In questi giorni in cui si può dedicare tempo alla lettura, è il momento giusto per dare un’occhiata alle novità in libreria.

Cominciamo curiosando nel catalogo di Iperborea a caccia di novità interessanti.  Seguiranno altri post dedicati alle nuove proposte di altre case editrici.

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Questi i titoli pubblicati dall’inizio del 2020.

Brokken i giusti

I giusti, di Jan Brokken, traduzione di C. Cozzi, pagg. 640, nazione: Olanda

In una sinfonia di ricordi, documenti e frammenti di vita, Jan Brokken compone con magistrale equilibrio il ritratto di un eroe dimenticato dalla Storia che, al pari di Oskar Schindler, Raoul Wallenberg e Giorgio Perlasca, ha trovato il coraggio di opporsi alla brutalità del Nazismo. 

1940, l’Europa è travolta dall’avanzata di Hitler. Ondate di ebrei cechi e polacchi cercano rifugio in Lituania, l’unico Paese della regione che accoglie ancora i profughi – ma è funestamente conteso tra il Reich e l’Unione Sovietica. Nel clima di crescente precarietà l’olandese Jan Zwartendijk, direttore della filiale lituana della Philips e nuovo console onorario a Kaunas, riesce ad aprire agli ebrei un’ultima, insperata via di fuga dall’Europa nazista. In una febbrile lotta contro il tempo, operando da solo e di nascosto da tutti, Zwartendijk lavora giorno e notte per tre settimane rilasciando visti per Curaçao, nelle Indie olandesi, mentre il collega Sugihara, console giapponese, firma i visti di transito per il Giappone. Senza conoscersi né incontrarsi mai, uniti dall’imperativo morale di agire, i due diplomatici danno così inizio a una straordinaria impresa clandestina che salverà migliaia di vite, ma rimarrà a lungo ignota. Rintracciando fonti e testimonianze in giro per il mondo, accompagnato dai ricordi dei tre figli di Zwartendijk, Jan Brokken ricostruisce la storia dell’«Angelo di Curaçao», come lo chiamavano i profughi, che solo dopo la morte è stato riconosciuto tra i Giusti fra le Nazioni. E restituendo un volto alle masse erranti, segue in presa diretta l’odissea di intere famiglie che grazie a quel visto percorrono la Transiberiana, raggiungono Kōbe e trovano rifugio nell’enorme ghetto della cosmopolita Shanghai. I Giusti è un monumentale affresco storico e umano, un mosaico di vite, luoghi ed eventi in cui la realtà assume naturalmente tinte epiche e romanzesche, ma soprattutto una lezione sul coraggio e sulla responsabilità del singolo di fronte a un mondo e a un’umanità in macerie.

 

Westerman ingegneri di anime

 

 

 

 

 

 

Ingegneri di anime, di Frank Westerman, traduzione di Franco Paris, pagg. 320, nazione: Olanda

La storia incredibile di due viaggi, uno letterale e uno immaginario, attraverso la Russia contemporanea e la letteratura sovietica.

Il 26 ottobre 1932 Stalin si presenta a una riunione di scrittori a casa di Maksim Gor’kij. «I nostri carri armati non valgono niente», dice, «se le anime che devono guidarli sono di argilla.» Spetta agli scrittori, «ingegneri di anime», forgiare l’uomo nuovo sovietico. Nasce così l’estetica proletaria della costruzione e della produzione, utile per celebrare quelle colossali opere idraulico-ingegneristiche dei primi piani quinquennali che, grazie al lavoro forzato dei Gulag, stanno domando la «nemica» natura del territorio sovietico: deviazioni di alvei fluviali, migliaia di chilometri di canali, impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare. Dalla lettura di un libro di Konstantin Paustovskij del 1932 sulla «eliminazione dei deserti» prende le mosse il viaggio narrato in Ingegneri di anime, che porta Frank Westerman, giornalista d’inchiesta con studi di ingegneria agraria alle spalle, dalle rovine industriali del golfo di Kara-Bogaz fino al canale Belomor, il progetto che il collettivo di scrittori guidato da Gor’kij fu chiamato a cantare come «storiografia istantanea del socialismo». Un viaggio concreto, quello di Westerman, che si intreccia con l’esplorazione della vita e delle opere di chi, tra dubbi, debolezze e scetticismo, dedicò penna e capacità espressive al rafforzamento dell’URSS postrivoluzionaria. Concentrandosi non sui grandi dissidenti ma sui «più o meno accomodanti», come lo stesso Paustovskij, o il tormentato Platonov, o il grande Pil’njak morto in un Gulag dopo alterne vicende, Westerman ricostruisce con accenti personali il rapporto tra potere e artisti, e il loro sofferto sforzo di trovare uno spazio possibile tra diktat e ispirazione.

