Quanto a me, tra inferno e paradiso, Dio poteva anche rimettermi sulla 117. Non mi sarei opposto, anche se gli avrei educatamente chiesto di coprire il costo della benzina e di assicurarsi che i clienti mi pagassero, puntualmente se possibile. Non era il paradiso e non era l’inferno, solo un rettilineo che gli passava in mezzo. Forse aveva qualcosa di entrambi. Era solo la 117. (pag 199)
Il diner nel deserto, di James Anderson, NN Editore, mia recensione
INCIPIT
Un sole rosso stava in bilico sull’orizzonte quando arrivai al Premiato Diner del Deserto. Le ombre dell’alba ne avvolgevano gli angoli. Nel cielo che si andava rischiarando era ancora visibile una pallida luna piena. Posteggiai l’autoarticolato lungo il perimetro esterno del parcheggio in ghiaia. Sulla porta era appeso il cartello CHIUSO. A sinistra, come una specie di monumento a Superman, una cabina telefonica in vetro e metallo nero. Dentro c’era un vero telefono con il disco che ruotava scattando su dieci numeri bianchi. A differenza dei telefoni nei film, questo funzionava – se avevi abbastanza monetine. La curiosità non era mai stata un problema per me. La trattavo come un cane che dorme in una discarica. In linea di massima, non scavalcavo la recinzione. Alcune cicatrici frastagliate sul sedere mi ricordavano le poche volte in cui avevo violato quella regola. Solo perché il cane non si vede, non vuol dire che non ci sia. Certo, di tanto in tanto do una sbirciatina oltre la rete. Ciò che vedo e penso lo tengo per me.
