INCIPIT
È la prima volta che ti scrivo dopo la tua morte. Sono a casa tua. Vengo spesso qui, almeno un paio di volte alla settimana. Ho lasciato tutto com’era, come volevi tu. Non ho tolto niente. La pulisco io, non permetto a nessuno di mettere piede qui dentro. Sistemo e risistemo il tuo armadio, faccio prendere aria ai tuoi vestiti, apro e riapro i tuoi cassetti.
Porto dei tulipani, possibilmente gialli.
Non l’ho mai affittata, nonostante Aurelio mi abbia detto più volte che era uno spreco, ma lui non capisce neanche perché io voglia, anzi, mi ostini a passarci così tanto tempo.
A volte mi siedo sul divano e cerco uno di quei film hollywoodiani in bianco e nero che ti piacevano tanto. Ricordo che spesso facevamo tardi la notte per guardare quelli che davano in seconda serata, anche quando avevo la scuola il giorno dopo.
Assurdo. È tanto tempo che non “ti parlo” e ti sto dicendo una valanga di banalità.
Quanta colpa ho scontato, Mamma?
Fingerò che tu mi abbia telefonato. Sì, che tu mi abbia chiamato la terza o la quarta volta nella giornata, come facevi di solito, per sentire la mia voce. Eravamo delle campionesse a parlare del nulla, tu e io. Solo perché al telefono bisogna dirsi qualcosa, altrimenti ci sarebbe bastato sapere che ciascuna di noi due era dall’altra parte e ascoltare reciprocamente il nostro respiro. Ho bisogno di credere, di convincermi, che tu voglia ancora parlarmi, Mamma, che quasi quindici anni dalla tua morte abbiano potuto far sorgere in te la nostalgia di me e che tu oggi sia contenta di sentirmi.
Io non so se sei a conoscenza di tutto quello che mi è successo in questi anni. Non credo che le anime libere sprechino il proprio tempo a guardare le nostre miserie. Credo che tu sia da qualche parte (a volte ti immagino su spiagge caraibiche a leggere un buon libro), ma non so seti sia voluta interessare a me, in questo tempo. Preferisco pensare che tu non sappia niente.
Susy Galluzzo