Ma Aniko era davvero sicura di voler tornare ancora da suo padre? No, non lo era affatto. Per la prima volta in vita sua si trovava nella spaventosa condizione di dover compiacere se stessa e gli altri. Compiacere se stessa l’avrebbe portata tra qualche anno a piangere sulla tomba del proprio padre, sentendosi vile e responsabile della sua morte.
Aniko, pag. 96
Aniko, di Anna Nerkagi, Utopia editore 2022, traduzione dal russo di Nadia Cigognini, pp.144 In copertina un dipinto del pittore espressionista statunitense Clyfford Still.
Anna Nerkagi è la prima romanziera nenec ad arrivare nelle librerie italiane, grazie a Utopia editore, una casa editrice europea di lingua italiana fondata a Milano nel gennaio del 2020. Il loro catalogo ospita alcune tra le voci più rappresentative della narrativa e della saggistica contemporanee, europee e straniere, in traduzione italiana. Avevo già apprezzato le loro scelte editoriali durante la lettura di uno dei più toccanti romanzi mai letti, La fiaba nucleare dell’uomo bambino di Hamid Ismailov (mia recensione).

I Nenec (anche Nenci o neneti) sono una popolazione samoieda di ceppo ugro finnico. Allevatori di renne nomadi, vivono nelle regioni artiche della Siberia russa, in un enorme areale di oltre 1 milione di chilometri quadrati che va dal circondario autonomo di Jamalo-Nenec a quello dei Nenec. Non molto numerosi (non superano i 50.000 abitanti) hanno preservato nei secoli uno stile di vita unico e una lingua autoctona, pur non restando immuni da un processo di russificazione comune a tutte le realtà etniche dalla Federazione Russa. Oggi, infatti, tutti i Nenec sono tendenzialmente bilingui, in quanto il russo ha guadagnato una reputazione come lingua franca nelle relazioni interculturali e nel commercio con le generazioni più giovani che stanno progressivamente abbandonando la lingua degli antenati.

A condannare al declino la lingua indigena è anche la profonda diversità di dialetto che esiste tra le diverse versioni parlate dai sottogruppi etnici all’interno della comunità Nenets, che rende difficile la conservazione scritta e un insegnamento unificato. Il loro stile di vita peculiare è oggi particolarmente minacciato dal cambiamento climatico, dall’urbanizzazione e dagli investimenti massicci che la Russia sta attuando nell’Artico alla vorace ricerca di combustibili fossili o di un ferreo controllo sulla rotta marittima del Circolo Polare Artico. Se volete approfondire questo argomento vi consiglio l’articolo da cui ho attinto su Osservatorio Russia.

