Oggi, mercoledì, siamo al secondo appuntamento con i libri proposti dagli Amici della domenica per il Premio Strega 2023. Mi fa piacere trovare tra le proposte diversi libri editi da c.e. indipendenti, tra cui il romanzo di Sacha Naspini; ne ho letto anche un altro, ho aggiunto il link alle mie recensioni. Ecco la lista e le relative copertine:

▪ Matteo B. Bianchi, «La vita di chi resta» (Mondadori), presentato da Paolo Cognetti.
Motivazione: Si tratta di un memoir sulla perdita – per suicidio – di una persona amata, sul dolore, il senso di colpa e la solitudine che ne derivano, tra i più intensi e nitidi che io abbia letto. È anche un testo sul potere salvifico della scrittura, e uno di quei libri che danno un senso e un compimento all’intero percorso di un autore, come se fossero lì ad aspettarlo fin dall’inizio. È come se Matteo avesse scritto per venticinque anni per prepararsi a questo libro, per essere in grado di scriverlo. Il risultato è un racconto che riesce a essere allo stesso tempo crudo e gentile, osceno e pudico, tragico e ironico, mantenendo una tensione e una grazia che sono solo dei veri scrittori.
– Olga Campofreda, «Ragazze perbene» (NN Editore), presentato da Gaia Manzini.
Motivazione: Propongo la candidatura del romanzo Ragazze perbene di Olga Campofreda, NN editore, per il Premio Strega 2023, perché sa raccontare con grazia e incisività la vertigine di chi si sente estraneo anche nella sua stessa terra. Di chi, come Clara, non si riconosce nelle posture, nel linguaggio e nell’immaginario di quel luogo che dovrebbe chiamare “casa”, ma che casa non è più, o non è mai stata. Con una lingua agile e una voce originale, Olga Campofreda mette in scena un ritorno nella città natia che ha l’intonazione della farsa e dell’impostura: non c’è niente della sua protagonista che corrisponda in alcun modo al femminile che ritrova a Caserta – quel femminile censurato nel profondo, da sempre ignaro dei propri desideri, che rimane intrappolato nell’afasia tragica di chi neanche riesce a dire del proprio dissenso. (segue)
▪ Maria Castellitto, «Menodramma» (Marsilio), presentato da Serena Vitale.
Motivazione: Al suo debutto la giovane (anno di nascita: 1997) Maria Castellitto scrive un romanzo arditamente fuori da ogni schema. Sono lieta di presentarlo al Premio Strega. Non si tratta di un thriller, anche se l’arma del delitto c’è: una pistola, e c’è anche un proiettile che non sappiamo: verrà lanciato? Menodramma è piuttosto un romanzo di formazione, anche se non è chiaro né scontato che cosa si “formi” in ognuno di noi quando diventiamo adulti, “maturi”: un fiore o un callo, qualcosa che può sfiorire e rinascere o qualcosa che può soltanto seccare, indurirsi. L’umorismo è nero; le fortune e i privilegi della protagonista sono insufficienti – se mai ce ne servisse la conferma – a essere felici. La felicità, la famiglia, le soddisfazioni lavorative ecc. non sono l’obiettivo: somigliano piuttosto a guai, problemi, piccole sciagure. La scrittura della Castellitto è scherzosa quanto colta, con un retrogusto fatalista, ha già un suo audace e inconfondibile suono – con dissonanze, talvolta, ma esiste. E l’esistenza, come imparerà Duna, la protagonista di queste pagine, non è poca cosa.

▪ Alessandra Fagioli, «Mistero allo specchio» (Robin Edizioni), presentato da Paolo Ferruzzi.
Motivazione: Mistero allo specchio è una storia che va oltre le caratteristiche del genere e si spinge nel territorio della metanarrazione. Si tratta di un romanzo nel romanzo: uno racconta le missioni di ricerca da parte della direttrice dell’Anticrimine presso diverse città europee per scovare una latitante pluriomicida evasa dal carcere di Rebibbia, l’altro narra di misteriosi delitti presso le isole minori dell’arcipelago toscano ideati dalla stessa latitante per sfidare la dirigente a scoprire dove si nasconda. Realtà e invenzione si intrecciano in un confronto a distanza dettato da episodi narrati e fatti eclatanti, da morti fittizie e vite autentiche, dove due donne giocano una partita speculare, rischiando di scambiare identità e ruoli. Ma soprattutto è un libro sul potere della scrittura, sulla sua capacità di ingannare e di rapire, sulla sua abilità di spostare altrove l’enigma dell’intreccio, attraverso una doppia narrazione modulata da due stili sapientemente differenti.
