In queste ultime settimane mi sono avventurata in un nuovo progetto di lettura che mi ha connesso con un gruppo eterogeneo di scrittrici attraverso alcuni paesi centro e sud americani, più il Messico. Un viaggio che ho deciso di intraprendere perché negli ultimi anni diverse autrici dell’area latino americana si sono cimentate con questo genere narrativo, il racconto, con risultati davvero notevoli. Un genere che era già stato percorso dalle generazioni precedenti, ma che negli ultimi anni ha avuto una grande fioritura tra le nuove generazioni, soprattutto di donne. Vera Giaconi, Mariana Enríquez, Samanta Schweblin sono alcune tra le autrici più in vista: tutte porteñas di nascita o adozione, tutte maestre del racconto breve.

Uno dei punti di convergenza che si può cogliere e che percorre in modo trasversale le opere di cui parliamo oggi, è l’insistenza sulla rappresentazione funzionale della violenza, che non è più quella degli anni Sessanta e Settanta delle dittature militari (se non nei riflessi sulle nuove generazioni, vedi Costamagna), ma dell’attualità, delle metropoli sovraffollate, delle diseguaglianze sociali, del malessere esistenziale e relazionale. La violenza come eredità delle lotte di potere: lotte tra bande di trafficanti di droga, lotte per controllare il mercato del lavoro nero. E poi la violenza di genere. Un altro tema che ricorre è quello del rapporto uomo-natura e uomo-animali. Una vena di terrore a completare il quadro. Direi che la cosa si fa decisamente interessante! Vi propongo i libri che ho letto, e lascio a voi la parola per segnalarne altri.

Mastretta donne dagli occhi grandi

Partiamo da una autrice molto nota, la messicana Ángeles Mastretta, e dalla sua raccolta Donne dagli occhi grandi, pubblicato nel 1990. È una galleria di ritratti di donne – creative, irriverenti, ironiche, visionarie, concrete, sognatrici … – raccontate nel momento di passaggio più significativo della loro esistenza, viste nell’atto di prendere una decisone irrevocabile, o illuminate da un’improvvisa epifania che cambia le loro vite. La Mastretta ha uno stile molto asciutto, diretto come ci si può aspettare da una scrittrice che nasce come giornalista; c’è sempre ironia, sottile, elegante e chi legge fa fatica a nascondere un sorriso. Ci racconta il mondo delle donne messicane delle cosiddette famiglie rispettabili, cresciute a pane e religione, educate dalle suore e da madri attente alla loro reputazione. Il retaggio culturale spagnolo dall’Inquisizione in giù, ma più di facciata che di sostanza. E le zie spesso si fanno beffe di questa morale.

Nettel due libri racconti con logo

La messicana Guadalupe Nettel ha espresso le sue capacità narrative in questa forma in due raccolte di racconti: Bestiario sentimentale e Petali.

Bestiario sentimentale. I cinque racconti si aprono come finestre sul quotidiano, su delle vite ordinarie, colte in quel fatidico momento in cui ci si trova di fronte ad un bivio, ad una scelta. Il filo conduttore di questi punti di svolta dei protagonisti sono l’addio e la perdita. Nettel propone un’ibridazione tra il mondo animale e l’universo umano per parlare di temi naturali come la ferocia della vita di coppia, la maternità – quando è desiderata e quando non lo è – le crisi esistenziali dell’adolescenza o i legami inimmaginabili che si possono instaurare tra due amanti. In ognuna delle cinque storie, animali, insetti o funghi sono una presenza fondamentale e speculare rispetto agli umani con cui condividono lo spazio vitale. A volte servono da catalizzatori di decisioni complesse, altre volte diventano specchio dei processi attraverso i quali passano i protagonisti umani.

Petali e altri racconti scomodi. I personaggi di questo libro mostrano tutto ciò che gli esseri umani vorrebbero nascondere: le loro paure, le loro ossessioni, le loro manie, i loro atti compulsivi. Da questo luogo del nascosto, ognuna delle storie di Petali e altri racconti scomodi rivela una follia inquietante e diversa, l’eccentricità indicibile in cui è criptata un’intera esistenza. Questi racconti, luminosi e inquietanti, si legano l’uno all’altro come a difendere l’idea che la vera bellezza si trovi proprio in tutto ciò che ci mette a disagio, ciò che ci rende unici e irripetibili, nelle imperfezioni, e talvolta attraverso le perversioni, nelle manie private o in impulsi abietti.

