Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984. Trascorre tutte le estati della giovinezza a Piombino, da suo padre: questo crea un rapporto speciale tra lei e la città toscana, protagonista del suo romanzo più noto, Acciaio, che vi consiglio di leggere se ancora non lo conoscete.

Vive a Bologna, dove si è laureata in Filosofia e specializzata in Filologia moderna con una tesi su La Storia di Elsa Morante, scrittrice che per lei costituisce uno dei principali riferimenti letterari. Ecco come spiega questo legame:

Per me Elsa Morante è come un luogo, ne ha la stessa rilevanza e la stessa centralità, è la mia Maestra. Il gioco segreto, per citare Cesare Garboli [autore di Il gioco segreto. Nove immagini di Elsa Morante, Adelphi 1995 NdR], con Elsa Morante è presente in ogni mio romanzo. (..) Menzogna e sortilegio è un romanzo che spiega delle cose fondamentali sul raccontare se stessi e gli altri e su quanta menzogna e quanto sortilegio ci siano nell’atto stesso del raccontare. Parlare di Menzogna e sortilegio mi ha permesso anche di raccontare come l’impatto di un libro possa essere salvifico, soprattutto nell’adolescenza e in una realtà marginale.

Intervista su Il libraio

Collabora inoltre con il Corriere della SeraLa lettura e 7, dove scrive mensilmente. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesia Il libro dei vent’anni, vincitrice del Premio internazionale di poesia Alfonso Gatto sezione giovani. Sue poesie e racconti sono apparsi su GrantaNuovi Argomenti e Vanity Fair.

Con il suo romanzo d’esordio Acciaio (Rizzoli, 2010) ha vinto il premio Campiello Opera Prima, il premio Flaiano, il premio Fregene, il premio Città di Penne, e si è classificata seconda al premio Strega 2010. Il romanzo è stato tradotto in 25 lingue e in Francia, con D’Acier, ha vinto il Prix des lecteurs de L’Express 2011. Da Acciaio è tratto il film omonimo, per la regia di Stefano Mordini, con Michele Riondino e Vittoria Puccini, prodotto da Palomar e presentato nel 2012 alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, all’interno delle Giornate degli Autori. Sempre ad Acciaio è ispirata l’omonima canzone di Noemi che apre l’album Made in London del 2014.

Nel 2011, per gli Inediti d’autore del Corriere della Sera, è uscito il racconto La lince, poi tradotto in Francia con il titolo Le lynx.

Nel 2013 ha pubblicato Marina Bellezza (Rizzoli), il suo secondo romanzo, tradotto in 5 lingue.

Sempre nel 2014 fa parte della giuria di qualità della 64ª edizione del Festival di Sanremo.

Il suo terzo romanzo, uscito nel 2017, s’intitola Da dove la vita è perfetta. Il titolo è un verso di una sua poesia giovanile de Il libro dei vent’anni, ed è tradotto in Francia, Olanda, Svezia e Slovacchia.

Il 21 giugno 2019 presso l’Aula Magna dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, durante la cerimonia dei Dottori di Ricerca, le è stata conferita la Medaglia Petrarca per le Arts and Humanities per essersi distinta, in qualità di ex alumna dell’Università di Bologna, in ambito letterario. È la prima volta nella storia dell’Ateneo che questa onorificenza viene assegnata.

In occasione del quarantesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna, ha scritto e letto il poema in prosa inedito per il documentario La bomba. 2 agosto 1980, la strage dell’umile Italia prodotto da Rai Teche, da un’idea di Andrea di Consoli, per la regia di Emilia Mastroianni, andato in onda su Rai 1, all’interno dello Speciale Tg1, il 2 agosto 2020.

Il suo ultimo romanzo, Un’amicizia, è uscito in Italia il 10 novembre 2020 e ha vinto il Premio Croce Pescasseroli, il Premio Cimitile e il Premio Viadana 2021 per la narrativa.

L’8 marzo 2021, in occasione delle celebrazioni ufficiali per la Giornata Internazionale della Donna trasmesse in diretta su Rai 1, ha tenuto un discorso presso il Quirinale per la parità dei sessi e sul valore della parola “indipendenza” alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle più alte cariche dello Stato ed è stata nominata Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.

