Era quello il nocciolo della sua infanzia. Quelli i ricordi che custodiva dentro di sé. La fatica e il duro lavoro e il continuo spostarsi, inseguendo un’occupazione dopo l’altra, dimenticati in quella magia; il riversarsi delle parole dalla pagina e la sensazione di intimità in qualunque misero riparo potessero permettersi o che fosse messo a loro disposizione. La sua idea di famiglia racchiusa per sempre nell’abbraccio condiviso di una storia.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 94
Le stelle si spengono all’alba, di Richard Wagamese, La Nuova Frontiera editore 2021, traduzione dall’inglese canadese di Nazzareno Mataldi, pagg. 253
Il commovente romanzo di Richard Wagamese – morto nel 2017 – uscito postumo per i tipi di La Nuova Frontiera, nella eccellente collana “La frontiera selvaggia”, è uno di quelli che non si dimenticano. Lo è per molti motivi, letterari e non, ma soprattutto lo è perché racconta una storia universale, una storia di redenzione attraverso il racconto, una storia di ricerca delle proprie origini. E lo fa con una potenza devastante. Ambientato nell’innevato nord del Canada narra i complessi rapporti tra padre e figlio, e quelli di una comunità di nativi canadesi alle prese col potere tenere viva la propria identità.
Protagonista è un adolescente, Franklin Starlight, di origini indiane, adottato da un uomo bianco; il vecchio – così lo chiama il ragazzo – vive in una fattoria nel nord del Canada, è legato alla terra e agli animali e conduce una vita onesta, parca di parole ma ricca di gesti e di sentimenti mai sbandierati ma forti. Il vecchio insegna a Frank tutto quello che serve per diventare un brav’uomo, lo consola nei momenti di spaesamento e cerca di sopperire a tutto ciò che a Frank è stato tolto. Il ragazzo non sa nulla della madre e poco del padre vero, Eldon, che, quando raramente lo incontra, è puntualmente ubriaco e incapace di relazionarsi con lui.
Dopo una vita di cadute e fallimenti, Eldon sente avvicinarsi la fine e chiede a Franklin di esaudire il suo desiderio di morire sulle montagne care ai popoli indiani e di essere sepolto come un guerriero Ojibwe. Il ragazzo sente di dovere accompagnare suo padre nell’ultimo viaggio: percorrono insieme questa ultima possibilità di conoscersi, muovendosi attraverso gli scenari maestosi delle montagne canadesi, tappezzate di foreste e popolate da animali selvatici. Un viaggio in cui Eldon decide di raccontare al figlio la storia della sua vita costellata di dolori, perdite ma anche vergogna e senso di inadeguatezza, le atrocità della guerra in Corea, la povertà, i lavori precari e gli affetti perduti.
Il loro è un viaggio difficile, lo è per Eldon fisicamente, con il corpo devastato e soffre ad ogni minimo movimento, emotivamente perché mettersi a nudo non è impresa facile; eppure, forse per la prima volta nella sua vita, sa quanto sia importante trasmettere al figlio la sua storia, fargli sapere da dove viene e chi lo ha concepito. Dopo anni in cui si è nascosto a lui, schiacciato dai rimorsi e dalla sofferenza, ora che sa di essere agli sgoccioli, vuole stabilire una connessione con lui: sa che non può cercare il perdono del figlio per tutto ciò che non ha saputo offrirgli ma ha bisogno soprattutto di perdonare se stesso, per chiudere gli occhi trovando un po’ di pace. Per Franklin questo viaggio rappresenta l’opportunità di conoscere le proprie origini, la storia alle sue spalle, di rispondere alle tante domande che hanno reso incerto il suo senso di appartenenza; per Frank il vecchio è il padre che l’ha cresciuto, che gli ha insegnato tutto, ma per affrontare la vita è importante sapere di più su se stesso. Non sarà forse in grado di offrire il perdono a Eldon, non dopo così tanto tempo – più volte gli ripete che avrebbe dovuto raccontargli prima queste storie – ma potrà capire chi è e forse comprenderlo.

