Quante volte mi ero chiesto chi sarei diventato se fossi cresciuto in America, figlio di una madre che non mi aveva mai lasciato? «Senti, non hai avuto una vita facile», ho ammesso. «Anch’io ho dovuto incassare dei colpi duri nella mia vita, ma quando ho fallito ho sempre avuto una scusa per uscirne a testa alta: il sistema era corrotto. Davo la colpa ai sovietici. Questo ti dà una visione meno critica di te stesso».
Non lo avevo mai riconosciuto prima, ma ora, mentre lo dicevo, mi rendevo conto di quanto fosse vero. Nei limiti della mia infanzia io – insieme a molti altri – avevo avuto il permesso di conservare una consapevolezza sufficiente delle mie virtù, anche se le costrizioni che ci trovavamo ad affrontare erano insormontabili, anzi, specialmente se lo erano. «La cosa che l’America non ti dice riguardo a una vita di libertà», ho proseguito, «è che prima o poi sei costretto a riconoscere che i tuoi problemi sono soltanto colpa tua. Anche se forse a volte è solo sfortuna».
I patrioti, di Sana Krasikov, Fazi editore 2022, traduzione di Velia Februari, pp. 790
Il bellissimo romanzo di Krasikov è un’opera di grande respiro, un po’ come è tradizione nella grande narrativa russa, e ci mette al corrente delle vite di tre generazioni della stessa famiglia, in un contesto storico-sociale che fluisce tra gli Stati Uniti e la Russia, in diverse fasi di andate e ritorni. Il romanzo parla, principalmente, del rapporto tra l’individuo e la Storia, tra idealismo e realtà, e investiga il concetto di patriottismo in tutte le sue sfaccettature. La definizione di patriota riportata nei dizionari è la seguente: “Persona votata all’esaltazione e alla difesa di un’idea nazionale e politica”. In generale, quando si usa questo termine si intende una persona che ama la patria e mostra il suo amore lottando o combattendo per essa, ma sappiamo – la Storia ce lo ha duramente mostrato – quanto questo concetto apparentemente nobile sia facilmente strumentalizzabile, quali distorsioni e aberrazioni ne possano scaturire.
Scritto principalmente in inglese, è un romanzo ricco di espressioni in russo, ebraico e yiddish, colmo di riferimenti agli eventi storici che hanno avuto luogo dagli anni ’30 fino al 2008, dalla Grande depressione alle Grandi purghe staliniane, dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda, fin quasi ai giorni nostri. Ambientato nel passato, I patrioti non potrebbe essere più attuale poiché offre inediti e puntuali spunti di riflessione sui più recenti sviluppi di politica internazionale.
Lei ha visto la Storia da un posto in prima fila.
Il romanzo è costruito attraverso capitoli alternati tra passato e presente, tra la storia di Florence, del figlio Julian e del nipote Lenny; un intreccio complesso tra le loro vite e i contesti in cui si sono snodate. Nel primo capitolo (siamo nel 1956) apprendiamo del ricongiungimento tra Florence e suo figlio Julian, allora un bambino, dopo che la donna è stata rilasciata dal gulag in cui ha scontato una pena di sette anni, mentre il figlio era in un orfanatrofio. Dal capitolo successivo, risaliamo agli anni della gioventù della ventitreenne americana Florence Fein, figlia di genitori ebrei e nipote di una donna russa; Flo è da sempre affascinata dal mondo sovietico, di cui conosce abbastanza la lingua e le tradizioni che le sono state trasmesse.
Durante il difficile periodo della Grande Depressione che ha colpito gli Stati Uniti la vita nei quartieri poveri di Brooklyn – a Flatbush, dove vive – è molto dura: Flo ha una grande voglia di smarcarsi dalle logiche familiari, si avvicina agli ambienti studenteschi che contestano il sistema capitalistico che ha prodotto la crisi; sulla scia dei movimenti femministi, Flo matura anche una coscienza di riscatto personale: vuole trovare un lavoro che le permetta di essere indipendente e di decidere cosa fare della sua vita.
Grazie alla sua conoscenza del russo e agli studi matematici, viene assunta alla Amtorg, una società che operava di fatto come un’ambasciata, giacché ufficialmente l’America non riconosceva il governo bolscevico. Un ufficio di mediazione commerciale tra le aziende americane che intendevano fare affari coi russi, ma che nascondeva anche attività di spionaggio industriale. Da New York si trasferisce a Cleeveland dove lavora a stretto contatto con due ingegneri russi incaricati di un progetto; uno di loro sarà il suo primo amore.
Idealista e nauseata dalle contraddizioni del proprio paese, Florence – nonostante il parere contrario della sua famiglia – decide di lasciare gli Stati Uniti per trasferirsi nella terra d’origine della nonna, inseguendo il sogno socialista e la promessa di un amore oltreoceano. Si imbarca sulla nave Bremen, dove conosce Essie Frank, una giovane idealista come lei, con la quale condividerà poi molti anni di vita in Russia.