 

Sjoberg mamma_e_matta_alta

Mamma è matta, papà è ubriaco, di Fredrik Sjöberg, traduzione di Andrea Berardini, pagg. 224, nazione: Svezia

Dall’autore di L’arte di collezionare mosche – bestseller mondiale, tradotto in 23 paesi, IV edizione e 12.000 copie in Italia – un nuovo originalissimo libro sulle coincidenze. 

Grazie al caso, manovratore nascosto di destini umani, in un’asta di Stoccolma riemerge dal nulla un quadro dimenticato di quasi un secolo fa, il ritratto di due cugine adolescenti firmato dal danese Anton Dich. «Dimenticato» è forse troppo, visto che il suo autore non è ricordato in alcuna storia dell’arte, ma chi potrebbe incuriosire Fredrik Sjöberg più di un eccentrico ai margini dell’eccentricità bohémienne? Anton, patrigno di una delle due ragazze ritratte, ha lasciato scarse tracce di sé. Si aggira poco più che ombra tra i caffè di Montparnasse negli anni dell’avanguardia del primo Novecento, quando Parigi pullula di artisti di tutta Europa in cerca della loro strada. Pittore di talento, sembra sempre nel posto giusto al momento giusto, eppure lui la strada per il successo non la troverà mai, e morirà solo e alcolizzato a Bordighera nel 1935. Che cosa l’ha spinto alla deriva? Per scoprirlo, Sjöberg incontra le nipoti svedesi di Anton, scava nella famiglia matriarcale della moglie Eva Adler, ricostruisce complessi alberi genealogici e intreccia storie di carriere ben più luminose: Modigliani, Picasso, Derain, Brecht, Cendrars. Indulgendo alle divagazioni autobiografiche, botaniche, perfino filateliche, lascia spesso la strada maestra per produrre nei détours inaspettate esplosioni di senso, cui la sua consueta ironia elegantemente sottrae enfasi. E in fondo a questo viaggio tra Göteborg, Copenaghen, Parigi, la Costa Azzurra, la riviera ligure, addirittura Leopoli, resterà la sensazione di aver letto non tanto la biografia di un uomo quanto quella di un’epoca, una storia di sogni e nevrosi del XX secolo, ma anche dell’eterna ricerca di qualcosa che somigli all’immortalità. 

 

Henriksen_Kaspersen

Il lungo inverno di Dan Kaspersen, di Levi Henriksen, traduzione di Andrea Berardini, pagg. 352, nazione: Norvegia

Dall’autore di Norwegian Blues un romanzo ricco di humour, di amore e di musica che si addentra nei misteri di una piccola comunità nella campagna norvegese.

La mia recensione la trovate QUI

Sinossi:

È quasi Natale e la campagna norvegese è nella morsa del gelo. Il trentasettenne Dan Kaspersen, dopo due anni di carcere per contrabbando di stupefacenti, torna alla fattoria in cui è cresciuto, ormai disabitata: i genitori sono morti da anni e ad accoglierlo c’è la notizia dell’inspiegabile suicidio di Jakob, amato fratello minore tanto soddisfatto della sua monotona vita rurale quanto Dan è sempre stato incline a fughe che non lo hanno mai portato a capo di nulla. Travolto dal senso di colpa per non aver impedito la sua morte, Dan si ritrova per giunta l’unico sospettato di un pestaggio appena avvenuto in paese, quello del ricco e rispettabile Oscar Thrane, nonno del molto meno rispettabile Kristian che due anni prima aveva progettato l’operazione di contrabbando e poi se l’era cavata addossando tutte le responsabilità a Dan. In una situazione che aggiunge al dolore della perdita l’ostilità dell’ispettore Rasmussen da una parte e le prepotenze di Kristian dall’altra, la tentazione è di fare come sempre: andarsene. Ma a confondere i piani sarà la solida, bella e benigna Mona Steinmyra, che gli istillerà il coraggio di fare i conti con la sua vita e le sue radici. Con una trama che intreccia l’indagine poliziesca alla ricerca interiore, Levi Henriksen dà voce a incandescenze esistenziali sullo sfondo di potenti paesaggi innevati, accosta al tormentato scavo psicologico l’umoristica leggerezza di un personaggio campione di vitalità, il vecchio zio Rein, e mescola i versi di canzoni pop con i sereni ricordi del piccolo Dan nella comunità pentecostale, trovando un felice equilibrio tra crudezza e soavità per raccontare la fragilità e insieme la forza dell’umano.