▪ Sara Gamberini, «Infinito Moonlit» (NN Editore), presentato da Chiara Gamberale.
Motivazione: Perché la scrittura di Sara Gamberini non somiglia a quella di nessuno, è uguale solo a sé stessa. Perché è impastata di sapienza narrativa, di consapevolezza poetica, dell’incoscienza che hanno i talenti davvero originali e delle voci di mondi sottili e altri. Perché alle logiche della psicologia preferisce i misteri delle alchimie umane. Perché Teresa e Maria, le protagoniste di Infinito Moonlit, sono una madre e una figlia e indagano anche per noi, fra tutti i misteri delle alchimie umane, il più sconcertante. Perché Teresa e Maria potrebbero anche non essere una madre e una figlia eppure trovarsi per salvarsi. Perché il bosco dove si rifugiano dal rumore che fa il mondo è un posto remoto eppure diventa subito familiare – a loro come a noi. Per questi motivi e per tutti i motivi personali per cui ognuno, leggendo questo romanzo straordinario, sarà inevitabilmente grato alle sue pagine, candido con gioia, ammirazione e (dal momento in cui proprio l’autrice sdogana finalmente e fatalmente la parola) con amore al Premio Strega Infinito Moonlit (NN Editore).
▪ Giovanni Greco, «Bruciare da sola. Una notte di Nadja Mandel’stam con i suoi fantasmi» (Ponte alle Grazie), presentato da Francesco Maselli.
Motivazioni: È un monologo ininterrotto, un canto notturno con ospiti, ma anche una lunga lettera d’amore, il romanzo di Giovanni Greco Bruciare da sola. Una notte di Nadja Mandel’štam con i suoi fantasmi. Un canto per voce femminile, quella di Nadja Mandel’štam che dalla tragica scomparsa del marito, il grande poeta russo Osip Mandel’štam, “dissipato” come tanti della sua generazione dalle epurazioni staliniane, non smette di parlare, di ripetere senza sosta i versi proibiti e impronunciabili che sopravviveranno anche grazie alla sua memoria prodigiosa. Gli ospiti, i fantasmi evocati dalla scrittura immaginifica di Greco nella lunga notte insonne di Nadja (Pasternak, Achmatova, Cvetaeva, Majakovskij e tanti altri) sono i protagonisti dell’epoca della Rivoluzione tradita in cui la dittatura si scaglia contro la parola e il diritto ad essa. Un’epoca in cui si può morire per una poesia “sbagliata” come succede a Osip. Nella rievocazione di una storia d’amore e di resistenza che si nutre di poesia, la voce ventriloqua di Greco si fonde con quella di Nadja, che a sua volta si era fusa con quella di Osja, in una dichiarazione d’amore per la parola poetica incontenibile, che salva e sopravvive agli orrori della Storia.

▪ Maria Malucelli, «L’amore nascosto» (Armando Editore), presentato da Antonio Augenti.
Motivazione: Da Maria Malucelli, docente di psicologia clinica, specialista in psicoterapia cognitiva individuale, consulente del Tavistok Institut of Human Relation of London, ci viene regalata la ricca e seducente storia di un gruppo famigliare, con vissuti interpretati individualmente, ma allo stesso tempo interrelati. Dante e Nina – il primo romagnolo, la seconda di origini pugliesi – sembrano avere una maggiore evidenza nel racconto, ma intorno a loro si dipana la rete di tanti profili umani che conservano sfumature particolari, tutte da trattenere nella memoria.
Il romanzo, L’amore nascosto, segnalato come thriller affettivo, è dichiaratamente collocato nella categoria delle autobiografie: esercizio non facile dal punto di vista narrativo-letterario, dovendo oscillare tra bisogno di testimonianza, custodia della memoria, tentazione di cancellare i ricordi. La Malucelli affronta il rischio di una prevedibile, indifendibile “nudità” con estremo coraggio, avventurandosi nel territorio dell’io, che è più ricerca di identità che vano protagonismo, più voglia di vivere che atto di stilare bilanci. Ciò avviene con autenticità, che si ritrova nello stile della sua narrazione: fluido, svelto, spontaneo, in grado di gestire il fattore tempo ( i flashback, le parentesi, le note ) con grande perizia.
