Avevo dentro una gran voglia di urlare, ma sapevo che era meglio non farlo, e continuai a spruzzare la vernice azzurra a testa bassa, rimpiangendo di non avere un udito meno fino. Le urla che mi tenni dentro allora, e che soffocavo sempre in circostanze di quel tipo, aspettavano, aspettavano che arrivasse la volta buona per liberarsi, finalmente. Vorrei poter aggiungere che in realtà non accadde nulla di tutto questo. (Pag. 16)
Addio, Sweet Mister, di Daniel Woodrell, NN Editore 2021, traduzione di Marcella Dallatorre, titolo originale “The Death of Sweet Mister”, pagg. 183
In questo cupo racconto di formazione, Woodrell torna a West Table, la cittadina ai piedi dei monti Ozarks, Missouri; la sua prosa noir e insistentemente realista è come un pugno nello stomaco. Già apparso in Italia, da Bompiani nel 2001 col titolo “Il mio bel cavaliere se n’è andato”, e da Fanucci nel 2010 col titolo “Io e Glenda”, NN Editore lo ripubblica a completamento della serie di West Table e nella nuova traduzione a cura di Marcella Dallatorre, con una postfazione di Serena Daniele.

Vi ricordo che sul blog trovate anche le recensioni de “La versione della cameriera” e “Tomato Red”.
La voce narrante è il tredicenne sovrappeso Shuggie Atkins, acuto e cinico per la sua età, vive con la madre perennemente ubriaca e sognatrice, Glenda, e il suo patrigno spietato, Red.
Glenda è una trentenne molto sensuale: i lunghi capelli neri, un fisico perfetto messo in risalto dagli shorts che “probabilmente avrebbero dovuto avere un’altra lunghezza per essere adatti a una madre” – come li definisce Shuggie -, cammina e attira su di sé tutti gli sguardi, turbando il figlio adolescente e innescando un rapporto di dipendenza e gelosia molto pericoloso, che ad un certo punto diventa decisamente border-line. Glenda è l’unico barlume per Shuggie in un universo straordinariamente cupo. Il ragazzo è sovrappeso e poco attraente, senza amici e isolato. Vivono in una baracca nel mezzo di un cimitero, dove Shuggie si occupa dei compiti di custode mentre sua madre tracanna la miscela di rum e cola che lei chiama “tè”. Di sera, Glenda si veste come se dovesse uscire per una serata speciale, ma invece siede stordita dall’alcol davanti alla televisione e flirta con Shuggie.
Red è un poco di buono, un malvivente violento e prevaricatore, sempre in libertà vigilata, va e viene a suo piacimento col suo amico Basil e mantiene una relazione con una certa Patty, sua socia in affari. Red, che si fa di qualsiasi tipo di droga gli capiti a tiro, costringe Shuggie a rubare antidolorifici a malati di cancro indifesi; è quello che ritiene una formazione necessaria al ragazzo, per farlo crescere facendo “cose da uomini” e mandando lui a rischiare di essere beccato dalla polizia. Red è ferocemente offensivo, sia fisicamente che verbalmente, e continua ad umiliare sia Glenda che Shuggie, chiamandolo sempre ciccione, insultandolo e mettendo le mani addosso a tutti e due. Glenda cerca di difendere il figlio distraendo Red col suo fascino, ma non sempre questo gli assicura l’incolumità.
Red si voltò verso Glenda. Respirava così rabbiosamente che gli fremevano le narici e gli si arricciavano le labbra, come se volesse sputarle in faccia la merda che aspettava di gettarle addosso da tutta la vita. Lei non alzò il viso per guardarlo. «Stammi bene a sentire: adesso io me ne vado, vado a prendermi tutto quel che mi spetta, il massimo. Perciò vaffanculo tu e quel ciccione di tuo figlio! Quel sacco di merda non arriverà mai – mai – a un’età in cui potrà scontrarsi con me, capito? Non arriverà mai il giorno in cui potrà suonarmele per difenderti. Né adesso né mai. Perciò vaffanculo tutte e due!» (Pag. 54)
Nell’episodio in cui Red porta con sé Shuggie al fiume (per sondare cosa ha riferito ai poliziotti) Woodrell tesse efficacemente la solitudine del ragazzo; disgustato dal comportamento di Red, annichilito dal senso di impotenza, è nel fiume che sente un desiderio di morte, come di un qualcosa che lo pacifichi, che lo porti via, ed è forse il momento in cui sente tutto il peso della consapevolezza della sua infanzia distrutta.
Il destino mette Jimmy Vin Pearce sulla strada di Glenda e Shuggie; alla guida della sua Thunderbird verde brillante, Jimmy Vin è un uomo di mezz’età, vestito “come uno che è sempre riuscito a trovare un lavoro”, cortese, cosmopolita grazie al suo lavoro di chef, è l’esatto opposto di Red. In breve inizia una segreta – a Red – relazione con Glenda, offrendole momenti di serenità e di passione. Glenda vede in questo la possibilità di cambiare vita, di lasciare Red e andarsene da West Table, dove sa benissimo che per lei non c’è un futuro luminoso. Chiede a Shuggy se Jimmy Vin potrebbe essere un buon padre, ma il ragazzo tutto vuole tranne che un altro contendente con cui giocarsi l’amore della madre.
Infastidito da queste pseudo figure paterne, disperatamente in ansia, sopraffatto dalla gelosia, a stento capace di trattenere la sua furia omicida, Shuggie deve decidere: tradire sua madre o concederle la felicità? Woodrell mette in scena un’implacabile geometria delle passioni, un triangolo in cui fluttua l’ambiguità dei sentimenti, dove la tenerezza può diventare violenza, l’affetto materno possesso, la gelosia incestuosa violenza.

La lettura del romanzo mantiene costantemente la tensione alta perché si teme che il peggio possa accadere in qualsiasi momento: gli scoppi violenti di Red, l’instabile personalità di Glenda, la rabbia repressa di Shuggie, sono come dei moltiplicatori di ansia. In questo romanzo che richiama la tragedia classica nella figura di Edipo,Woodrell mostra i suoi personaggi in una luce spietata, senza mai cedere all’impulso di romanticizzarli. Facendo condurre la narrazione a Shuggie, una voce acerba e analfabeta di buoni sentimenti, l’autore drammatizza potentemente i possibili esiti della turbolenza dei suoi impulsi, a malapena controllati e in un certo modo malsani. Attraverso una prosa spietata e un’abile caratterizzazione, Woodrell sostituisce la delicatezza letteraria con una lacerante resa delle passioni umane, con una forza rude e molto realistica. Shuggie deve crescere in questo tipo di mondo la cui dura filosofia è riassunta in uno dei rari consigli materni di Glenda, quando lo va a prendere alla centrale di polizia dopo l’arresto:
«Non hai detto niente, vero?» «No». «Tu sai che è meglio non dire niente, giusto?». «Non gli ho detto niente». «Bene». Si tirò su la gonna, scoprendosi la pancia, per asciugarsi la faccia. «Devi comportarti da duro, Sweet Mister». (Pag.90)
È nelle pagine finali che capiamo quanto Shug abbia imparato quella lezione e quanto sia in grado di metterla a frutto, quanto la sua innocenza sia definitivamente e tragicamente perduta.
Tutta quella luce che veniva verso di me, e non c’era niente che mi interessasse vedere.
sempre letture leggere vedo eh
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😁😁😁😁
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