Il romanzo di Anna Nerkagi ci porta a conoscere questo popolo, le sue tradizioni, il modo di vivere in una terra in cui l’uomo deve trovare un’armonia con l’habitat che lo circonda. Il romanzo ruota attorno alla vita di una piccola comunità colpita da un lutto: uno dei suoi abitanti, Seberuj – cacciatore e allevatore di renne dell’antico clan Nogo – perde la moglie e la figlioletta, aggredite e sbranate da un lupo solitario, soprannominato Diavolo zoppo, che semina il terrore tra le mandrie dell’intero circondario e a cui gli uomini da mesi danno invano la caccia. Il dolore per questa perdita è grande, e colpisce tutti i membri della comunità. Seberuj è anziano e si ritrova da solo, dato che la figlia maggiore, Aniko, vive ormai lontano.
Secondo quanto previsto dalle norme dell’amministrazione russa, Aniko, all’età di sette anni, fu avviata alla scuola in una cittadina vicina; allontanata dalla famiglia per ricevere un’istruzione – come tutti i bambini e ragazzi – viveva in un internato, senza tornare a casa per lunghi periodi. Questo allontanamento forzato se da un lato aveva lo scopo di formare i ragazzi, dall’altro produceva anche un progressivo estraniamento verso la comunità di origine, e verso gli stessi genitori. I ragazzi non rimanevano in contatto con i familiari poiché le comunicazioni erano scarse; inoltre la vita nomade degli allevatori di renne e le condizioni climatiche rendevano ancora più difficile ritrovarsi.
Questo estraniamento è esattamente il sentimento che prova Aniko quando torna all’accampamento, richiamata dal padre in seguito al lutto. Suo padre spera di ritrovare la figlia persa anni prima, di condividere con lei il dolore per la perdita ma anche di spingerla a tornare nella sua terra, per prendersi cura di lui e della sua mandria, per rimanere legata al suo popolo e alle tradizioni. Se Seberuj rimane colpito dal fatto che Aniko non conosce più la loro lingua, la ragazza si trova completamente a disagio per le condizioni in cui vivono nell’accampamento, a cui lei è ormai totalmente disabituata.
Come osserva Gerardo Masuccio, editor di Utopia, “la protagonista di questo romanzo, Aniko, è ferma da anni ai margini di una frattura interiore. È nata nella tundra russa, erede di un antico clan del popolo dei nenec. (..) Quando, a distanza di tempo, Seberuj, suo padre, prova a richiamarla nella tundra, la ragazza parla ormai una lingua nuova, il russo, studia geologia, si è immersa nella letteratura. È colta, raffinata. Cosa potrà condividere con un vecchio analfabeta e ritroso?”
Esisteva un modo per trovare un po’ di consolazione e soprattutto per giustificarsi con loro? (..) Ma come poteva abbandonare tutto? L’università, il teatro, il cinema, i balli, le discussioni coi compagni sull’arte e sul futuro promettente e luminoso che li attendeva? Come poteva dimenticare (..) per consegnarsi volontariamente a quel gelido silenzio e smarrirsi in quelle infinite distese di neve, indossare una jaguška e vivere alla luce di una lampada a cherosene fino alla vecchiaia?
Aniko, pag.81-82
Aniko cerca di riallacciare i rapporti con suo padre, anche grazie ai ricordi della sua infanzia che man mano riaffiorano, ma non riesce ad adattarsi allo stile di vita condotto dalla piccola comunità. Decide di tornare alla sua vita ma lo fa con uno stato d’animo combattuto, soprattutto dopo avere ritrovato una vecchia compagna di studi che si è laureata in medicina e ha deciso di tornare nella sua comunità per essere d’ aiuto, e avere conosciuto Pavel, un geologo russo che ha fatto il percorso inverso al suo. Recatosi nella terra dei nenec per studiare le tradizioni, i canti popolari, la cultura del popolo, se ne è innamorato e ha deciso di stabilirsi definitivamente in quei territori. Pavel e Ira riusciranno a fare cambiare idea ad Aniko?
Il dilemma esistenziale di Aniko non è molto diverso da quello che molti altri ragazzi nati nelle periferie del mondo vivono. E nemmeno il nostro Paese è esente da questo fenomeno. Facile è trasporre i dilemmi di Aniko in quelli di molti giovani, anche italiani, che una volta allontanati dalla propria realtà natale, difficilmente riescono a ritrovarsi nel ritorno, ma quasi sempre, restano dove si sono trasferiti, salvo rientri per brevi periodi di vacanze.
Il romanzo di Anna Nerkagi si è rivelato una lettura molto affascinante: da un lato mi ha fatto conoscere un popolo di cui ignoravo l’esistenza, dall’altro mi ha fatto riflettere su un dramma esistenziale di natura universale. Leggendo il libro ci si immerge in un paesaggio artico, ci si avvicina alle tradizioni e usanze degli allevatori di renne: il loro modo di vestire, il cibo, le tecniche di allevamento, la dimensione spirituale, il culto dei morti. Mi è piaciuto anche come l’autrice ha saputo dare dignità agli animali che convivono con queste popolazioni: le stesse renne, i lupi che anche quando sono minacciosi sono comunque rispettati e ammirati per il loro coraggio. Sopravvivere in quelle condizioni climatiche non è facile per nessuno, né umano né animale, ma il rispetto per l’habitat è una delle caratteristiche dei personaggi che animano la storia, personaggi resi con grande umanità e profondità.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Anna Nerkagi è nata nel 1952 nella penisola di Jamal, in Siberia. Appartiene alla comunità indigena dei nenec e ne è la voce letteraria più nota e stimata. Negli anni dell’infanzia, le autorità sovietiche la separarono dalla famiglia, costringendola a vivere in collegio. Allontanata dalle tradizioni, dai costumi e dal nenec, suo idioma d’origine, in quel periodo apprese il russo, lingua in cui scrive tuttora. Si è laureata in geologia.
Nel 1980, dopo un’accoglienza lusinghiera da parte della critica per il suo esordio letterario, è tornata a vivere nella terra natale, dove ancora risiede con la famiglia. Ha fondato una scuola nella tundra per dedicarsi all’educazione e all’istruzione dei giovani nenec. Si batte da decenni per la salvaguardia e la valorizzazione della cultura delle minoranze in Russia.

Grazie, molto interessante! Non conosco questa autrice, e la recensione che hai fatto mi spinge ad affrontare questo viaggio nel paesaggio artico… buona serata! 😉
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È stata una bella sorpresa per me. Amo molto il nord, con i suoi paesaggi innevati e il romanzo mi ha regalato un bel viaggio.
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🙂 Che bello! Forse azzardo troppo, ma vorrei chiederti se potessi darmi qualcosa da scrivere; sai, voglio imparare a scrivere meglio… Buona serata. 🙂
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Scrivimi privatamente (tramite modulo) cosa intendi esattamente
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Non è il mio genere però la tua descrizione mi ha fatto venire voglia di leggere questo libro 😊
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È uno di quei romanzi che funzionano come finestra sul mondo. Si apre su un luogo lontano, che non conosciamo, e ci lascia più ricchi. È una storia familiare che pone tante domande.
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