Avevo insegnato a Sandro ad allacciarsi le scarpe? Non me lo ricordavo. E a quel punto, senza una ragione immediata, non mi meravigliai più che mi fossero estranei, il senso di estraneità era implicito nel nostro rapporto originario. Finché ero vissuto con loro ero stato un padre distratto che per riconoscerli non sentiva il bisogno di conoscerli. Ora che per fare buona figura volevo assorbire tutto di loro, li guardavo con un’attenzione eccessiva – come degli estranei appunto – divorando dettagli per la smania di saperne tutto in pochi minuti. (pag. 80)
Lacci, di Domenico Starnone, Einaudi 2014, pagg. 133
Il romanzo di Starnone racconta le conseguenze di un matrimonio che si spezza, ripercorrendo i passi di quella frattura, della sua successiva ricomposizione e delle vite che ne saranno per sempre segnate. Un testo che delinea una crisi prima matrimoniale, e poi, per diretta conseguenza, familiare, allargando il suo orizzonte di dolore ai figli che non possono altro che subire tutte le implicazioni e le distonie di una tale situazione.
Siamo agli inizi degli anni Settanta, quando la storia prende avvio; a Napoli, la coppia formata da Aldo e Vanda, vive in una casa modesta con i due figli Sandro e Anna, ancora bambini. Si sono sposati da giovani e la loro vita scorre senza grosse scosse fin quando Aldo lascia Vanda e i due figli, per vivere una relazione con Lidia, una studentessa diciannovenne di Roma.
Ora mi è tutto chiaro. Hai deciso di tirarti fuori, di abbandonarci al nostro destino. Desideri una vita tua, per noi non c’è spazio. Desideri andare dove ti pare, vedere chi ti pare, realizzarti come ti pare. Vuoi lasciarti alle spalle il nostro mondo piccolo e entrare con la tua nuova donna in quello grande. Ai tuoi occhi siamo la prova di come hai buttato via la tua giovinezza. Ci consideri una malattia che ti ha impedito di crescere, e senza di noi speri di recuperare. (pag. 11)
Vanda impazzisce di rabbia; sopraffatta dal senso di un abbandono a cui non riesce a dare una spiegazione, addolorata per il fatto che l’abbandono non riguardi solo lei ma anche i due figli. Tenta una serie di confronti col marito, per lettera poiché lui si sottrae agli scontri diretti; cerca di ricondurlo ad un ripensamento, invocando l’ingiustizia di togliere serenità ai due bambini e di rinnegare i sentimenti che li hanno uniti in passato. Vuole che Sandro le faccia capire perché ciò che di lei prima apprezzava ora è stato spazzato via come con un colpo di spugna.
Ma Sandro decide di non tornare sui suoi passi e di vivere con pienezza la sua nuova vita, di fianco a Lidia, in un rapporto libero e al tempo stesso sempre più coinvolgente, riscuotendo successo nel lavoro, senza mai cercare di avere un ruolo nella vita dei due sempre più spaesati figli. Dopo quattro anni, incerto, titubante, addolorato dal non essere riuscito a mantenere un rapporto con i figli, consapevole del dolore inflitto alla moglie, alla quale è pur sempre legato da sentimenti di affetto, torna sui suoi passi, rinuncia al sogno di una vita libera e torna in famiglia. Dove rimarrà fino alla vecchiaia.
Ma se il tentativo era quello di una riconciliazione, nei fatti la loro convivenza assume quasi i toni di una condanna, un volontario votarsi ad una vita di continue recriminazioni che creano un vuoto. E anche Vanda, dopo anni di ricomposta unione, deve fare i conti con le conseguenze di un ritorno forzato, che forse nemmeno a lei ha potuto rendere quella felicità che aveva sognato nei primi anni di matrimonio.
Ora che sono vicina agli ottant’anni posso dire che della mia vita non mi piace niente. Non mi piaci tu, non mi piacciono loro, non mi piaccio io stessa. Perciò, forse, quando te ne sei andato me la sono presa tanto. Mi sono sentita stupida, non ero stata capace di andarmene prima di te. E ho voluto con tutte le mie forze che tornassi solo per poterti dire: ora sono io che me ne vado. Però, guarda, sono ancora qua. Appena ti sforzi di dire con chiarezza una cosa, ti accorgi che è chiara solo perché l’hai semplificata. (pag. 106)
La struttura del romanzo è divisa in tre parti. La prima consiste nelle lettere di Vanda, rancorose, caustiche, all’inizio, e poi sempre più arrendevoli: sono lettere scritte al momento dell’abbandono di Aldo, a caldo. La seconda e la terza parte invece fanno compiere alla narrazione un balzo temporale di quarant’anni. Ritroviamo i protagonisti dopo che la famiglia si è riunita e che ha vissuto insieme anni difficili.
