Il nome che avevo allora. La donna che ero allora. Giusto un’estensione di pelle con vent’anni dentro. La memoria è la facoltà che permette di conservare e ricordare quel che accade nel passato. Codificare, archiviare e ritrovare. Si muove a livello incosciente, come una marea, portando alla luce della notte il fondo sabbioso sott’acqua. Il fondo del mare è come un corpo che si copre nel sonno. Ho letto che esistono due tipi di memoria, quella delle grandi cose e quella che invece raccoglie i dettagli di ciò che viviamo. C’è un passaggio elettrico tra emozione e memoria: cervello, neuroni, flash. Una complessità naturale: più è grande l’emozione che suscita, più è facile che un episodio venga ricordato. L’emozione è il filtro e la marea. È la rivoluzione. La nitidezza del ricordo dipende dall’impressione che i fatti producono. Contemporaneamente, si produce una cascata chimica, una scia inarrestabile, che crea dipendenza. È la fine del giudizio critico. (pag. 50)
Cose che si portano in viaggio, di Aroa Moreno Durán, Guanda 2020, traduzione di Roberta Bovaia, titolo originale La hija del comunista
La protagonista e voce narrante è Katia, figlia di genitori spagnoli fuggiti dalla Spagna verso la fine della guerra civile per sfuggire alla dittatura di Franco. Il padre è un comunista convinto, oppositore del franchismo, che cerca rifugio in un paese che del comunismo è l’incarnazione: la Repubblica tedesca. La DDR, paese nell’orbita dell’URSS, un’utopia che, come la storia ha dimostrato, non ha retto. Ma per questo bisognerà aspettare il 1989. Katia vive con la sua famiglia a Berlino est, di qua dal muro. Lei e la sorella Martina sono nate lì e si sentono tedesche a tutti gli effetti.
La vita nella DDR non è tutta rose e fiori, l’ideologia e la Stasi non riescono a creare un paese dove essere finalmente felici, come il padre scoprirà. Si vive in povertà, sono gli anni ’70 e ci sono ancora le tessere per ritirare il cibo; è richiesta un’ortodossia incrollabile che viene spiata e soppesata fin nei minimi dettagli, in un clima di sospetto dove si rischia il carcere anche solo per un pensiero contro il partito.
In questo clima opprimente, Katia inizia a sentirsi in trappola e l’incontro con Johannes, un ragazzo dell’altra Germania, la spingerà a compiere un’azione senza ritorno: fuggirà senza lasciare un messaggio ai suoi cari per raggiungere l’altro lato, rischiando la sua vita e inconsapevolmente, quella dei suoi cari.
Johannes appare dal nulla nella sua vita, la segue e si manifesta in modo repentino, ma è difficile mettere a fuoco le intenzioni e i veri sentimenti di questo ragazzo per come è condotta la narrazione, portata avanti a salti di anni e senza approfondire i comportamenti. Risulta poco credibile pensare a questo ragazzo che compie viaggi di tre giorni per entrare nell’altra Berlino e mettersi nei panni di chi ci vive o infatuarsi (perché di questo sembra trattarsi) di una ragazza enigmatica. Dopo avere seguito Katia durante alcuni incontri, lui la convince a seguirlo di là dal muro, organizzando una fuga pericolosa ma che va a buon fine.
Fin dall’inizio di questo corteggiamento concentrico, appare chiaro che Katia non ami Johannes, che sia probabilmente attratta da ciò che lui rappresenta, la vita diversa di là dal muro; ma una volta lasciatasi alle spalle la sua famiglia, la sua vita che, nonostante le difficoltà, era comunque parte di lei, Katia cade in una spirale di depressione e solitudine, resa ancora più acuta dai rimorsi.
Ciò che avverrà dopo la caduta del muro metterà ancora più in evidenza le conseguenze della sua scelta sui componenti della sua famiglia.
Avevo scelto di leggere questo romanzo attratta dal contesto in cui è ambientata la storia, e dai giudizi positivi di voci autorevoli. In realtà, devo dire che sono rimasta delusa. Il libro ha delle grosse potenzialità ma mi sembra una prova immatura. La storia narrata poteva dare vita a molte riflessioni, sui muri, sullo sradicamento, sulle distorsioni della storia, sulle implicazioni sociali e politiche delle divisioni scaturite dall’esito della Seconda guerra mondiale nei paesi afferenti ai blocchi contrapposti. Il tema dell’esilio del padre, le motivazioni personali e politiche non affiorano nemmeno in superficie, si deducono da pochi elementi e dalla propria personale conoscenza di ciò che è avvenuto in quei frangenti; i sentimenti di nostalgia della madre e la fede nel sogno comunista del padre sono appena accennati, mentre potevano essere un tema da sviluppare per capire le ricadute sulle figlie, in bilico tra il passato che non hanno conosciuto e il presente vissuto con sentimenti contrapposti. Anche la scoperta dell’altra parte della Germania, avvolta da delusione e dalla caduta di alcune illusioni che Katia aveva probabilmente coltivato, non viene approfondita, rimane nebulosa.
I personaggi stessi hanno poco spessore, non sono approfonditi e dunque risulta difficile dare all’intera storia una profondità che invece è necessaria per renderla efficace. Johannes, il padre di Katia sono due personaggi di cui a malapena si riesce a capire cosa pensino.
Il racconto, in prima persona per gran parte del libro, cambia repentinamente in terza persona nell’ultima parte. Probabilmente si tratta di una scelta stilistica che vuole creare uno spartiacque tra la prima parte e la seconda, quella finale in cui Katia torna a casa dopo la caduta del muro. Personalmente mi è sembrata una scelta poco efficace.
La cosa più degna di nota è la copertina, disegnata da Chiara Fedele, che risulta molto evocativa.
Non fatevi, però, influenzare dal mio giudizio: è solo un punto di vista, il libro ha ottenuto riconoscimenti e pareri positivi. Vi segnalo questo articolo con intervista all’autrice:
https://ilmanifesto.it/lesordio-al-romanzo-di-aroa-moreno-duran/
Interessante segnalazione.
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pur amando io la Guanda visceralmente, devo dire che la tua recensione non fa una piega, l’ho letto ed è un libro “piatto”, non si sono elemtenti che portino a comprendere i sentimenti i caratteri… no non mi è piaciuto!
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Allora non sono l’unica…. Mi sento sollevata. 😁
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no non sei l’unica anche mia figlia altra grande lettrice la pensa così e ho scritto ai miei vecchi datori di lavoro ah ah alla -guanda! dicendo che potevano scegliere di meglio! ah
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Caspita!
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