Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Aniko

INCIPIT

Il lupo si afferrò il muso tra le zampe e si mise in ascolto della bufera che ululava. Nella tana sommersa dalla neve, si sentiva al caldo e protetto, ma ogni tanto il suo corpo sussultava e, scosso da un tremito, il lupo strizzava forte gli occhi. Avrebbe voluto dormire per recuperare le forze, da parecchi giorni ormai aveva la pancia vuota. I nenec lo avevano soprannominato Diavolo zoppo per la sua scaltrezza e le sue mosse imperscrutabili. Avrebbe sonnecchiato un po’, poi si sarebbe alzato e lungo la strada invernale avrebbe assalito una renna.

Spesso gli animali troppo affaticati per tornare all’accampamento venivano abbandonati dagli uomini lungo il tragitto e accanto a ogni renna stremata veniva collocato uno spaventapasseri, raffazzonato con un palo o un alberello rivestiti di una pelliccia dalle parvenze umane, a cui veniva attaccato un ramo perché sembrasse un uomo armato di fucile.

Pur accostandosi con una certa circospezione alle renne, Diavolo zoppo non temeva quei guardiani. Aveva appreso da un pezzo la legge ingiusta e crudele secondo la quale sono sempre gli animali con due zampe a uccidere quelli con quattro e sapeva che sono le loro regole e i loro interessi a regolare il mondo. Diavolo zoppo ne era consapevole. Ci aveva rimesso una delle zampe posteriori. Prima di allora non aveva mai provato né odio, né ostilità verso gli uomini. Si sentiva felice nella sua tana sotterranea con la sua lupa e i suoi quattro lupacchiotti dalla fronte ampia, ma un giorno, tornando dalla caccia, era rimasto imprigionato in una trappola. La tagliola era grande, aveva dimensioni diverse da quelle fabbricate di solito dagli umani per le sprovvedute volpi artiche; sembrava congegnata per animali di grossa taglia. Il lupo aveva armeggiato con la tagliola per tutta la notte e verso il mattino, fiutando un forte odore umano nelle vicinanze, si era dilaniato la zampa a forza di morsi. In seguito aveva abbandonato il branco, affinando negli anni di solitudine l’intelligenza e la destrezza.

Anna Nerkagi

Recensione

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