 

The Passenger_india

«Siamo tutti cresciuti con il cliché del fachiro sul letto di chiodi, dell’India mistica. Sotto certi aspetti questo c’è davvero: un’intensa vita religiosa, una straordinaria varietà di culti. Ma l’India è anche molto altro: un enorme potere industriale, una grande letteratura, la migliore democrazia funzionante dell’Asia meridionale.»
William Darlymple

Il nuovo numero di The Passenger è dedicato all’India, meta per eccellenza del viaggio di formazione, dell’anno sabbatico alla ricerca di sé. Ma l’India contemporanea stenta a riconoscere sé stessa, afflitta da quella che il grande economista e scrittore Prem Shankar Jha ha definito nel pezzo di apertura «una sfida esistenziale» che consiste nel recuperare il sincretismo religioso che ne ha fatto per secoli un terreno fertile di sintesi tra induismo e islam e nel fuggire dal progetto fondamentalista di un paese per soli indù portato avanti con ferocia dal premier Modi. Pochi sanno, tra l’altro, che una comunità sotto attacco, invisa a tutte le religioni, è quella degli atei, tema di un esclusivo reportage della giornalista Julia Lauter. La diversità e la ricchezza della cultura indiana sono l’anima di un paese che non ha una voce né una lingua sole, ma si esprime in 22 lingue ufficiali e decine di altri idiomi e dialetti, come sottolinea Arunava Sinha nel suo babilonico viaggio Un paese, molte letterature. Per il governo centrale di Delhi invece, soprattutto sotto l’attuale ideologia nazionalista, la diversità – linguistica, etnica, regionale e religiosa – è una minaccia da affrontare manu militari, come ci racconta lo scrittore kashmiro Mirza Waheed, che ha vissuto in prima persona la repressione nella regione al confine con il Pakistan, scossa da decenni di scontri. In India esiste però anche un altro centro di potere,  che al contrario è sempre stato affascinato dalla diversità: Bollywood, che scopriamo provare un amore morboso per la Svizzera, quintessenza della fascinazione per le ambientazioni esotiche agli occhi dello spettatore indiano, raccontata nell’articolo di Juhi Saklani. Altra curiosità poco conosciuta è l’avanguardistico programma spaziale indiano, ingiustamente ai margini della narrazione sullo spazio, come descritto da una protagonista del settore, la space designer e imprenditrice Susmita Mohanty. Eppure, mentre una parte del paese partecipa al boom economico e tecnologico, larghe fette della popolazione sono ancora oggi condannate alla povertà in virtù del sistema delle caste, la madre di tutte le ingiustizie dell’India secondo l’autorevole parere di Arundathi Roy, autrice di un manifesto contro la discriminazione castale. L’altra grande categoria discriminata, come è tristemente noto, sono le donne, che subiscono il peso della società patriarcale, anche se non mancano movimenti di resistenza ed esempi di riscatto come suggerito negli articoli delle scrittrici Tishani Doshi e Sonia Faleiro che ci mostrano un’altra India: dalle danze dei transessuali, hijra, alle mobilitazioni delle madri del Manipur, al mondo del wrestling che vede una lottatrice come protagonista. The Passenger India è anche il primo volume della collana a ospitare un esclusivo graphic essay, sul cibo bengalese, e un longform dell’Economist sui monsoni, la chiave per capire le difficoltà dell’India, un paese ancora fondamentalmente agricolo e per questo gravemente minacciato dai cambiamenti climatici.

Queste le prossime pubblicazioni, tra aprile e giugno

Deen per antiche strade

Per antiche strade, di Mathijs Dee, traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo, pagg. 321, nazione: Olanda

Le strade europee esistono da migliaia di anni e sono state consumate dai piedi e dalle ruote di tutti coloro che le hanno usate per emigrare, per commerciare, per attaccare eserciti nemici o semplicemente per fare ritorno a casa. Straordinario viaggio nel tempo e nella cultura d’Europa, Per antiche strade è un libro capace di trasformare le strade in storie e di dar voce a tutti gli uomini che le hanno percorse. 