Schweblin Benavides logo

Inquietanti e sconcertanti, i racconti dell’argentina Samanta Schweblin pongono un enigma che provoca e attanaglia profondamente il lettore. La pesante valigia di Benavides è una raccolta di racconti pubblicati a partire dal 2010, a testimonianza di quanto questa autrice sia stata pioniera in un genere che ha acquisito nel tempo caratteristiche precise. I diciotto racconti che possiamo leggere nella edizione italiana si muovono di continuo tra realismo, fantastico e “strano”; dunque una raccolta dinamica, sorprendente e a volte disturbante. Aleggia sui racconti una “calma tesa”: la minaccia si percepisce nel crescendo della tensione, ma il lettore non sa che forma assumerà. È come trovarsi di fronte ad una distorsione del nostro mondo familiare. I racconti condividono la carica sovversiva, una certa durezza, la trasgressione dell’ordine domestico, rompendo i connotati di innocenza o purezza, laddove meno te lo aspetti.

Giaconi persone care logo

La raccolta Persone care dell’uruguayana Vera Giaconi è composta da dieci storie che esplorano il lato oscuro dei legami affettivi, proiettati su uno sfondo in cui lo straordinario irrompe nella quotidianità dei personaggi in modo surrettizio e allo stesso tempo irrevocabile. I personaggi che abitano l’universo quotidiano di Persone care provengono da spazi diversi ma condividono lo stesso DNA: smarrimento, distanza e un certo dislocamento rispetto alla realtà. Ciascuna delle dieci storie che compongono il volume include un personaggio che mostra la piega dei suoi pensieri nascosti e l’inquietante predomina come parte della quotidianità.

Costamagna passero

Nei tre racconti che compongono il breve volume della scrittrice cilena Alejandra Costamagna, C’era una volta un passerola presenza che aleggia sulle vite delle protagoniste adolescenti è l’assenza; un vuoto avvolto in misteriose allusioni, in verità tenute nascoste, in codici di comunicazione arcani. Assenze che riguardano gli affetti: padri, madri che d’un tratto svaniscono e bisogna tacerne i motivi. Assenza legata alla perdita, come già preannuncia il titolo, in quel suo “c’era una volta”, che rimanda appunto a ciò che non è più. Assenza declinata nell’ambito familiare a cui corrisponde un’assenza nella società; persone che da un giorno all’altro spariscono. Persone di cui è meglio non parlare, perché parlarne può essere rischioso. Siamo nel Cile degli anni Settanta, sotto la dittatura di Pinochet: un clima di terrore e di persone inghiottite nel nulla, che mai viene esplicitamente alluso nel testo dei racconti, ma che si manifesta in tutta la sua drammatica concretezza. Assenza che si fa presenza, anche se agli occhi di una adolescente tutto è come avvolto da una nebbia che confonde. E la realtà, quella che va in scena nelle strade del Cile, è filtrata attraverso la dimensione onirica.

Ospina azzardi logo

Nei sei racconti che formano la raccolta della colombiana María Ospina Pizano, Gli azzardi del corpo, sono i corpi a narrare ciò che vivono le protagoniste che li abitano. Il corpo atletico di una ex guerrigliera pronta a ricominciare una nuova vita in città; i corpi morbosi e sfuggenti delle ragazze della scuola religiosa; il corpo divorato centimetro dopo centimetro dalle pulci; le torri di braccia, gambe, torsi e teste custodite con cura in un ospedale per bambole. I corpi diventano interpreti della quotidianità, voci che sussurrano istinti e paure, desideri e conflitti, sullo sfondo di una Colombia focalizzata su Bogotà. Una geografia raffinata degli affetti, autentici e spietati, dove la cura e il senso di protezione si alternano all’ossessione e al tradimento, e dove il corpo femminile esige, e trova, nuove forme e nuove circostanze da raccontare. Nella scrittura di Ospina Pizano c’è molta fisicità; una scrittura che mette in evidenza i corpi, che sono come delle antenne che captano ed emettono segnali. I racconti, passando attraverso i corpi ed esponendoli ad una luce rivelatrice, mettono a nudo i luoghi scomodi della società, i rapporti di classe, le diseguaglianze della recente storia.

Rivero ricomporre logo

Ricomporre amorevoli scheletri, della boliviana Giovanna Rivero, I racconti sviluppano alcuni temi in modo quasi ossessivo, temi che ritornano come un filo rosso a legare insieme le paginee questi temi sono le passioni, i ricordi tormentati che echeggiano dal passato, i fili che si sono spezzati, le illusioni infrante, le speranze disattese, il disincanto, le fragilità che minano l’esistenza e che producono fratture. Ogni racconto in questa raccolta funziona come un microcosmo complesso e ciascuno potrebbe essere scritto in modo estensivo, dare vita ad un romanzo. I racconti sono avvolti da un’atmosfera sfuggente, condividono l’ambiguità dei loro finali e la loro qualità di persistere nella nostra memoria; la predilezione per i personaggi strani, folli, oscuri, quelli che si riconoscono diversi dagli altri e le cui esperienze passano attraverso il filtro della frattura o dell’alienazione sociale. La scrittura di Rivero è come un precipizio in cui si cade a rotta di collo, senza possibilità di fermarsi, a cui ci si abbandona in preda alla vertigine.

