Via Gemito, di Domenico Starnone, Einaudi ed.2020, ed. originale 2001, pp. 456

Nelle settimane scorse ho riletto il romanzo di Starnone che nel 2001 fu vincitore del Premio Strega, del Premio Selezione Campiello e del Premio Napoli, da ogni parte ritenuto uno dei capolavori degli autori contemporanei.

Via Gemito di Domenico Starnone è un romanzo intimista, riflessivo che esplora il complesso rapporto – tormentato e molto contraddittorio – tra un padre e un figlio. Nel ripercorrere il passato, il narratore esplora il rapporto complesso che ha avuto con suo padre, un uomo che lo ha amato e protetto, ma che lo ha anche deluso e confuso. Il romanzo è anche una riflessione sulla possibilità di perdono e sulla riconciliazione. La trama è per buona parte autobiografica.

Federico, detto Federì – la figura centrale del romanzo – è un artista, ma è costretto a fare il ferroviere per sopravvivere. Nella casa di via Gemito dove vive con la famiglia, tutto odora di colori e acquaragia. I mobili della stanza da pranzo sono addossati alla bell’e meglio contro le pareti e, prima di andare a dormire, bisogna togliere dai letti le tele messe ad asciugare. Federí è ambizioso ma molto insoddisfatto, vorrebbe vedere riconosciuto il suo talento, ma deve fare i conti con le invidie di altri artisti e con una critica malevola che lo penalizza, o almeno così lui crede. Cerca di vendere le sue opere, e in parte ci riesce, ma c’è bisogno dell’attività di sarta della moglie Rusinè per andare avanti.

L’uomo sfoga la sua frustrazione su tutti coloro che lo circondano, in particolare sulla moglie e sui figli. Ha un rapporto di odio-amore con la famiglia, che vede come un intralcio alla sua carriera di artista. La voce narrante è quella del suo primogenito, Mimì, che ricostruisce la vita del padre, segnata dal rancore e dalla violenza fino alla morte della moglie Rusinè – di cui è geloso e sui alza spesso le mani -, troppo bella e poco compiacente col marito.
Federí è un bugiardo patologico, racconta episodi in cui alla fine lui è sempre vincitore, anche se le sue storie – che pure hanno avuto un profondo impatto sul figlio – sembrano sempre gonfiate. Il figlio, crescendo, ha iniziato a dubitare della veridicità dei racconti paterni e si è vieppiù vergognato delle sue bugie, ma dopo tanti anni non è più sicuro dell’infallibilità dei suoi ricordi.

Attraverso la voce del narratore-protagonista, Mimì, l’autore spinge il lettore a riflettere sulla memoria e sulla verità, suggerendo come la memoria sia una cosa inaffidabile, soggetta a malintesi e distorsioni. Il narratore non è sicuro di quanto di ciò che suo padre gli ha raccontato sia vero, e questo lo porta a mettere in discussione la sua stessa identità.

Il romanzo è anche un ritratto vivido della Napoli tra la fine della guerra e il dopo guerra; quella città che nell’immaginario collettivo sull’epoca resta ancorata al cinema del neorealismo e che i romanzi della Ferrante (non a caso) hanno riportato in auge. Attraverso il complesso ménage familiare emergono anche i temi legati al ruolo della donna, e i cambiamenti della società.
Non è un libro facile da leggere; personalmente ho provato molto fastidio nei confronti di questo padre-padrone megalomane e violento, sprezzante con tutti, specialmente con la moglie; del resto, Starnone descrive un tipo di uomo che era normale, per quei tempi. Federì, cresciuto sotto il fascismo, si sente il maschio di casa. Ritiene normale sfornare figli a cui la moglie, considerata niente più che una fattrice, deve accudire, come gli pare normale che a lui tocchi mantenere la famiglia. Le donne – come sua moglie – al massimo fanno un po’ di lavoro nero per arrotondare il bilancio familiare, niente di più. E i mariti hanno tutta la libertà di maltrattarle, quasi fosse un loro diritto.

Se da un lato nella società, via via, molto è cambiato, con l’avvento dei social e con il culto della personalità, il bisogno di sentirsi geniali, eccezionali, ha reso attualissimo il tema della megalomania e del sentirsi incompresi.

Qui trovate l’incipit. La foto che ho usato nella composizione di copertina è di Carlo Falanga, fotografo, con studio a Torre del Greco.

Bella la copertina che Einaudi ha usato per la nuova edizione del 2020 del romanzo: un particolare de “I bevitori”, un’opera di Federico Starnone, quadro del padre dell’autore, che aveva sì grande talento.  

Domenico Starnone (Napoli, 1943) è autore di romanzi e racconti. Nel 2001Ha vinto il Premio Strega con Via Gemito ripubblicato nel 2020 con Einaudi. Per Einaudi ha pubblicato inoltre Spavento (2009, Premio Comisso), Autobiografia erotica di Aristide Gambía (2011), Il salto con le aste (2012, prima edizione 1989), Condom (2013), Lacci (2014, The Bridge Book Award), Scherzetto (2016, Premio Isola d’Elba, finalista al National Book Award nella traduzione di Jhumpa Lahiri), Le false resurrezioni (2018), Confidenza (2019 e 2021), Vita mortale e immortale della bambina di Milano (2021 e 2023) e La scuola, che racchiude i racconti Ex cattedraFuori registroSottobancoSolo se interrogato (2022), L’umanità è un tirocinio (2023), Fare scene. Una storia di cinema (2023), Il vecchio al mare (2024) e Labilità (2024). Dai suoi libri sono stati tratti film di successo, tra i quali La scuola di Daniele Luchetti, Auguri professore di Riccardo Milani, Denti di Gabriele Salvatores e Lacci di Daniele Lucchetti.