Tanti i temi che si intrecciano in questo magnifico romanzo, ciascuno contribuendo a dare spessore e profondità alla trama. Eldon sceglie come strumento di avvicinamento al figlio proprio la narrazione, uno strumento universale fin dalla notte dei tempi, veicolo di trasmissione di conoscenza e coscienza collettiva soprattutto dei popoli che trasmettevano le storie oralmente, come nel caso dei popoli nativi americani; attraverso il raccontare storie si attua un processo di identificazione con le proprie origini, proprio ciò di cui ha bisogno Frank, e che appartiene ai suoi familiari, e che solo Eldon può dargli. Attraverso le parole di Eldon, Frank inizia ad avvicinarsi alla sua identità:
Jimmy disse che Starlight era il nome dato a quelli che avevano ricevuto gli insegnamenti del Popolo delle Stelle. Molto tempo fa. Secondo la leggenda scendono dalle stelle in notti come questa. Notti serene. Si siedono con la gente e raccontano delle cose. Storie perlopiù, sulla natura delle cose. Ai più saggi veniva insegnato di più. Alla nostra gente. Gli Starlight. Noi eravamo destinati a essere maestri e cantastorie. Dicono che notti come questa riportano a galla quegli insegnamenti e quelle storie, ed è in queste occasioni che dovrebbero essere trasmessi di nuovo.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 166
E non a caso, il raccontare storie è l’elemento che accomuna le due donne che Eldon ha amato, la madre e Angie, con cui ha concepito Frank. Quando era un ragazzino, dopo la morte del padre, la madre di sera si sedeva di fianco a lui e iniziava a raccontare:
la amavano per la potenza evocativa delle sue parole, per come sapeva trasformare le notti in giorni pieni di avventure, audacie e mistero. Parole avvincenti nelle trame che intesseva. Sogni resi reali dai cambiamenti di tono ed enfasi e dalle pause lunghe, quasi dolorose, cui ricorreva, lasciandoli senza fiato, finché non li liberava di nuovo nel flusso del racconto.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 99
Lo stesso accade con Angie, “una tessitrice di storie”, che racconta la sera, dopo cena, vicino al camino, a Eldon e a Bunky:
«Le tira fuori dal nulla. Le racconta per filo e per segno come se leggesse da un libro. Vedrai. La prima volta mi ha lasciato di stucco.»
«Le inventi?» domandò.
«È come se le avessi da sempre dentro di me» disse lei. «Le pesco e si raccontano da sole.»
Le stelle si spengono all’alba, pag. 198
Dicevamo il raccontare le storie collegato intimamente con l’identità. Richard Wagamese era un indigeno del Canada, con origini Ojibwe, e quindi intreccia la sua personale esperienza con il flusso narrativo dei personaggi, affrontando il tema dell’identità che emerge attraverso il mito, per definire la coscienza collettiva di un intero popolo, le sue tradizioni, l’oralità delle loro trasmissioni, un tutt’uno, inscindibile, tra narrazione, mito e identità. E non a caso durante il loro viaggio attraverso la foresta, risalendo per ripidi sentieri le pareti scoscese delle montagne, Frank conduce suo padre in un luogo dove ha trovato dei disegni ancestrali: uccelli, animali dalle strane forme, cavalli e bisonti. Eldon rimane a bocca aperta e chiede a Frank quale ne sia il significato:
Per quel poco che riesco a capire sono storie. Penso che alcune parlano di viaggi. Mi danno questa impressione. Altre sono su ciò che alcuni hanno visto nella loro vita. Secondo il vecchio nessuno le ha mai decifrate del tutto.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 76
Eldon racconta al figlio la sua vita, un passato costellato di cicatrici fin dall’infanzia: la guerra in cui perse il padre, un’infanzia nomade inseguendo lavori precari, il sangue indiano di cui non ha potuto seguire le orme, l’allontanamento dalla madre, l’esperienza della guerra in cui lui stesso ha visto in faccia l’orrore e ha perso un amico fraterno. Una felicità mai raggiunta, se non per brevi istanti; i fantasmi del passato lo hanno incatenato ad un destino fatto di cadute, di alcolismo, di senso di spaesamento, di incapacità di fare fronte alle responsabilità. Una fragilità pagata a caro prezzo.