▪ Flaminia Marinaro, «L’ultima diva» (Fazi Editore), presentato da Ignazio Marino, mia recensione
Motivazione: Il libro narra la vita di una straordinaria diva del secolo scorso. Ai primi del Novecento, Francesca Bertini, grazie a una capacità di visione non comune e a qualità artistiche poliedriche e straordinarie contribuì alla nascita del cinema. Un cinema diverso da quello che conosciamo oggi e che richiedeva doti di capacità espressiva assai raffinate. La sua via, a tratti spregiudicata, passò dalla recitazione alla regia, alla drammaturgia con la naturalezza e la preparazione dei grandi artisti.
L’autrice, Flaminia Marinaro, trasporta il lettore, con una prosa scorrevole e accattivante, in un’epoca densa di interessanti protagonisti della cultura e della politica: lo fa con rigore storico ma anche con una piacevole ironia. Il ritmo del libro è incalzante e ben si adatta alla personalità della protagonista.
Insomma, a mio parere, una narrazione potente ed evocativa che merita di essere considerata nella selezione del prestigioso Premio Strega.
▪ Sebastiano Martini, «Il mare delle illusioni» (Arkadia Editore), presentato da Giovanni Pacchiano.
Motivazione: Il romanzo di Sebastiano Martini è un piccolo gioiello che naviga con eleganza fra il limpido stile e l’aura malinconica di una lunga attesa. Costruito in flashback, Il mare delle illusioni ha una grazia sommessa che incanta, e non comune finezza di scavo psicologico. «Nessuno forse dovrebbe rimanere troppo a lungo solo», pensa Gregorio. E se sono veri i versi dell’immenso Giorgio Caproni sull’uomo che di notte, solo, spinge il cancello e «solo – rientra nei suoi sospiri», è anche vero che l’ultima pagina del romanzo ci riserverà una confortante sorpresa.

▪ Paolo Mazzarello, «Il mulino di Leibniz» (Neri Pozza), presentato da Gian Arturo Ferrari.
Motivazione: Il mulino di Leibniz è una singolare commistione tra un romanzo giallo – inizia con un misterioso delitto –, un’immersione nella scienza contemporanea e nella storia della filosofia, una stupefacente riflessione sulla natura della cosiddetta rete che qui acquista una propria, e nefasta, personalità. Un’opera singolarissima e per questo meritevole di partecipare alla gara dello Strega.
▪ Matteo Melchiorre, «Il Duca» (Einaudi editore), presentato da Marco Balzano.
Motivazione: È una storia che sembra provenire da un’altra epoca, quando il mondo era ancora da esplorare e lo spazio attorno agli uomini ancora da conoscere e conquistare. È invece un racconto che, come sa fare a volte la letteratura, parla per allegorie e dicendo di quel cosmo illustra più che mai il nostro, con i suoi voli e i suoi abissi. Due, più di tutti, sono gli elementi che mi colpiscono di questo romanzo: la cura con cui vengono trattati i personaggi e la duttilità della scrittura dell’autore, capace di sbozzare piccoli universi corali e individualità uniche che si stagliano sulla scena. Tra voli di cornacchie, giochi di potere e documenti antichi, Melchiorre accompagna il lettore a toccare con mano la forza e la violenza che esercitiamo nei confronti della natura e, infine, verso noi stessi. L’ambientazione principale è il bosco, quasi una selva dantesca, che continua a respirare nonostante le miserie umane, di cui sembra beffarsi. Ecco perché quell’ultimo erede di una dinastia decaduta, che Melchiorre rende vividamente sulla pagina, è anche uno specchio in cui ciascuno può riconoscere le proprie debolezze e paure.
▪ Sacha Naspini, «Villa del seminario» (Edizioni E/O), presentato da Paolo Petroni, mia recensione
Motivazione: Un libro che, riportando alla luce un dimenticato, curioso, vergognoso fatto del nostro passato, ha un suo valore che si aggiunge a quello letterario, alla limpida scrittura dell’invenzione del personaggio e la storia di René e della sua presa di coscienza nell’ultimo periodo della guerra e del fascismo. Per questo, ho deciso di candidarlo al Premio Strega. (segue)

▪ Romana Petri, «Rubare la notte» (Mondadori), presentato da Teresa Ciabatti.