Arrivate a Mosca, le ragazze si dividono perché Florence è decisa ad andare a cercare Sergej a Magnitogorsk. Una volta giunta a destinazione, però, le speranze svaniscono una dopo l’altra, la ragazza si trova faccia a faccia con la vita dura dei lavoratori: turni massacranti, alloggi promiscui, mancanza di generi alimentari; e deve fare i conti anche con l’assenza di Sergej, che nel frattempo è rientrato a Mosca. Decide così di tornare a Mosca, dove grazie ad Essie e ad altri espatriati con cui viene in contatto, riesce a trovare un lavoro all’Ufficio Valute Estere per redigere la corrispondenza con gli Stati Uniti.
Sempre convinta della bontà della sua scelta di aderire alla costruzione della nuova società sovietica, Florence, nel precipitare degli eventi legati alle manovre di potere e alle purghe staliniane, cade vittima della brutalità di un regime sempre più opprimente e rimane presto bloccata in un paese da cui non può fuggire. Il governo russo infatti requisisce i documenti agli stranieri tramutandoli di fatto in cittadini sovietici e il governo americano si guarda bene dal proteggere i suoi cittadini che, nella loro visione, hanno voltato le spalle al Paese, ritenendoli dei traditori che non vale la pena di riportare a casa. Florence, in preda alla malinconia e alla nostalgia per la sua famiglia, in special modo verso il fratello Sidney, fa di tutto per ottenere un visto per ritornare negli Stati Uniti, ma ormai è troppo tardi, e il suo destino si legherà a quello degli altri espatriati di ogni Paese e dei milioni di russi.
I miei genitori non furono gli unici americani bloccati a Mosca dopo il 1936. Centinaia di loro compatrioti, lasciati alla deriva nell’Unione Sovietica, compresero troppo tardi di essere caduti in disgrazia presso il governo americano. Pare che l’ambasciata statunitense avesse scovato ogni genere di pretesto per negare o rimandare il rinnovo dei loro passaporti: documenti che i migranti avevano perso per nessun’altra ragione se non l’ingenuità. Gli stratagemmi che il governo sovietico mise in atto per privare gli espatriati americani della cittadinanza furono dei più vari. (..) Avevo sempre creduto che la malevola indifferenza della nostra ambasciata verso quei reietti fosse un sintomo del pregiudizio anticomunista che iniziava ad attecchire nell’America di quel periodo e che l’avrebbe completamente pervasa dopo la seconda guerra mondiale. Chi erano quei disertori, quegli scontenti, quei radicali che avevano voltato le spalle alla madrepatria, alla democrazia e al capitalismo? Erano andati a letto con i rossi, peggio per loro.
In quegli anni Florence si lega a Leon Brink, il padre di Julian. Con Leon condivide gli ideali ma anche anni difficili, sia durante la Grande guerra patriottica, ma soprattutto dopo, quando la paranoia del sistema spionistico russo si rivolgerà a trecentosessanta gradi contro tutti, e in special modo – nel loro caso – verso gli ebrei russi, considerati colpevoli di un complotto contro l’Unione Sovietica. Florence subisce il ricatto del suo passato, è trascinata in un vicolo cieco di delazioni strappate con le minacce, in un claustrofobico sistema di sospetti che mettono in dubbio persino le amicizie più strette. Come purtroppo Leon e Florence temevano, questo clima di terrore si appropria anche delle loro vite; arrestati insieme, affronteranno un destino diverso, che porterà Leon alla morte e Florence al gulag in Siberia, dove dovrà scontare sette anni di lavori forzati. Julian, invece, non avendo altri familiari, dopo l’arresto dei genitori sarà rinchiuso in orfanatrofio, dove trascorrerà la sua infanzia, imparando sulla propria pelle le logiche della sopravvivenza.
Molto tempo dopo, alla fine degli anni Settanta, ormai adulto e dopo essersi sposato, Julian, conscio di non avere alcun futuro in Russia – a causa delle quote che prevedono una presenza limitata di professionisti ebrei nelle università e nelle aziende – emigra di nuovo verso gli Stati Uniti. Il suo lavoro nell’industria petrolifera, la sua origine russa che lo rende un interlocutore credibile, però lo portano frequentemente a Mosca. Gran parte della vita della madre gli è stata tenuta nascosta; Florence si trincerava dietro una reticenza invalicabile rispetto al passato, e soprattutto rispetto alle sue scelte. Quando viene a sapere che il fascicolo del KGB su di lei è stato aperto, Julian organizza un viaggio d’affari per scoprire tutta la verità.
