Era stato tutto veloce, sembrava che la villa del vescovo stesse andando a fuoco. Invece se ne stava là, immobile, guardava la scena con cento occhi bui.
Villa del seminario, pag. 142
Villa del seminario, di Sacha Naspini, E/O Edizioni 2023, pp. 208
Villa del seminario è un romanzo storico che rievoca fatti realmente accaduti e taciuti: Grosseto fu l’unica diocesi in Europa ad aver stipulato un regolare contratto d’affitto con un gerarca fascista per la realizzazione di un campo d’internamento. A Roccatederighi, tra il ’43 e il ’44, nel seminario del vescovo furono rinchiusi un centinaio di ebrei italiani e stranieri destinati ai lager di sterminio. Soprattutto Auschwitz. Sacha Naspini parte da qui per raccontare una storia popolata da personaggi di fantasia e persone realmente esistite – criminali collaborazionisti che riusciranno perfino a farsi intitolare una piazza dopo la guerra – e una vicenda dolorosa per tanto tempo insabbiata; lo fa raccontandola dal punto di vista di un personaggio inventato, l’umile ciabattino del paese, e nella Nota dell’autore spiega perché.
La storia racchiusa in questo prezioso romanzo si svolge dunque in un borgo sperduto sui monti della Maremma toscana, Le Case, un grappolo di case attaccate alla costa del monte, lontano da tutto. Anche lì la guerra si fa sentire: il razionamento, la fame, il freddo intenso di un inverno che stringe nella morsa del gelo tutti quanti, che cala una mannaia sui vecchietti e spesso sui bambini.
René, Renato Cappelli, è il cinquantenne ciabattino del paese dal cui punto di vista viene narrata la storia: un antieroe che si ritaglierà un seppur piccolo ruolo nella ribellione ai soprusi perpetrati in paese. Tutti lo chiamano Settebello, nomignolo che si è tirato addosso in tenera età, dopo aver lasciato tre dita sul tornio. René è un uomo solitario, taciturno; ogni tanto entra nel bar dove sono riuniti i soliti volti, sempre pronti a lanciare frecciate e sfottò, un ambiente che regge solo per alcuni minuti. Non ha famiglia, vive da sempre in una palazzina: al piano di sopra, la famiglia Calò, a piano terra c’è Anna, l’amica di sempre, di cui è da sempre innamorato, che forse avrebbe potuto essere qualcosa di più, ma René non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi. In realtà, non ha mai avuto il coraggio di fare niente. Le sue giornate sono sempre uguali: casa e lavoro. Rigare dritto.
La guerra imperversa, è nella sua fase peggiore, con gli Alleati che premono da sud, i tedeschi in ritirata, i fascisti che iniziano ad intravedere le prime crepe. Ma in paese, insieme allo spettro della fame, si teme per chi è partito per la guerra o per chi si è dato alla macchia, per unirsi alle brigate partigiane. Dopo la diramazione della circolare che ordina l’arresto degli ebrei, ecco la notizia: il seminario estivo del vescovo è diventato un campo di concentramento. Monsignor Galeazzi, con un regolare contratto, affitta la sua dimora estiva ai fascisti, che la usano come campo di smistamento per gli ebrei della zona, per i prigionieri politici e per i partigiani che riescono a catturare.
René è stato colpito negli affetti: Edoardo, il figlio di Anna, che lui ha visto crescere e per il quale è stato quasi uno zio, dopo essersi unito ai ribelli, viene catturato dalla Wehrmacht con un manipolo di partigiani e fucilato sul posto. Anna, piegata da un dolore insopportabile, ha ormai un solo scopo: continuare la rivoluzione, unirsi ai partigiani e portare avanti la stessa lotta armata abbracciata dal figlio.
Una sera sparisce lasciando a René un biglietto, poche istruzioni. Coprire la sua fuga inscenando la sua presenza in casa: fattibile, pensa spaventato René, visto che, dopo la morte del figlio, Anna non usciva più di casa e nessuno si azzardava ad andare da una donna chiusa nel suo dolore. Così René, prima di andare nella sua bottega, cercando di non farsi vedere, apre le imposte, accende il camino, insomma compie in casa di Anna gesti che lascino pensare che la donna sia presente.
René intanto riceve quasi ogni giorno la visita dei prigionieri del seminario, scortati dai militari che se li portano in paese per fare commissioni: a lui portano gli scarponi da riparare. Anche le donne sono scortate e costrette a percorrere le stradine del paese sotto gli occhi muti degli abitanti; nessuno muove un dito, tanto sono ebrei. Intere famiglie rastrellate nei dintorni e recluse nel seminario vescovile.