Nell’ultimo milione di anni moltissimi viaggiatori hanno vagato per l’Europa, dal misterioso Homo antecessor le cui impronte sono state trovate sulla costa dell’Inghilterra, fino ai guidatori sulle autostrade di oggi. Sotto ogni traccia se ne trova una più antica, sotto ogni strada asfaltata c’è una vecchia mulattiera, su ogni sentiero le impronte di antichi cacciatori o delle loro prede. Eppure, a differenza delle celebri highways statunitensi che hanno contribuito a dare forma all’identità di un paese, le strade europee hanno un ruolo ambivalente e non sempre sono state viste come un bene comune che ha contribuito a unificare il continente. Alla ricerca di una spiegazione, lo scrittore olandese Mathijs Deen segue le orme di rifugiati, banditi, pellegrini, ciclisti, cercatori di fortuna e conquistatori che si sono fatti strada lungo le coste, i fiumi e le vie d’Europa. Ripercorrendo lui stesso quelle strade, ci racconta del bandito Bulla che terrorizzò la Via Appia intorno al 200 d.C.; di Gudrid, la prima donna islandese a toccare suolo americano, viaggiatrice instancabile che intorno all’anno 1000 intraprese un pellegrinaggio verso Roma; di un ebreo sefardita che portò il meglio del teatro spagnolo ad Amsterdam nel 1640; di Coenraad Nell, un suo antenato asmatico costretto a seguire in Russia l’esercito di Napoleone; del figlio di un fabbro londinese che a inizio Novecento guidò alle prime gare su strada. Con una prosa elegante e coinvolgente, attraverso un meticoloso lavoro di documentazione che si alterna all’esperienza in prima persona, Mathijs Deen ci regala un saggio narrativo capace di gettare uno sguardo originale sul continente europeo, sulla sua storia e i suoi abitanti.

 

sagadigunnar

Saga di Gunnar, traduzione di Roberto Pagani, postfazione di Fulvio Ferrari, pagg.128, nazione: Islanda

«Nel XII secolo gli islandesi scoprono il romanzo, l’arte di Cervantes e di Flaubert, e questa scoperta è segreta e sterile per il resto del mondo, così come la loro scoperta dell’America.» – Jorge Luis Borges

È il X secolo. Nel sud dell’Islanda, in una regione a ridosso di grandi vulcani coperti da ghiacciai millenari, un giovane ragazzo disubbidiente sfida i pregiudizi della sua famiglia e della sua gente prendendo in mano il proprio destino e diventando un eroe. Gunnar, dopo essersi guadagnato l’epiteto per nulla edificante di «idiota di Keldugnúpur», parte all’avventura su una nave mercantile alla volta del grande Nord. Nel corso di tanti viaggi rivela la sua vera natura eroica uccidendo un orso polare, lottando contro giganti e tröll, sfidando la collera dello jarl norvegese e duellando con dei vichinghi nel mar Baltico, per poi tornare a casa tra ricchezze e onori. Saga che traccia un passato eroico per una parte d’Islanda storicamente fra le più isolate, il cui eroe viene elevato a capostipite di tutte le genti della zona, la Saga di Gunnar mescola ricordi storici che sfumano nella leggenda con elementi fantastici e favolistici tipici delle epiche cavalleresche basso-medievali. È forse l’esempio più tardo del suo genere, ovvero quello delle saghe degli islandesi, ormai al tramonto sul finire del Medioevo. Ma è forse anche in virtù di questo che si rivela povera degli elementi che spesso rendono la lettura di questo genere di testi ostica per il lettore moderno: libera da oscuri riferimenti genealogici e costanti rimandi a diversi fili del complesso intreccio storico dell’Islanda ai suoi albori, la Saga di Gunnar si rivela una narrazione godibile e appassionante, a tratti divertente, nonché un interessante esempio di come gli islandesi, nell’autunno del Medioevo, amassero immaginare il proprio passato più antico.

 

liksom la moglie del colonnello

La moglie del colonnello, di Rosa Liksom, traduzione di Delfina Sessa, pagg. 256, nazione: Finlandia

Una storia d’amore lancinante, un’indagine intima sul potere, La moglie del colonnello è uno di quei romanzi che, terribili nella loro profonda verità, risuonano come un forte monito contro i pericoli dell’autoritarismo.

