INCIPIT
Mio padre ci aveva lasciato due volte, tutte e due nello stesso anno. La prima per farla finita con mia madre, la seconda per farla finita con la vita. Quell’anno, il 1989, la mamma era volata a Hong Kong e gli aveva dato sepoltura in un cimitero vicino al confine cinese. Poi, stravolta, si era precipitata a Vancouver dove io ero rimasta a casa, da sola. Avevo dieci anni. Ecco quello che ricordo: Mio padre, un bel volto senza età; un uomo gentile, malinconico, con gli occhiali senza montatura. Le lenti nude sembrano aleggiargli davanti al viso, leggerissime tendine. Gli occhi scuri, insicuri, guardinghi. Ha solo trentanove anni. Si chiamava Jiang Kai ed era nato in un piccolo villaggio alla periferia di Changsha. In seguito, quando scoprii che in Cina era stato un famoso pianista concertista, pensai alle sue mobili dita che svolazzavano su ogni superficie, sul tavolo della cucina e su per le morbide braccia della mamma, e poi giù, fino ai polpastrelli, scatenando l’irritazione di lei e la mia grande allegria. A lui devo il mio nome cinese, Jiang Li-Ling, e anche quello inglese, Marie Jiang. Quando morì ero solo una bambina, e i pochi ricordi che conservavo, per quanto frammentari, per quanto imprecisi, erano tutto quello che avevo di lui. Li ho sempre tenuti con me.
Madeleine Thien