Mio padre e mia madre non mi baciano mai; mi danno la mano e basta. Non mi baciano neanche per il mio compleanno perché non lo festeggiamo. Da me al villaggio non ho mai visto nessuno dare un bacio. E non ho mai visto mio padre piangere, non saprei immaginarlo.

Memorie della foresta, di Damir Karakaš, Bottega Errante edizioni 2020, traduzione di Elisa Copetti, pagg. 144

La vita in un villaggio della Lika, nella profonda provincia balcanica è necessaria e scarna, come la scrittura di Damir Karakaš, autore di cui vi ho parlato QUI. Gli aggettivi sono rari come i dinari che girano in casa. E anche gli affetti sono tutti taciuti. Le emozioni? Non vengono mostrate, devono essere nascoste, soppresse, ingoiate. Finché non esplodono. Contano il lavoro, la fatica, il trovare cibo per mettere insieme il pranzo con la cena e fare attenzione affinché le vacche non mangino troppo. Il ragazzino, afflitto da una misteriosa malattia cardiaca, osserva, vive, rinuncia al panino a merenda per comprare la rivista che ama.

La forza nasce dalla paura. Lo scrittore croato Damir Karakaš, nel suo Memorie della foresta, appena pubblicato da Bottega Errante Edizioni, costruisce pagine piene di fantasmi, paure, orsi mannari: «Tutti hanno paura, anche le mosche sul vetro si sono nascoste».

La storia si svolge negli anni Settanta in una località rurale, semplice, dove tutti hanno un compito preassegnato. Ci addentriamo nella vita di una famiglia patriarcale, composta da un padre burbero, da una mamma che cerca di mediare le tensioni, dalla confortante dolcezza della nonna, e poi gli amici coi quali crescere e scoprire il mondo, con i quali bastono sguardi e gesti per intendersi.

Trentatré capitoli che seguono la maturazione del protagonista, e che si addensano in un libro di formazione. Sono gli anni Settanta e la sua è una famiglia patriarcale e rurale che abita ai margini di una foresta abitata dall’orso. È un libro sulla famiglia, con medici costosi e veterinari che, se necessario, curano anche le persone, sulle credenze e le stregonerie dei villaggi, su vecchi cattivi e misteriose vecchiette, sulla vita dura dei monti. Le emozioni? Non vengono mostrate, devono essere nascoste, soppresse, ingoiate. Finché non esplodono.

La voce di Damir Karakas ci arriva nitida, è l’ululato di uno di quei lupi dell’Est che dopo aver fatto tanta strada sono tornati sulle Alpi. Ed è la benvenuta” Paolo Cognetti.