So soltanto che quando arrivammo in una città ormai avevo dieci anni e poi si trattò solo di imparare a sopravvivere lì. (..) noi non abbiamo mai avuto il tempo di imparare a cavarcela in un posto come questo, all’aperto. Nessuno di noi. Dovevamo imparare a vivere come i bianchi se volevamo portare a tavola qualcosa tutti i giorni. La vita indiana ce la siamo lasciata semplicemente alle spalle perché eravamo costretti a tirare avanti in quest’altro mondo.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 57
In questo contesto personale il discorso si allarga ad una questione complessa, e va a definire un intero popolo, i nativi canadesi a cui Wagamese appartiene. Essere parte di una comunità confinata, vittima di pregiudizi e razzismo, di cui ci si è ricordati solo in occasioni di guerre all’estero, e poi dimenticata. Una comunità emarginata a lavori precari, senza alcuna tutela, senza alcuna speranza di miglioramento delle proprie condizioni, preda spesso dell’abuso di alcol e droghe. Per non parlare di una politica di assimilazione forzata (sistematica e agghiacciante, venuta alla luce recentemente) portata avanti con efferata violenza fino agli Trenta del Novecento; non se ne fa cenno nel romanzo, ma è una realtà con cui si deve fare i conti per comprendere il disagio che ha provocato su generazioni di nativi. Vi rimando a questo articolo.

A Frank questo è stato risparmiato grazie al vecchio, che lo ha cresciuto trasmettendogli tutte le sue conoscenze sulla terra e gli animali, e su come affrontare la vita: il ragazzo ha imparato a muoversi nella foresta, a rispettare gli animali selvatici e ad ucciderli solo quando necessario per nutrirsi, ha imparato a gestire gli animali della fattoria. Il vecchio gli è stato vicino ma – quando ormai era sicuro che potesse cavarsela da solo – lo ha anche lasciato libero di girare da solo per i boschi e di fare le sue esperienze, di mettersi alla prova. E gli ha dato la possibilità di incontrare suo padre quando Eldon ha manifestato l’intenzione di vederlo. Il vecchio però non poteva connetterlo con le tradizioni indigene.
Dunque ecco un altro dei temi, cioè quello della paternità, un legame che viene declinato attraverso il vincolo di sangue tra Eldon e Frank, e quello affettivo col vecchio, l’unica figura paterna che il ragazzo ha avuto fino al viaggio che intraprende con Eldon. Frank ha ricevuto molto dal vecchio che lo ha istruito alla vita, ma non spetta a lui raccontare la storia delle origini e dei genitori di Franklin.
Per il ragazzo Natale significava la quiete, e la parte più bella era la lunga uscita che facevano lui e il vecchio mentre il tacchino arrostiva. Ogni anno sceglievano un percorso diverso. Ciaspolavano per un paio d’ore, accendevano un fuoco e bevevano tè forte, e in quel mondo freddo e spoglio il Natale per lui finì per assumere il significato del periodo dell’anno in cui il paesaggio, così spoglio, era perfetto. Ogni tanto il vecchio gli raccontava una storia. Ma ciò che amava di più era l’incanto del silenzio attraverso cui camminavano.
Le stelle si spengono all’alba, pag. 145
Scritto con una prosa lirica, asciutta, suggestiva, capace di suscitare uno stato di commossa partecipazione, abitato da personaggi veri, umani, questo è uno di quei romanzi che ti lasciano qualcosa; dopo averlo letto si ha la sensazione di essere persone diverse, arricchite da un racconto unico eppure universale.
“Le storie si raccontano una parola alla volta”

Richard Wagamese è stato uno dei principali scrittori indigeni del Canada. Ha lavorato a lungo come giornalista e produttore radiotelevisivo ed è autore di tredici libri pubblicati dai più importanti editori canadesi. Fa parte della nazione indiana Ojibwe e, nel 1991, è diventato il primo indigeno canadese a vincere un premio nazionale di giornalismo. Da allora, ha ricevuto regolarmente premi per il suo lavoro giornalistico e letterario, tra cui il “National Indigenous Achievement Award” e il “Canada Council for the Arts Award”. Tra i suoi romanzi più importanti Starlight, Cavallo indiano (Bompiani, 2019) Ragged Company e Le stelle si spengono all’alba.
Sembra coinvolgente e suggestivo, oltre che profondo per le tematiche trattate. La tua recensione è davvero bella, si legge tutta d’un fiato.
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Grazie Alessandra, merito del romanzo, che è davvero notevole.
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M i ero persa questa tua recensione. E un libro che ora desidero leggere.
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È stupendo 🤩
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