Negli ultimi momenti della sua vita, seduta in un cottage in Lapponia, un’anziana donna riflette sulla sua esistenza. Guardando al proprio passato con occhi sinceri e disincantati, racconta la vita e gli anni bui di una Finlandia che si preparava alla guerra, stretta tra l’Unione Sovietica e il Terzo Reich. Complessa e respingente, indomita e testarda, sessualmente libera e solidale con il più oscuro dei movimenti politici, la narratrice racconta il suo destino di donna determinato prima dal padre e poi dal marito: dalla sua infanzia lappone da figlia di un nazionalista affiliato alla Finlandia bianca degli anni Trenta, alla gioventù da militante nelle volontarie per la patria, le Lotta-Svärd, terreno fertile per il nazionalismo radicale e il razzismo, fino all’età adulta da moglie del colonnello, un nazista ricco, potente e molto più vecchio di lei di cui si innamora da giovanissima, probabilmente infatuata dal potere. Solo dopo 20 anni di abusi domestici e depressione riuscirà ad aprire gli occhi sulla realtà, trovando il coraggio di divorziare e ricominciare da capo in un piccolo villaggio della Lapponia, a contatto con la selvaggia e immutabile natura del profondo Nord. Con uno stile e una prosa che colpiscono per sorprendente bellezza, Rosa Liksom tratteggia un personaggio complesso nella sua schiettezza e umanità: figlia del suo tempo, è sconcertante perché colpevole e innocente allo stesso tempo. La moglie del colonnello è un romanzo coraggioso che mescola e unisce storie di violenza, amore e sottomissione di una donna a un uomo potente e sadico e a una parte buio della nostra storia collettiva fatta di guerra, patriottismo e antisemitismo.

 

Gustafsson storie di uomini felici

Storie di uomini felici, di Lars Gustafsson, traduzione di Carmen Cima Giorgetti, pagg.256, nazione: Svezia

Affabulatore e filosofo, capace di tradurre in storie poetiche la sua arguta indagine sull’uomo, l’identità e il tempo, è soprattutto con i racconti che Lars Gustafsson si è guadagnato la fama di «Borges svedese». 

Storie di uomini felici è una raccolta di racconti finora inedita che esprime al meglio il talento di Lars Gustafsson nel combinare immaginazione, storia e scienza, attraverso uno humour sottile e raffinatissimi giochi letterari, per proiettarci in mondi paralleli che racchiudono il vero grande enigma: «Nessuno sa veramente che cos’è un essere umano.» Un ricercatore inviato in Cina durante la Rivoluzione culturale per risolvere un complesso problema ingegneristico, un noto scrittore che arriva nella città sbagliata per fare un reading del suo ultimo romanzo, un affermato economista che analizza i dati per l’UNESCO, un fisico sperimentale che lavora con gli acceleratori di particelle al CERN, un professore dell’Università del Texas specializzato in letteratura esoterica svedese di fine Ottocento: dalle situazioni più bizzarre e divertenti ai destini più drammatici, ogni personaggio di questo curioso spettro di avventure sembra portarci un passo oltre nella discesa verso «quel mistero dietro l’uomo», nell’esplorazione del nostro io, fino alle profondità della follia delle ultime storie raccontate. Ciascuno vive un’epifania, un’illuminazione – la scoperta di un amore perduto, lo svelarsi di un’ossessione, la liberazione da un dolore – aprendo una porta sull’universo di possibilità che l’uomo racchiude dentro di sé, un universo di sogni, ricordi, fantasie, o semplici sentieri trascurati nel labirinto delle nostre vite. La felicità, sembra dire Gustafsson, comincia con la negazione della grande e tanto diffusa menzogna secondo la quale «il senso della vita si trova al di fuori di noi stessi». 

 

Magnason_Il_tempo_e_l'acqua

Il tempo e l’acqua, di Andri Snær Magnason, traduzione di Silvia Cosimini, pagg.320, nazione: Islanda

«Se le previsioni degli scienziati si rivelano esatte sul futuro degli oceani, dell’atmosfera e del clima, dei ghiacciai e degli ecosistemi delle coste di tutto mondo, dobbiamo chiederci quali parole potranno contenere questioni di tale portata. Quale ideologia può includerle? Che cosa dovrò leggere?»