Motivazione: L’infanzia è un equivoco, sembra dire Romana Petri. Prende Antoine Saint-Exupéry, l’autore del libro che ancora oggi forma generazioni di umani, va all’origine di quell’immaginario e ne svela l’altro lato – il lato invisibile della luna. Petri compie il gesto letterario di dissacrare l’infanzia intesa come luogo e tempo d’innocenza.
Così Tonio, che tutti conosciamo come autore de Il piccolo principe, animo delicato, capace nei libri di ragionare di fiori e spine, nella vita è stato anche spregevole. Viziato, capriccioso, dispotico già da bambino. (segue)
▪ Rosella Postorino, «Mi limitavo ad amare te» (Giangiacomo Feltrinelli Editore), presentato da Nicola Lagioia, mia recensione
Motivazione: Nell’ultima decade del Novecento ci siamo cullati nell’illusione che la Storia, intesa come catena ininterrotta di atrocità, violenze e prevaricazioni – «uno scandalo che dura da diecimila anni», diceva Elsa Morante – fosse finita. Eppure bastava guardare alla ex Jugoslavia, al di là dell’Adriatico, per avere la conferma del contrario: una guerra rimossa in tempo reale trent’anni fa, e dimenticata poi. Con Mi limitavo ad amare te, Rosella Postorino decide di tornare a quei tempi tutto sommato recenti, e a quel conflitto, proprio mentre un’altra guerra (qui c’è il potere anticipatorio di certi scrittori) torna a scuotere l’Europa. (segue)
▪ Stefano Redaelli, «Ombra mai più» (Neo Edizioni), presentato da Daniele Mencarelli.
Motivazione: I gesti di fiducia sono molto più frequenti di quel che si pensi. In fondo, la nostra vita è regolata da questi gesti, reciproci, di riconoscimento dell’altro e delle sue azioni. Poi ci sono gli scarti, quelli di cui non ci si può fidare, quelli che per tradizione e istituzione giocano il ruolo dei pericolosi, inaffidabili, imprevedibili. I malati mentali, così come i detenuti, gli ex tossicodipendenti, fanno parte di questa umanità tollerata solo se tenuta a distanza. (segue)

▪ Carmela Scotti, «Del nostro meglio» (Garzanti Libri), presentato da Chiara Sbarigia.
Motivazione: Con una scrittura acuminata e flessuosa, capace di scavo impietoso e di ineffabili, preziosi momenti di tenerezza, Carmela Scotti ci consegna il ritratto di una famiglia unita dalla reciproca indifferenza o avversione, come quella dei Bellelli di Degas, e insieme una riflessione sulla necessità di scendere a patti col proprio passato e liberarlo dal suo esilio. (segue)
▪ Andrea Tarabbia, «Il continente bianco» (Bollati Boringhieri editore), presentato da Daria Bignardi.
Motivazione: È un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere.
La storia di Silvia, la moglie perduta del dottor P. rubata a Goffredo Parise dell’Odore del sangue e reinventata con un’operazione raffinata e – mi viene da dire – pericolosa quanto affascinante, da Andrea Tarabbia, penso meriti l’attenzione del Premio.
È un libro sul Male che fa male non solo per gli ambienti estremi e i personaggi bui e contorti che evoca, anzi, decisamente non per quelli, ma per come una storia scritta tanti anni possa rimanere viva, pericolosamente viva, quando a guardarla, a rileggerla, a tornarci dentro, è uno scrittore letterariamente audace come Tarabbia. Ecco, è questo soprattutto che mi ha colpito di questo lavoro originalissimo anche nella struttura: è vivo come un animale pericoloso, come il serpente che segue il narratore all’inizio del libro. Ho scritto molte volte la parola pericolo, me ne rendo conto, ma è la parola che meglio esprime la sensazione che mi ha lasciato questo romanzo e che vorrei condividere coi lettori giurati dello Strega, anche per affrontarla e comprenderla insieme.
▪ Maddalena Vaglio Tanet, «Tornare dal bosco» (Marsilio), presentato da Lia Levi.
