INCIPIT
Il sole brillava alto in un cielo privo di nubi, i raggi picchiavano inesorabili rendendo lʼaria bollente. Il monte Jebel Hafeet sulla destra dominava dallʼalto dei suoi milleduecento metri come un dragone fossilizzato sdraiato su una distesa di pietre, sabbia e polvere. Eravamo a due passi dal valico frontaliero di Mezyad, una manciata di chilometri da Al Ain. Oltre le strutture color crema a forma di tendoni da circo che costituivano lʼultimo avamposto degli Emirati Arabi Uniti, cʼera lʼOman. Rakhid, il giovane insegnante di religione islamica che ci aveva trovato un angolo dove piantare la tenda per passare la notte, sembrava preoccupato e ci fece promettere che gli avremmo telefonato una volta varcato il confine. Mi pare ancora di vederlo, con quel naso mastodontico, una chioma fitta tendente al biondo e lo sguardo malinconico. Parlò per ore di Islam prima di accompagnarci al confine. Sembrava che il suo unico intento fosse quello di comunicare che la sua religione non era “quella mostruosità che alcuni commentatori in Occidente dipingono troppo spesso”. Che “gli errori di chi dellʼIslam non conosce nulla o, peggio ancora, manipola i contenuti sacri del Corano” non potevano inficiarne i sacri principi. Nel congedarsi, ci augurò buon viaggio aggiungendo che tutto sarebbe dipeso dalla volontà di Dio. Immagino che il mio volto abbia lasciato trasparire, attraverso un impercettibile movimento muscolare, unʼesitazione. La intercettò. Decise allora di affossare per un attimo il fatalismo islamico ed aggiunse: «Siete due persone speciali e di buon cuore, andrà tutto bene, ne sono sicuro». Come per rimediare a quella che mio malgrado poteva sembrare una mancanza di rispetto nei confronti di un ospite dalle qualità umane eccezionali, nellʼabbracciarlo, replicai con un “Inshallah”. “Se Iddio lo vorrà”.
Paolo Luigi Zambon