Perché non c’è niente di insolito o straordinario nella famiglia Swart, eh no, assomigliano alla famiglia della fattoria accanto e di quella ancora dopo, sono solo un normale gruppo di sudafricani bianchi, e se non ci credi allora sentici parlare. Le nostre voci non sono diverse dalle altre, hanno lo stesso suono e raccontano le stesse storie, con un accento che sembra calpestato, tutte le consonanti decapitate e le vocali bruciate. C’è qualcosa di arrugginito, macchiato di pioggia e ammaccato nella anima, e traspare dalla voce. Ma non dite che non cambiamo mai! Perché indovinate chi altro c’è oggi in prima fila, una parente onoraria. Guarda fino a che punto siamo arrivati in questo paese, c’è la governante nera, seduta insieme alla famiglia! (Pag.207)
La promessa, di Damon Galgut, Edizioni E/O 2021, traduzione dall’inglese di Tiziana Lo Porto, pagg. 281
Ho appena finito di leggere – e rileggere: sì, l’ho letto due volte di fila – il nuovo straordinario romanzo di Damon Galgut, vincitore del Booker Prize 2021, che racconta il declino di una famiglia bianca durante la transizione del Sudafrica dall’apartheid e dal colonialismo alla società libera. Il racconto inizia nel 1986 e termina nel 2016, abbracciando quindi un trentennio cruciale, sia a livello pubblico che privato, per le vite dei protagonisti.
La promessa è il suo nono romanzo e il primo dopo sette anni. Galgut è il terzo sudafricano a vincere il prestigioso premio per la narrativa, dopo JM Coetzee e Nadine Gordimer, che hanno vinto due volte. Nel catalogo di E/O trovate anche “In una stanza sconosciuta” (selezionato per il Man Booker Prize) e “Estate artica”.
L’opera è divisa in quattro parti, a intervalli di circa dieci anni, ciascuna incentrata su uno dei membri nel momento topico della sua morte e di tutti gli smottamenti che genera sull’equilibrio familiare. Nella prima parte la famiglia Swart deve fare i conti con la morte di Rachel, una quarantenne ebrea madre di tre figli in una piccola tenuta fuori Pretoria. La donna si era recentemente riavvicinata alla sua religione e le sue ultime volontà hanno richiesto un funerale secondo il rito ebreo, cosa che genera una crepa enorme con il marito Manie e i parenti di lui. Ma il dramma della sua morte appare immediatamente in tutta la sua tragicità per le ripercussioni sui figli e sulla coesione familiare.
Vittime della perdita sono tutti e tre i figli, ciascuno colto dall’evento in un momento di crisi della propria esistenza, nel quale l’appoggio materno sarebbe stato necessario; soprattutto la tredicenne Amor – la figlia più piccola – accusa la perdita. Ma al di là del comprensibile – e comune – dramma familiare, lo sfaldamento si concretizza a causa di una promessa che la donna aveva chiesto al marito afrikaner, Manie, e che lui le fece prima che morisse, ascoltato dalla loro figlia più giovane, Amor: e cioè che Manie avrebbe concesso alla loro domestica nera, Salome, la proprietà della casupola che ella occupa all’interno della proprietà.
Ora che Rachel è morta, Manie si è apparentemente dimenticato della promessa e non si preoccupa affatto quando Amor glielo ricorda. Né la sua famiglia bigotta – la sorella e il cognato, ma anche la figlia maggiore Astrid – , dà peso alla cosa, e considera l’ostinata insistenza di Amor sul fatto che Salome dovrebbe possedere la sua casa come il tipo di discorso che “ora sembra aver contagiato l’intero paese”. Amor viene rispedita in collegio, delusa e frustrata di fronte a quella che ritiene un’ingiustizia. E amareggiata di quanto il suo parere sia stato del tutto scavalcato.
È abituata a essere trattata come una macchia confusa, una macchia ai margini della visione di tutti. Troppo giovane, troppo sciocca, per essere presa sul serio. Ed è anche una bambina strana, stranissima. Insolita e forse tragica, facile da trascurare. (Pag.68)
L’incapacità di Manie di mantenere la sua parola cade come una maledizione sui destini dei membri della famiglia. È lui, dopo la moglie, a morire, mentre il paese inizia il suo processo di cambiamento e i suoi figli si disperdono. Astrid, rimane a Pretoria, diventando una specie di arrampicatrice sociale; madre di due gemelli, bulimica da sempre, passa attraverso due matrimoni dei quali poco le importa; tradisce i due mariti ed è biecamente attratta dal potere. Galgut sconcerta il lettore, lasciandolo senza fiato, con le circostanze della sua morte.
Il fratello Anton vive all’ombra di un crimine che ha commesso mentre era un militare di leva poco più che adolescente; schierato contro i manifestanti neri durante le rivolte nelle township degli anni ’80, ha ucciso una donna, poco prima che sua madre morisse; evento che lui vive come una sorte di nemesi e che lo manda in crisi, fino al punto di disertare e fuggire.