Prima è la voce di Aldo che ripercorre la crisi di allora e racconta come nel tempo è invecchiato il loro matrimonio, tenuto in piedi da apparenti tenerezze, momenti di affetto possibili solo grazie alla sua arrendevolezza di fronte al ruolo dominante della moglie; una continua altalena tra l’indolenza di Aldo e le ostentate recriminazioni di Vanda, in un clima di tensione che mai si placa.
Nell’ultima parte è la figlia minore, Anna – che ormai è una donna matura – a replicare, dal punto di vista dei figli, cioè di coloro che hanno subito la battaglia tra i genitori, tutta la storia della coppia, dirompendo in un finale a sorpresa.
Attraverso la costruzione così ripartita, Domenico Starnone dà voce a tutti i protagonisti, lasciando che ciascuno mostri la sua risposta al dolore, ai rimpianti, anche alla rabbia. Quello che ne esce è un quadro realistico di cosa può accadere quando un matrimonio si spezza e un mondo di affetti viene stravolto.
Soprattutto nella seconda e terza parte, dove vediamo i protagonisti da vecchi, appare chiaro quanto si siano consumati in un “disamore” che, anziché costruire, ha destrutturato, pezzo per pezzo, qualsiasi barlume di ipotetica felicità avrebbe potuto scaturire da un’unione. Ma se le conseguenze delle scelte e dei comportamenti dei genitori si sono riversate sulle loro vite per loro decisione, appare ben chiaro quanto invece esse abbiamo fatto danni sui figli, impotenti spettatori che hanno subito, e pagato il prezzo più caro, di progressivo logoramento che ha inaridito e annientato le loro personalità.
Allacciare i lacci delle scarpe potrebbe essere l’unica cosa che Aldo ha insegnato a suo figlio; un atto simbolico, ironicamente ammiccante ai lacci che hanno tenuto insieme due esistenze in maniera forzata. Quegli stessi legami che gli uomini e le donne hanno provato a mettere in discussione – siamo negli anni Settanta – sotto la spinta dell’emancipazione dagli stereotipi ereditati dalle generazioni passate, dove l’istituzione del matrimonio si ergeva a vincolo sacro, indissolubile; mentre Vanda rappresenta la continuità col passato, Aldo ha provato a ribellarsi, spinto da un desiderio insopprimibile di sovvertimento e di libertà. Desiderio che però deve scontrarsi col dolore di cui diviene causa, trasformandosi in un rimpianto che durerà lungo tutta la vita.
Starnone mette a punto un meccanismo narrativo perfetto, sorretto da un’impalcatura geometrica che ritrae in modo chiaro e completo la crisi matrimoniale, senza mai indulgere in toni patetici, zoomando di volta in volta sui dettagli rivelatori, allargando poi l’obiettivo per inquadrare il ritratto di una famiglia borghese, dove l’apparente unione altro non è che una finzione distruttiva.
Bellissima recensione!
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Grazie 🌷
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Bella recensione! Questo libro è piaciuto molto anche a me. In ho lista anche “Via Gemito” che leggerò presto.
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Infatti, avevo letto la tua recensione e mi aveva incuriosito. Starnone aveva vinto lo Strega, mi pare, con Gemito. Aspetto il tuo commento poi decido se leggerlo.
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Sai che io questo libro l’ho letto, neanche molti anni fa, e non ricordo assolutamente nulla, neanche dopo aver letto la tua recensione… questo mi fa pensare che
1. ho un Alzheimer galoppante
2. è un libro che ho letto volentieri ma che non ha lasciato traccia in me
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L’opzione 1 mi sembra inquietante 😊 propendo per la 2….
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Di norma io dimentico gran parte dei libri che leggo, a volte dimentico anche di averli letti… in parte penso sia normale, in parte è perché forse ne leggo troppi, ma se il libro mi ha colpito, se mi ha detto qualcosa, se ha lasciato un segno, allora non lo dimentico. Alla fine, è un metro che mi serve per capire quali romanzi siano stati un semplice passatempo, per quanto piacevole, e quali invece abbiano realmente inciso
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Mi ritrovo molto nelle tue parole.
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Ne avevo già sentito parlare, e ora sono ancora più curiosa. Che poi, lui non è il marito della “Ferrante”?
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A me pare di ricordare che fosse invece un nome papabile per la vera identità della Ferrante stessa… ma forse mi confondo.
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Possibilissimo
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Sì, infatti, voci asserivano che fosse lui, ma lui stesso ha smentito.
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Non sappiamo a chi credere, ahinoi 😉
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