Intanto Le Case aveva cambiato volto, e lo stesso era accaduto ai compaesani: facce scure, con una specie di terrore che sprizzava dal fondo dello sguardo. C’entrava la grande nevicata (..) Ma c’era anche dell’altro.
Villa del seminario, pag.24
In paese trapela l’ennesima voce: un altro gruppo di ribelli è caduto in un’imboscata. Li hanno rinchiusi là, nella villa del vescovo, dove verranno torturati finché non faranno nomi, non diranno dove sono i rifugi. Tra i prigionieri pare che ci sia perfino una donna… Settebello è annichilito dall’angoscia: che quella donna sia proprio Anna? Ora non gli basta più sedersi in casa sua, la sera, scrivere delle lettere a lei indirizzate, per poi bruciarle subito nel camino, come messaggi lanciati nel vento che magari la raggiungeranno. Ora non può più restare a guardare.
I suoi tentativi di coprire l’assenza della donna vengono scoperti, René viene arrestato e trascinato in una cella della villa; le botte, le privazioni, le umiliazioni, l’essere costretto ad assistere all’uccisione di un partigiano che era stato fatto prigioniero, il terrore che quella stessa sorte possa toccare ad Anna, gli fanno compiere una presa di coscienza da cui non può più prescindere.
Non può più rimanere a margine degli eventi, non può rimanere indifferente; non gli resta che abbracciare la lotta e lo fa nel modo in cui è capace, non da grande eroe ma nel suo piccolo, non con gesti eclatanti, ma con la resistenza alle botte per non fare i nomi dei partigiani che aveva incontrato, un giorno, in casa di Anna. O con piccoli gesti, come riparare malamente gli scarponi ai soldati fascisti così da creargli disagio nelle azioni belliche. Nella sua prigionia stringe amicizia con Simone, un soldatino ventenne che vorrebbe abbandonare l’esercito, che non condivide quello che accade nella villa, e più in generale nelle fila del suo esercito. E’ chiuso tra due fuochi e anche lui può solo compiere piccoli atti di sabotaggio, cercando di rimanere vivo.
Quando è ormai chiaro che la situazione sta prendendo una brutta piega, che gli Alleati sono ormai alle porte, i prigionieri vengono caricati su dei pullman per essere trasferiti al nord, da dove poi saranno avviati ai campi di concentramento; bisogna cancellare le prove della loro presenza nella villa, distruggere documenti che lo possano dimostrare. Quale sarà il destino di René? Cosa ne sarà dei ribelli che si nascondono nel fitto dei boschi da dove lanciano i loro attacchi? E Anna che fine ha fatto?
Ora anche loro erano così: scorticati, offesi. La ferocia dei fascisti gli aveva strappato la carne di dosso. In guerra si ammazzava, ma quelli avevano fatto di più, come rompendo un patto. Un alto tradimento non in virtù della battaglia, ma dell’esistere stesso.
Villa del seminario, pag. 168
Villa del seminario è un romanzo di grande valore: scritto con uno stile essenziale, quasi chirurgico, uno stile che ricorda i nostri migliori scrittori – penso a Calvino, a Pavese, a Fenoglio, a Levi.. – mette il lettore davanti a una realtà difficile da digerire e lo fa senza tralasciare nulla. La guerra e tutto ciò che ha comportato sembra oggi lontana ma bisogna tenerne memoria viva, bisogna sapere che certe cose sono accadute, nella speranza che le coscienze si interroghino su come poterle evitare nel futuro.
Ecco, se potessi io proporre un libro per il Premio Strega, farei proprio questo nome.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Sacha Naspini
Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. È autore di numerosi racconti e romanzi, tra i quali ricordiamo L’ingrato (2006), I sassi (2007), Cento per cento (2009), Il gran diavolo (2014) e, per le nostre edizioni, Le Case del malcontento (2018 – Premio Città di Lugnano, Premio Città di Cave, finalista al Premio Città di Rieti; da questo romanzo è in fase di sviluppo una serie tv), Ossigeno (2019 – Premio Pinocchio Sherlock, Città di Collodi), I Cariolanti (2020), Nives (2020), La voce di Robert Wright (2021), Le nostre assenze (2022) e Villa del seminario (2023). È tradotto o in corso di traduzione in Inghilterra, Canada, Stati Uniti, Francia, Grecia, Corea del Sud, Cina, Croazia, Russia, Spagna, Germania ed Egitto. Scrive per il cinema.