Il Sudafrica è cambiato, due anni fa hanno abolito la leva obbligatoria. Gesù, che cosa ha fatto disertando, è un eroe, non un criminale, incredibile quanto in fretta la cosa sia cambiata. Ma a nessuno importa molto, che sia l’uno o l’altro. È già storia. Sei solo l’ennesimo poveraccio che per qualche anno ha vissuto da fuggiasco, nascondendoti nelle terre selvagge del Transkei e poi a Johannesburg, difficile sapere quale giungla fosse la peggiore. Ma quando si tratta di sopravvivenza fai quello che devi. Anche a scapito, ecco, della tua dignità. (pag.94)
La malafede di Manie non è l’unico elemento che interferisce con la sua promessa. All’inizio del romanzo siamo ancora nell’era dell’apartheid e la legge sudafricana sancisce che Salome – in quanto nera – non potrebbe possedere la proprietà anche se Manie lo desiderasse. Trascorsi gli anni, anche quando il Sudafrica è cambiato e tutti possono avere delle proprietà, l’idea di giustizia non può ritenersi del tutto incoronata, nonostante l’atto di volontà di Amor. Ormai quarantacinquenne, Amor ha ostinatamente rifiutato la sua famiglia per tutti questi anni proprio in virtù di quella promessa più volte rinnegata e ora che può finalmente esaudirla, salta fuori che c’è una precedente rivendicazione storica sulla terra – in altre parole, Salome potrebbe ottenere la casa ed essere ancora sfrattata. Ecco dunque che il lettore si trova di fronte all’amara verità: nessun atto riparatorio può assicurare la vera giustizia. Ed è evidente che Galgut non voleva raccontare una storia moralistica di eroi e oppressori, né offrire una sorta di catarsi collettiva che rivelasse una strada da percorrere per il paese.
“Sono scettico sull’affermazione secondo cui i romanzi cambiano il mondo. Non ci credo davvero”, ha detto. “I romanzi ti raccontano come ci si sente ad essere vivi in un particolare momento della storia. Li vedo più come una testimonianza che come un agente di cambiamento”.
“So che alcuni romanzieri e alcuni critici potrebbero percepire questo come un fallimento nel mio lavoro”, ha continuato Galgut. “Credono che i romanzieri debbano indicare la via morale da seguire, ma mi sento molto a disagio in quel ruolo, ad essere onesti”.
Stralcio. Intervista rilasciata al NY Times
Sorprendente lo stile con cui Galgut conduce la narrazione: parla in terza persona, inframmezzando pensieri e paure dei personaggi che si esprimono facendo capolino tra i paragrafi; ma anche si rivolge direttamente al lettore, a volte incalzandolo con frasi del tipo “hai capito?”. Altre volte, sottolinea ironicamente la mentalità razzista degli afrikaner, ad esempio quando, in un preciso contesto, dice che non abbiamo notizie di Salome perché a nessuno viene in mente di chiederle. Non ci sono separazioni tra i paragrafi, è tutto un flusso, anche quando ci sono cambi di scena e questo modo di scrivere mantiene un ritmo incalzante, che trascina il lettore senza salti di continuità.
La promessa che Rachel ha strappato a Mannie e che lui ha disatteso – così come faranno i suoi figli, se non per mano di Amor, ma distanza di trent’anni, quando ormai è troppo tardi – diventa un’allegoria per le promesse non mantenute fatte ai sudafricani neri all’alba della democrazia del paese del 1994. E il tema del possesso della terra rimane a tutt’oggi uno dei temi centrali nel dibattito politico in quel paese. La parabola della famiglia Swart presa ad esempio di tutta una parte della nazione, sta lì a dimostrarlo.
Quando Mandela appare con la maglia verde da rugby degli Springboks per dare la coppa a François Pienaar, be’, è un gran momento. È religioso. Il boero tutto muscoli e il vecchio terrorista si stringono la mano. Chi se lo sarebbe mai immaginato. Mamma mia. Più di una persona ripensa al momento in cui Mandela è uscito di prigione, il pugno in aria, appena pochi anni fa, e nessuno sapeva che aspetto avesse. Ora la sua faccia è ovunque, come uno zio, amichevole, severa ma indulgente, o che risplende su tutti noi come Babbo Natale, proprio come fa in questo momento. Difficile non versare una lacrima per il nostro bel paese. Siamo tutti fantastici in questo momento. (Pag.145)
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Damon Galgut è nato a Pretoria, in Sudafrica, nel 1963. Nato in una famiglia di avvocati, cominciò a scrivere quando era in convalescenza in ospedale a causa di un cancro all’età di sei anni. Ha studiato recitazione nell’Università di Cape Town e debuttò con A Sinless Season a 17 anni; il suo lavoro di maggior successo è The Good Doctor, 2003. È apertamente omosessuale.
The good doctor è ambientato nel Sudafrica post-apartheid: esplora la difficile amicizia tra due uomini molto diversi in un ospedale rurale deserto. Ha vinto il Commonwealth Writers Prize nel 2003 (Africa Region, Best Book) ed è stato selezionato per il Man Booker Prize for Fiction 2003 e l’International IMPAC Dublin Literary Award 2005. È stato seguito da L’impostore (2008). I suoi ultimi romanzi sono In a Strange Room (2010), selezionato per il 2010 Man Booker Prize for Fiction, e Arctic Summer (2014), un resoconto romanzato delle relazioni di EM Forster in tempo di guerra ad Alessandria e in India.
Non vedo proprio l’ora di leggerlo!
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Ame è piaciuto tantissimo…
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Si capisce dalla tua bellissima recensione!
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Non sono sicura di essere riuscita a rendere giustizia a questo straordinario romanzo… leggetelo!
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Gli hai reso eccome giustizia e sono sicura che spingerai molti lettori a leggerlo ;).
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Grazie Benny! In effetti spero che lo leggeranno in molti, è una buona occasione per conoscere la letteratura di quel paese.
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ottima recensione. una precisazione: termina nel 2018, dopo che zuma si e’ dimesso
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Grazie per la precisazione 👍👍👍
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