Silvia Avallone – foto di Jean-Luc Bertini

Nei romanzi di Silvia Avallone troviamo espresse ed indagate le contraddizioni; così è stato da Acciaio e poi via via, fino ad arrivare al recente Un’amicizia. Ecco come la scrittrice spiega questa sua cifra:

Mi piace raccontare le contraddizioni. Di una persona, di una famiglia, di un luogo, di una coppia, di un momento storico. Perché nella contraddizione c’è l’opportunità di un cambiamento. Nell’imperfezione, nelle crepe, nei fallimenti, nei desideri che non si realizzano, negli ostacoli delle nostre vite, si nascondono le rivoluzioni possibili, le strade inaspettate da prendere. La vita che amo raccontare è quella che sfugge al controllo e alla programmazione: tutti gli eventi realmente importanti ci colgono alla sprovvista, scatenano insieme forza e debolezza, e in questo scontro noi diventiamo. Una parte di noi muore, ne nasce un’altra. Non riesco a dire, perché non riesco ad accettarla, la fine di qualcosa. Riesco a dire solo inizi, solo cambiamenti. E iniziare è una delle imprese più difficili ed necessarie che esistano.

Intervista a TrhrillerNord

Altri temi che trovano spazio nella sua produzione sono l’attenzione al femminile e la vita nelle periferie. Le sue protagoniste femminili sono ritratte nelle diverse fasi e ruoli dell’esistenza – figlie, madri, mogli, amiche – ed ai differenti modi di esserlo, in relazione alle persone con cui si rapportano e all’ambiente in cui vivono. Le racconta attraverso le loro contraddizioni e imperfezioni, mentre sono impegnate a cercare un riscatto, ad emanciparsi. A volte riuscendoci, a volte prendendo atto che  non tutto della propria storia e del proprio passato si può aggiustare, ma comunque andando avanti.

Avallone si rifà, come ambientazione, a quella che definisce “la mia personale geografia dell’esclusione: “un quartiere ai margini di una città, una provincia che si svuota, l’altra parte della strada, l’appartamento accanto, la nostra stanza: qualsiasi luogo in cui qualcuno si senta escluso ed emarginato“, afferma. Questa “periferia”, questo sentirsi ai margini, mette in moto nei suoi personaggi una fame di riscatto, la voglia di andarsene, di cambiare, di lottare. Il suo è un modo di raccontare che innesca riflessioni etiche, e politiche, su delle realtà che hanno bisogno di essere guardate e affrontate, intendendo lo strumento narrativo come un riflettore puntato su aspetti problematici che necessitano di essere affrontati e possibilmente risolti.

Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d’uscita. Poi un giorno arriva l’amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l’amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male.

Il romanzo è ambientato a Piombino ma in realtà racconta simbolicamente l’Italia delle periferie, del degrado, e un’Italia in cerca d’identità e di voce, apre uno squarcio su un’inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più. Le tematiche sociali che questo libro affronta sono molte: povertà, emarginazione, violenza domestica, droga che si contrappongono ai sogni di due adolescenti e alla loro amicizia che cerca di tenere in equilibrio il loro mondo caduco. Acciaio è un romanzo amaro, a tinte forti, a volte come un pugno nello stomaco.

Marina ha vent’anni e una bellezza assoluta. È cresciuta inseguendo l’affetto di suo padre, un giocatore d’azzardo perduto sulla strada dei casinò e delle belle donne, e di una madre alcolizzata troppo fragile per fare fronte al fallimento del suo matrimonio. Per questo Marina dalla vita pretende un risarcimento, che significa lasciare la Valle Cervo, andare in città e prendersi la fama, il denaro, avere il mondo ai suoi piedi. Un sogno da raggiungere subito e con ostinazione, come il personaggio di Valentina nel film Ricordati di me di Muccino.

Lo stesso di Andrea, che lavora part time in una biblioteca e vive all’ombra del fratello emigrato in America, ma ha un progetto folle e coraggioso in cui nessuno vuole credere, neppure suo padre, il granitico ex sindaco di Biella. Per lui la sfida è tornare dove ha cominciato il nonno tanti anni prima, risalire la montagna, ripartire dalle origini. Marina e Andrea si attraggono e respingono come magneti, bruciano di un amore che vuole essere per sempre. Marina ha la voce di una dea, canta e balla nei centri commerciali trasformandoli in discoteche, si muove davanti alle telecamere con destrezza animale. Andrea sceglie invece di lavorare con le mani, di vivere secondo i ritmi antichi delle stagioni.