Nel 2014 l’Okjokull era stato il primo ghiacciaio islandese a perdere questo status. Nel 2019 era scomparso e gli islandesi, guidati dallo scrittore e attivista Andri Snær Magnason, ne hanno celebrato il funerale. Gli scienziati stimano che nei prossimi duecento anni lo stesso destino toccherà alla quasi totalità dei tanti che oggi si contano sull’isola. Ma già prima di allora, i nostri pronipoti si troveranno davanti a un mondo molto diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto da generazioni e generazioni e generazioni ancora: il livello dei mari salirà, l’acidità degli oceani aumenterà più che negli ultimi cinquanta milioni di anni, e la mutazione arriverà a toccare il paesaggio, i venti, le stagioni e ogni forma di vita sul pianeta. Nessun uomo o donna nella storia si è mai trovato di fronte a un tale cambiamento a una tale velocità. Ecco perché i continui appelli di scienziati e attivisti per la maggior parte delle persone non sono altro che rumore bianco: l’umanità – semplicemente – non possiede strumenti culturali, evolutivi, linguistici e neurologici adeguati. Ci mancano le immagini, ci manca la fantasia, ci mancano le parole. Dopo una vita dedicata agli studi scientifici, all’attività politica ad alto livello, a una carriera letteraria di successo internazionale, Andri Snær Magnason ha capito che il suo compito era quello di cercare questi concetti, parole e immagini e li ha trovati nel nostro passato comune, nei miti, nelle storie, nella sua vita. Mischiando diversi approcci – filosofico, letterario, personale e scientifico – attraverso il racconto di miti ancestrali di vacche sacre, come quella di Auðhumla, la mucca fatta di brina che secondo la mitologia norrena ha dato origine al mondo, dell’avventurosa luna di miele dei nonni nel 1956 sul Vatnajökull per misurare lo spessore del ghiaccio e degli incontri e delle conversazioni con il Dalai Lama, Il tempo e l’acqua riesce a essere più di un libro unico e necessario: è un libro che ha l’ambizione di portare la nostra specie a compiere un piccolo passo più in là.

 

Westo la sfortuna

La sfortuna di chiamarsi Skrake, di Kjell Westö, traduzione di Laura Cangemi, pagg. 576, nazione: Finlandia

Un romanzo poetico e originale sulla sventurata famiglia degli Skrake, che attraverso i suoi personaggi indimenticabili e una sequela di fatti esilaranti ricostruisce la storia del Novecento e ci insegna che anche quando tutti i sogni volgono in catastrofe è sempre all’ironia che si deve ricorrere se si vuol sopravvivere.

 

Da cinque generazioni gli Skrake vivono a Helsinki. Wiktor, ultimo discendente di questa stirpe, ritorna nella casa della sua infanzia nel sobborgo di Råberga per riscrivere la storia della sua famiglia e riannodare i fili di una saga che abbraccia oltre un secolo di storia finlandese e tre generazioni di Skrake. Wiktor si è sempre sentito un fallito nonostante la sua carriera di successo da pubblicitario. L’ossessione per il passato è un modo per capire come è diventato l’adulto che è oggi, ma probabilmente è anche un diversivo dalla sua stessa vita e dal mondo contemporaneo, che lo annoia e lo infastidisce. Suo nonno Bruno, un uomo duro e pieno di misteri che ha combattuto nella guerra civile del 1918 e contro i sovietici nella Seconda guerra mondiale, è una figura chiave che potrebbe fornire una spiegazione per la «maledizione» che ha colpito la famiglia e in particolare Werner, il padre di Wiktor. Negli anni ’50 Werner ha avuto l’onore di essere uno dei conducenti ufficiali dei camion della Coca-Cola nel giorno in cui il prodotto del futuro è stato lanciato ufficialmente in Finlandia, ma ha accidentalmente schiantato il suo camion contro un albero durante la parata, innescando una serie di eventi sfortunati che avrebbero coperto per sempre lui e la sua famiglia di disgrazia. Un personaggio idealista, inquieto e tormentato, per il quale la Santissima Trinità è rappresentata dal lancio del martello, il re Elvis Presley e la pesca alla trota salmonata e i cui sogni quando diventano realtà finiscono inevitabilmente, in una beffa infinita. La disgrazia di chiamarsi Skrake è un racconto originale e spesso umoristico delle relazioni padre-figlio ma anche una storia leggera e profonda, indissolubilmente legata a Helsinki, da sempre luogo di elezione dei romanzi di Kjell Westö, e del secolo appena trascorso, di cui il libro diventa un mirabile affresco.