Non c’era ragione di far niente. I miei occhi, come Winckelmann diceva impropriamente delle statue greche, erano senza sguardo, fissi all’eternità, puntati al fine ultimo, e quando così stanno le cose non c’è ragione di far nulla, nemmeno di aggiustare il fuoco dei propri occhi. Il che forse è la ragione per cui le statue stanno ferme. Mi aveva colpito la malattia “cosmopsis”, la vista cosmica. Quando uno ha questa malattia si irrigidisce come la rana quando la luce del cacciatore la colpisce in pieno negli occhi; solo che con la cosmopsis non c’è né cacciatore né una mano svelta che ponga fine al momento – c’è solo la luce.

La fine della strada, di John Barth, Minimum fax 2020, traduzione di Aldo Buzzi

La fine della strada (pubblicato originariamente nel 1958 e finalista al National Book Award) è il romanzo meno «barthiano» di John Barth: alla tendenza barocca, sperimentale e metanarrativa che contraddistingue gran parte della sua opera, qui si sostituisce infatti uno stile asciutto e lineare dallo straordinario mordente.Una situazione quanto mai tipica – un triangolo amoroso sullo sfondo di un’università della East Coast – diventa in queste pagine un formidabile e spietato romanzo filosofico che alterna comicità e nichilismo, satira e tragedia; al centro, uno dei più irresistibili antieroi della letteratura postmoderna: Jacob Horner, il giovane professore adultero che fa della paralisi esistenziale un grottesco sistema di vita.

Pubblicato da Minimum fax nel 2004, esce ora una nuova edizione, con una nuova copertina. Nel catalogo dell’editore sono presenti anche L’Opera Galleggiante, La vita è un’altra storia e L’algebra e il fuoco.