Nonostante gli intralci burocratici, viene in possesso del fascicolo che contiene gli interrogatori della madre; in quelle pagine apprende così come erano andate le cose, e grazie anche ai ricordi che ripesca dalla memoria, riesce a ricomporre tutta la dolorosa vicenda che ha determinato il destino della sua famiglia.
Le verità che scopre non sono facili da accettare: Florence è stata vittima di un sistema che l’ha spinta a farsi complice, nel tentativo di salvare le persone che amava. Ma ciò che più ferisce la coscienza di Julian, è che sua madre non abbia mai condannato il sistema sovietico, che abbia continuato in parte a giustificare i sistemi adottati dal regime, in quanto, a suo modo di vedere, tendevano ad un bene superiore. Julian legge in questo patriottismo estremo, deciso a soprassedere anche sulle atrocità commesse verso milioni di cittadini, una distorsione colpevole.
Quello che non riuscivo a tollerare era la sua riluttanza a condannare il sistema stesso che aveva distrutto la nostra famiglia. Il suo rifiuto di contestare il male che mi aveva privato di un padre e mi aveva lasciato senza l’amore di una madre negli anni in cui un bambino ne ha più bisogno. (..) Negli anni Sessanta e Settanta, quando leggevo compulsivamente i samizdat, avrei voluto vederla cinica e disillusa quanto me. Avrei voluto vederla arrabbiata per le disgrazie che lei aveva dovuto subire: l’omicidio del marito, la separazione forzata dal figlio, i sette anni di prigionia, la fame e l’umiliazione. Che tutto questo non la facesse infuriare alimentava la mia collera. Perché mi costringeva a portare il fardello dell’ira per conto di entrambi. Il fatto che mia madre si ammantasse dell’abituale remissività dello schiavo mi spingeva a compatirla come una vittima dei suoi tempi, del suo orientamento politico, una vittima della sua pervicacia e delle sue illusioni. E, certamente, era stata una vittima, ma fino a quella sera non avevo valutato la possibilità che fosse stata anche qualcos’altro. La complice di quello stesso sistema di cui era stata la preda.
Questo sentimento di rabbia nei confronti della madre andrà però attenuandosi, man mano che Julian rifletterà sulla realtà in cui le persone erano costrette a vivere: la pressione emotiva, il lavaggio del cervello, la privazione delle libertà, la totale assenza di una informazione sui fatti che avvenivano, insomma, il clima di terrore che attanagliava tutti quanti, a cui si era aggiunta la delusione – per gli espatriati – per essere stati scaricati dal governo statunitense. Che si trattasse di cittadini, di membri del partito, dei servizi segreti, degli apparati dello stato, tutti erano al tempo stesso vittime e carnefici in un gioco delle parti diabolico per salvarsi la pelle. Il bene e il male sono equamente distribuiti tra Russia e Stati Uniti, nessuno ne esce innocente, né da una parte, né dall’altra.
Ma il cerchio non si è ancora chiuso: per chiuderlo definitivamente Julian dovrà anche convincere suo figlio, l’ostinato Lenny, che nel frattempo sta cercando di fare fortuna nella spietata Russia di Putin, a tornare a casa. Quella in cui Lenny vorrebbe definire il suo futuro è infatti una Russia solo apparentemente diversa da quella che ha conosciuto sua nonna: le logiche del potere funzionano sempre allo stesso modo ed è chiaro sulla pelle di chi. Del resto, come Julian ben sa godendo di un punto di vista privilegiato, nemmeno dall’altra parte dell’oceano le cose vanno diversamente.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

L’autrice, Sana Krasikov, classe 1979, è nata in Ucraina ed è cresciuta in Georgia e negli Stati Uniti, dove vive attualmente. Il primo spunto per la trama l’ha ricevuto da un amico, figlio di americani che decisero di trasferirsi in Unione Sovietica durante gli anni della Grande Depressione per sfuggire alla miseria e inseguire i propri ideali politici.
Nata nel 1979 in Ucraina, Sana Krasikov, alla fine degli anni Ottanta, si è trasferita con la famiglia negli Stati Uniti. Qui, dopo gli studi universitari e dopo aver frequentato il prestigioso Iowa Writers’ Workshop, ha iniziato la sua attività letteraria con la raccolta di racconti Solo un altro anno, che ha ricevuto particolare attenzione dalla critica e diversi riconoscimenti. I patrioti, grazie al quale «Granta» l’ha inclusa nella lista dei migliori giovani romanzieri americani, è il suo primo romanzo. Tradotto in undici lingue, in Francia è stato premiato come miglior romanzo straniero dell’anno.
Grazie Pina per avermi fatto scoprire qs libro:
L’ho letto con grande interesse e profondo coinvolgimento!
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Mi fa piacere averti dato un buono spunto. 🤗
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