INCIPIT
1
A undici anni Eliza Maxine Olivia Miller aveva già vissuto in otto luoghi diversi. Sua madre adorava cambiare città.
In quel momento Eliza e sua madre Jeannie abitavano a Morwell, una cittadina a due ore da Melbourne. Era un caldo pomeriggio di novembre e la classe di Eliza stava provando i canti natalizi per il concerto di Capodanno. Eliza era entusiasta perché finalmente poteva stare davanti agli altri a reggere la stella d’alluminio. Siccome era alta per la sua età, di solito la mettevano dietro a tutti.
Dopo le prove, i compagni parlarono di chi sarebbe venuto a vedere lo spettacolo, e lei si limitò ad ascoltare perché ancora non era ben inserita nel gruppo. In genere arrivava nella nuova scuola a metà anno quando gran parte delle amicizie erano già formate.
Una compagna, la minore di sei fratelli, nata e cresciuta a Morwell, annunciò la presenza di tutta la famiglia, inclusi i quattro nonni. Avrebbero riempito una fila intera di sedie. Un compagno aveva invitato tutti i suoi nove cugini.
«E tu, Eliza?», chiese un’altra.
«Viene solo mia mamma», rispose cercando di non arrossire. Non era abituata a tutta quell’attenzione.
«Tuo papà non può?».
Eliza fece no con la testa.
E dov’era il suo papà?, chiese un’altra. «Non lo so», rispose.
«Ma devi saperlo. Tutti sanno dov’è il loro papà».
Eliza arrossì e desiderò con forza che suonasse la campanella, e che non le chiedessero il nome di suo padre, perché non sapeva neppure quello.
Una volta la mamma le aveva detto, sorridente: «Un papà ce l’hai davvero, te lo giuro. Non me lo sono inventato. Non vive con noi, tutto qui».
«Un giorno potrò incontrarlo?», chiedeva regolarmente.
«Spero di sì. Un giorno», rispondeva con altrettanta regolarità sua madre.
«Perché non subito?»
«Perché non abita in Australia».
«E dove abita?».
Per tutta risposta Jeannie le sussurrava all’orecchio: «Sulla luna».
Una volta le aveva detto che abitava in una piramide in Egitto, un’altra volta che era una spia russa che lavorava sotto copertura – «significa in segreto» – e che sarebbe stato pericoloso cercare di contattarlo. Le aveva persino raccontato che faceva la controfigura di un famoso attore di Hollywood.
«Quando mi dirai la verità?», le chiedeva spesso Eliza.
«Quando compirai diciotto anni. Te l’ho promesso, lo sai».
Quel giorno, finite le lezioni, Eliza fece le solite cose; tornò a casa a piedi e aprì la porta con la chiave che portava legata a un nastro a mo’ di collana. Posò lo zainetto e si cambiò, indossando vestiti che sua madre definiva “casual da casa”, molto colorati e rigorosamente di seconda mano. Dal freezer prese un pasticcio di pollo confezionato e apparecchiò per due. Non doveva metterlo subito in forno, tanto la mamma non sarebbe tornata dal lavoro al supermercato prima delle otto. Sciacquò il bicchiere del vino e mise le due bottiglie vuote insieme alle altre, accanto alla porta sul retro. Poi prese la lista che le aveva lasciato e cominciò a leggerla.
Adorava le liste; piacevano molto anche a sua madre, e spesso comunicavano per mezzo di elenchi.
Ciao
mamma
come
stai?
Molto
bene
grazie
Eliza.
Così le lasciava elenchi di cose da fare che non soltanto la tenevano occupata, ma stranamente le facevano compagnia quando si sentiva sola nelle serate trascorse ad aspettarla. Jeannie riempiva gli scaffali del supermercato e spesso era di turno nel fine settimana. Le aveva spiegato che i soldi servivano per pagare l’affitto, il cibo e i vestiti, quindi se da un lato quel lavoro rendeva la loro vita più difficile, dall’altro la semplificava. La mamma era molto brava nel raccontare “entrambi i punti di vista”, come diceva lei.
Quel pomeriggio fece tutto quello che le aveva chiesto.
Fai uno dei tuoi fantastici disegni per me (soggetti possibili: le mie piante in vaso? Il vaso verde?).
Spazza la cucina.
Guarda due cartoni animati.
Eliza aggiunse altre cose alla lista. Suonò la sua canzone preferita al flauto, cercando di ignorare le note stridule; riempì il beccatoio in veranda; si rannicchiò sul divano logoro con un libro. Si svegliò con una carezza sui capelli e la voce di sua madre che sussurrava: «Eliza, tesoro?».
Schizzò a sedere. Oh no, il pasticcio! Doveva metterlo in forno!
«Ce l’ho messo io, tranquilla. È quasi pronto», la rassicurò Jeannie. Le chiese com’era andata a scuola. Tutto bene, tranne l’ultima ora. Un compagno le aveva dato un pizzicotto doloroso.
«Vuoi che venga a scuola domani e lo ammazzi?».
Era una proposta così perfida che Eliza si mise a ridacchiare. Scosse la testa.
«Potrei fargli molto male. Potrei accecarlo, oppure spezzargli tutte le matite, o bruciargli i libri, che ne dici?».
«No, no», fece Eliza ridendo.
«Sei una guastafeste». Jeannie le accarezzò i capelli nel modo che le piaceva tanto e le diede un altro bacio.
Dopo cena lavarono i piatti insieme. Il telefono suonò quando Eliza stava andando in camera a mettersi il pigiama. Sentì Jeannie che chiacchierava e rideva. Forse era una delle sue due madrine.
Voleva molto bene a Maxie e Olivia. Le vedeva un paio di volte l’anno. Maxie viveva a Sydney e recitava in una soap opera che la teneva molto impegnata; Olivia gestiva un hotel a Edimburgo, un posto pieno di opere d’arte, insieme al nuovo marito e ai figliastri. Quando venivano in visita era sempre un gran divertimento, e la mamma era felice.
Finita la telefonata, apparve sulla soglia con un bicchiere di vino in mano e un gran sorriso. Eliza era a letto e leggeva.
«Eliza Maxine Olivia, ho notizie importanti da darti».
Le piaceva quando sua madre esordiva con annunci del genere.
Jeannie si sedette sul bordo del letto. «Domani chiamo la scuola e chiedo di parlare con la persona che si occupa del concerto di Capodanno. Voglio prenotare tre posti».
«Tre?».
«Uno per me e uno per ciascuna madrina».
Eliza sgranò gli occhi. «Vengono tutt’e due? Insieme?».
«Esatto! In carne e ossa e pronte a tutto!»
Monica McInerney