Libro candidato al Premio Strega 2023, presentato da Paolo Petroni
Motivazione:
Un libro che, riportando alla luce un dimenticato, curioso, vergognoso fatto del nostro passato, ha un suo valore che si aggiunge a quello letterario, alla limpida scrittura dell’invenzione del personaggio e la storia di René e della sua presa di coscienza nell’ultimo periodo della guerra e del fascismo. Per questo, ho deciso di candidarlo al Premio Strega. Grosseto Monsignor Galeazzi accettò di stipulare un regolare contratto di affitto con un gerarca fascista, che prevedeva la trasformazione della Villa del Seminario di Roccatederighi in un campo d’internamento per ebrei, che poi si scoprì da lì sarebbero partiti per Fossoli e infine per i lager nazisti di sterminio.
René è Renato Cappelli 50 anni nel 1943, detto Settebello e preso in giro al bar del paese per quelle tre dita mancanti alla mano destra, perse da ragazzino al tornio, ciabattino dalla vita tranquilla e quasi appartata di Le Case (il luogo dove Naspini ambienta molte delle sue storie di Maremma), innamorato della sarta Anna, che gli prepara un’amata frittatina, con cui condivide amicizia e incontri quasi quotidiani, senza mai trovare il coraggio di dichiararsi. Lei è donna chiusa in casa dopo essere stata segnata dalla vita e dalla storia, prima vedova di un marito morto durante la Grande Guerra, poi madre straziata dalla uccisione da parte dei tedeschi del figlio andato sui monti da parigiano, che decide di vendicare prendendone il posto e gli ideali e lasciando a René l’incarico di coprire la sua sparizione. E lui continua le sue giornate abitudinarie, parlando da solo con l’amica assente, facendo fantasie gelose e scrivendole lettere che, non sapendo dove spedire, invia per l’aria bruciandole nel camino.
Vite private che reagiscono in modi diversi a un momento storico particolare e che spinge a prendere posizione. E se molti fascisti rimasero fedeli sino all’ultimo, ci furono tanti che, magari trascinati dagli eventi, cominciano a farsi domande, a chiedersi cosa volessero e in cosa credessero quei ragazzi saliti in montagna per combattere i nazifascisti. Sul tragico sfondo storico di quel che accade a Villa del Seminario anche Renè si interroga ed è spinto a uscire dal proprio guscio, specie quando viene a sapere che alla Villa sono prigionieri anche tre partigiani catturati, di cui una donna. Con bel processo psicologico, il cerchio si chiude e l’azione diviene inevitabile quando anche lui è arrestato e chiuso nello stesso posto perché si è scoperto che Anna non è più in paese e che lui scrive biglietti che si pensa invii ai partigiani.
La lotta di René è personale e infida, legata al suo mestiere che lo costringono a continuare anche in carcere, assistendo a torture, vessazioni, umiliazioni, partenze di convogli, mentre intorno tutti sembrano impazzire in un gioco quasi onirico, notturno di lamenti e urla tra verità e simulazioni, e la situazione si fa più ambigua e precipita con l’avvicinarsi degli americani liberatori.
Una scrittura chiara, vera, pulita, quella di Naspini, che nel finale Venti anni dopo riferisce anche come si sono trasformati nel dopoguerra alcuni dei personaggi, quelli storici coinvolti nel racconto, mentre in René, ma anche nel giovane, imprudente, irrequieto Simone che si ritroverà sempre accanto a René, si sentono gli echi della presa di coscienza del suo amato Pereira di Tabucchi, come confessato nelle ultime pagine.
Storia vera (della villa diocesana)?
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Si, purtroppo
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😞
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Mi aspetto molto da questo libro… Ho amato moltissimo Le case del malcontento, ambientato sempre nella località che Naspini chiama “le case” e che nella realtà si chiama Roccatederighi. Poi altre cose che ha scritto mi sono piaciute meno, ma certo Sacha ha un grandissimo potenziale e scrive benissimo. A metà febbraio verrà a Pistoia e andrò ad ascoltarlo di sicuro!
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Ottimo, allora racconterai sul tuo blog l’incontro e noi verremo a leggerlo!!
Anch’io ho molte aspettative su questo libro….
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D’accordo…
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Non sapevo di questo luogo. Non l’avrà saputo, al tempo, neppure il Vaticano?
Sono davvero troppi gli orrori. Sono ovunque. E il senso di impotenza si combina con l’oggi. Afferra. Tiene.
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Aspetto di leggere il romanzo per capire più a fondo la vicenda.
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