Attraverso il personaggio di Marina il romanzo racconta l’Italia della crisi, economica ma ancor più sociale, la gioventù cresciuta “a pane e Amici”, quella dei reality che promettono fama e successo. L’evoluzione di “Non è la Rai”, addirittura quasi evocato con nostalgia. Mentre Andrea rappresenta tutti coloro che fuggono da una realtà quasi aliena a loro, nella quale non si riconoscono e da cui credono che l’unica uscita sia la fuga verso un passato più autentico.

Il titolo è un verso di una sua poesia giovanile de Il libro dei vent’anni. Periferia di Bologna. C’è un quartiere vicino alla città ma lontano dal centro, con molte strade e nessuna via d’uscita. C’è una ragazzina di nome Adele, che non si aspettava nulla dalla vita, e invece la vita le regala una decisione irreparabile. C’è Manuel, che per un pezzetto di mondo placcato oro è disposto a tutto ma sembra nato per perdere. Centro di Bologna. Ci sono Dora e Fabio, che si amano quasi da sempre ma quel “quasi” è una frattura divaricata dal desiderio di un figlio. E poi c’è Zeno, che dei desideri ha già imparato a fare a meno, e ha solo diciassette anni.

Anche in questo romanzo ritorna il tema della periferia: Adele vive nel degrado, in un quartiere di casermoni, dove il futuro è solo una parola svuotata di senso. Dora al contrario vive in città, ha una casa elegante, un lavoro da insegnante eppure queste due donne, seppur così diverse, sono due esseri fragili che devono fare i conti con la maternità. Adele ha una madre e una sorella interessate solo alla moda e un padre affascinante che pensa solo a se stesso. Sola in sala parto, Adele trascorrerà con sua figlia pochi minuti, poi le loro strade si separeranno e la sua vita sarà segnata per sempre da quell’abbandono. Dora è senza una gamba e senza la possibilità di rimanere incinta. Ma i senza non sono solo vuoti, sono anche la molla che fa scattare scelte e ambizioni.

Questa è la loro storia, d’amore e di abbandono, di genitori visti dai figli, che poi è l’unico modo di guardarli. Un intreccio di attese, scelte e rinunce che si sfiorano e illuminano il senso più profondo dell’essere madri, padri e figli. Eternamente in lotta, eternamente in cerca di un luogo sicuro dove basta stare fermi per essere altrove.

Tra le pagine di Un’amicizia ritroviamo il tema dell’adolescenza in provincia, un’adolescenza perduta che costringe le due protagoniste a fare i conti con due famiglie disfunzionali, con due madri problematiche; le storie di queste due donne sono piene di dolore, di negazione del sé, di lacerazioni e tutto questo filtra dallo sguardo che rivolgono alle loro figlie, che ne sono inevitabilmente condizionate. Altro tema fondante è l’amicizia, ed è un’amicizia assoluta, totalizzante e contraddittoria come solo a sedici anni può essere.

Il legame tra di loro è “un laboratorio di rivoluzione e di emancipazione“, un modo per difendersi da una relazione familiare complicata ed arginarne gli effetti, l’impatto. Elisa e Beatrice diventano quello che sono insieme, influenzandosi e sfidando le aspettative e le ansie familiari.

La voce narrante è quella di Elisa, amante della letteratura e della scrittura, che ricostruisce la sua amicizia perduta con Beatrice, l’amica ai tempi del liceo, ossessionata dalla cura della sua immagine, diventata l’influencer più famosa del web, osannata dal mondo intero, ma che nessuno conosce intimamente quanto Elisa.

Accanto alle figure femminili ci sono uomini determinanti nelle loro vite. Il padre di Elisa comprende le potenzialità del web e assume un ruolo nell’aiutare le ragazze nel passaggio al mondo digitale. Contrapponendosi allo stereotipo del macho, rappresenta un modello ideale di genitore, si prende cura della figlia e ha un ruolo chiave nella sua crescita.

Un’amicizia – titolo in omaggio a Buzzati – è una storia a cavallo tra le epoche e i millenni, che mette in luce molte contraddizioni alla base delle nostre vite, che giustappone l’adolescenza disconnessa e il potere di Instagram, il tema della genitorialità, innescando profonde riflessioni sul rapporto tra l’immagine e il reale. E’ un romanzo che chiude una stagione, iniziata con Acciaio, e ne apre un’altra; intorno, gli stessi luoghi, una città di mare, Biella, Bologna, e una visione prospettica sull’attualità dei social.