Colanzi mondo morto logo

Gli otto racconti della scrittrice boliviana Liliana Colanzi inclusi nella raccolta Il nostro mondo morto potrebbero a ragione essere classificati come storie dell’orrore. Storie che si collocano alle soglie di mondi diversi: il terreno e il fantastico, la fantascienza e l’idiosincrasia indigena, la memoria e l’incubo. Nei racconti la fantasia si diluisce nel terrore e nella suspense. La ricerca dell’altro e l’inclinazione ad esplorare le gallerie dell’immaginario sono il tratto distintivo di questo libro, che sembra allinearsi alla tradizione del racconto fantastico ispano-americano. Superstizioni indigene, credenze popolari, leggende ancestrali rivivono negli scritti di Colanzi. La scrittura dell’autrice boliviana appare come un tentativo di dare voce a quei profondi fiumi di magia ancestrale, del mito collettivo, dell’immaginazione che sopravvive nella cultura degli indios Colla, degli Ayoreos, in conflitto con il mondo moderno. Colanzi  mescola il fantastico e la fantascienza con la storia dei popoli indigeni.

Rodriguez tre corpi logo

Il filo conduttore che va dall’inizio alla fine de Il problema dei tre corpidella messicanaAniela Rodríguez è l’accettazione della morte.  I nove racconti inquietanti che compongono la raccolta colpiscono per la forza espressiva. Ogni racconto è il ritratto della violenza come eredità delle lotte di potere in Messico: quella provocata dal traffico di droga, quella di cui sono vittime le donne, quella provocata dalla insicurezza del lavoro che distrugge le vite; alcol e droghe hanno una presenza determinante e il rapporto con la religione non è sempre sano e onesto; le riflessioni sul significato della paura o il tentativo di definire come ci si sente ad essere terrorizzati percorrono ogni storia del volume. I personaggi di Rodríguez presumono la morte non come un terribile destino imposto dagli dei della disuguaglianza, ma come il terreno dove avviene la vita. I personaggi camminano sul filo della propria vita alla maniera dei funamboli o dei muratori sulle impalcature. Non lo fanno per sfidare la morte, ma perché è l’unica cosa che si può fare.

Danticat la vita dentro

Ne La vita dentro. Racconti haitiani, di Edwidge DanticatHaiti e Miami sono due mondi che si guardano e si affrontano negli opposti, uno intriso di bellezza e atrocità, l’altro agognato come una terra promessa che poi si rivela tristemente nella sua miseria come tutte le altre patrie degli ultimi. Otto racconti in cui ci sono donne che affrontano la perdita e il dolore; otto scene che costruiscono un affresco di umanità e emozione, profondamente radicato nella sua terra natale dove tutto è legato, la vita e la morte, il passato e il presente, il magico e il quotidiano, dove anche quelli che abbandonano non si separano mai del tutto. È in questo modo che l’autrice riesce a parlare di immigrazione, di appartenenza e di maternità con una semplicità schietta e sincera, dove essere donna vuol dire perdonare, proteggere e salvare. I racconti sono scritti in lingua inglese con l’inserimento di termini ed espressioni creole, dunque non siamo nella sfera latina, ma ho inserito lo stesso la raccolta perché, al di là della lingua, ha molte tematiche e lo stile in comune con le altre.

Enriquez fuoco logo

Le cose che abbiamo perso nel fuoco, è una raccolta di racconti neri della scrittrice argentina Mariana Enriquez. Piccoli capolavori di realismo macabro che mescolano amore e sofferenza, superstizione e apatia, compassione e rimpianto, le storie di Mariana Enriquez prendono forma in una Buenos Aires nerissima e crudele, vengono direttamente dalle cronache dei suoi ghetti e dei quartieri equivoci. Sono storie che emozionano e feriscono, conducendo il lettore in uno scenario all’apparenza familiare che si rivela popolato da creature inquietanti. Sullo sfondo di un’Argentina oscura e infestata dai fantasmi, con la sua brillante mescolanza di horror, suspense e ironia, Le cose che abbiamo perso nel fuoco ha fatto di Mariana Enriquez la risposta contemporanea a Edgar Allan Poe e Julio Cortázar, la voce più interessante della nuova letteratura sudamericana. Una voce intensa e diretta, che racconta di personaggi brutali e talvolta buffi trascinando il lettore in una spirale fascinosa e disturbante, cui è difficile resistere.

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