Motivazione: La storia narrata è ambientata in un paesino di montagna certo più aspro che confortevole. Un giorno la tragedia: Giovanna, una scolara di undici anni si è suicidata e Silvia, la sua maestra, è sparita senza lasciare tracce. Tutto il paese si affanna alla sua ricerca ma senza risultato. La troverà per caso Martino un bambino di città trasferito a forza, per motivi di salute, in quella zona montana. Silvia, accucciata in un capanno abbandonato nel cuore del bosco, muta, stracciata, è ridiventata creatura della terra allo stato primigenio. Sarà Martino a portarle acqua, cibo e a riuscire a farla di nuovo parlare mantenendo la promessa di non rivelare a nessuno il suo nascondiglio.
Alla fine della vicenda tutto si scioglierà in un finale che, però, non risolverà del tutto i tratti misteriosi di certi inestricabili comportamenti umani.
Ma l’elemento che per me è risultato vincente è stata la doppia sfaccettatura dello stile letterario con cui la Vaglio si rivela. Da un lato un linguaggio sfumato con punte di liricità, da poetessa che è, quando ci descrive una fuga nella magia e nel messaggio segreto del bosco, e dall’altro il piglio crudo e quasi crudele nel momento in cui ci presenta fatti e personaggi del cupo paese fra le montagne. Un mix davvero interessante.

▪ Carmen Verde, «Una minima infelicità» (Neri Pozza), presentato da Leonardo Colombati.
Motivazione: Ho avuto la fortuna di seguire la materializzazione di Anna e Sofia – la figlia e la madre protagoniste del libro – da idee a compiuti personaggi letterari, con la sensazione che queste figure così sapientemente ritagliate abbiano tutte le caratteristiche per diventare come i geni delle favole arabe, così ingombranti e vitali da dover per forza uscire fuori dalle loro bottiglie: è il destino dei personaggi riusciti, più grandi delle opere che li contengono, a partire – dall’alto – da gente come Falstaff per finire, appunto, alla piccolissima Anna. (segue)
. Roberta Zanzonico, «La bellezza rimasta» (Morellini Editore), presentato da Giulia Ciarapica.
Motivazione: La bellezza rimasta di Roberta Zanzonico (Morellini, novembre 2022) rivela, a partire dallo strillo in copertina («Quando l’oblio porta la felicità»), tutta la sua originalità letteraria.
Non è soltanto un romanzo sul potere della dimenticanza e sulla forza che il passato esercita sulla nostra vita di tutti i giorni, ma è soprattutto una storia che ci pone di fronte a una grande, problematico ma definitivo quesito: non è forse più facile tornare indietro che andare avanti? (segue)
QUI TROVATE LA PRIMA LISTA DI LIBRI PROPOSTI
Dei – per ora -25 titoli candidati ne ho incredibilmente letti tre: Continente bianco, di Andrea Tarabbia; Forse un altro, di Michele Zatta, e Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi. Avevo iniziato anche Domani interrogo, di Gaja Cenciarelli, ma dopo poche pagine l’ho abbandonato. Leggerò sicuramente Villa del Seminario (sono stata oggi alla presentazione e me ne sono procurata una copia con dedica illeggibile) e Sillabario all’incontrario di Ezio Sinigaglia.
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Sillabario all’incontrario vorrei leggerlo anch’io. Che mi dici di Continente bianco e di Forse un altro?
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Il continente bianco mi ha intrigato molto perché l’autore fa una sorta di riscrittura del romanzo postumo di Goffredo Parise, L’odore del sangue, dove una donna borghese ha una relazione con un ragazzo molto più giovane di lei, un fascista militante, una storia ambientata negli anni ’70. Tarabbia attualizza la vicenda al giorno d’oggi e la fa narrare da una sorta di osservatore che poi è lui stesso… non eguaglia il modello, ma è un libro intrigante e ben scritto. Forse un altro è una sorta di morality: un uomo deciso a suicidarsi si ritrova nel limbo dove incontra vari personaggi simbolici, la Morte, il Destino, la Vita, la Verità… ha delle parti esilaranti, altre secondo me un po’ troppo moraleggianti, ma per l’appunto è il genere che lo richiede…
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Grazie infinite Marisa per le informazioni preziose!
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Ti consiglio vivamente Sinigaglia a scatola chiusa, perché quell’uomo è un genio e ogni cosa che scrive è fantastica!
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Sì, infatti, lui già lo conosciamo bene…
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Vorrei leggere anche Ragazze perbene. Qualcuno l’ha letto? Mi sapete dare un feedback?
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