scrivania, le sedie a ridosso della parete segnavano qualcosa di già passato e declinavano i pensieri verso ciò che era stato e non era più. Perso. Frantumato. Dimenticato. A contrasto, la luce accecante del giorno inoltrato piombava nella stanza trapassando le tende di lino bianco che adornavano le finestre. Lì, nel mezzo, c’era lei, sprofondata in una sedia imbottita di velluto verde; sul suo volto erano visibili i segni del veleno che in quel preciso istante le scorreva al posto del sangue. “Avrebbe dovuto essere già qua” pensò Violante, “perché non è ancora arrivato?”. Si sentì vulnerabile. Era tutto troppo reale. Il suo viso contrito, luccicante di sudore, fissava la faccia della preside senza vederla. Il rumore sottile del ventilatore era una mosca noiosa che avrebbe voluto ammazzare. Si contorceva le mani con fare nervoso, non riusciva a controllarsi.
Giulia Arnetoli