Essere nata mi costringeva a vivere. Così assurda era la realtà. Erano tanti quelli che forse l’avrebbero voluto, ma che non erano nati.

Il latte della madre, di Nora Ikstena, Voland editore 2017, prima edizione originale 2015, traduzione di Margherita Carbonaro, la mia recensione

riga Lettonia
Riga, Lettonia

E altrettanto imperterrito si sviluppava in me un odio per quell’esistenza doppia e ipocrita, in cui le persone erano costrette a recitare due parti. Portare le bandiere alle parate di maggio e di ottobre, inneggiando all’Armata Rossa, l’esercito più potente del mondo, alla rivoluzione e al comunismo, e nella cucina di casa sciacquare via tutto con un bel bicchierino, farsi il segno della croce e aspettare gli inglesi che sarebbero arrivati attraverso la Daugava, per liberare la Lettonia dallo stivale russo.

INCIPIT

Non ricordo il 15 ottobre 1969. Non posso ricordarlo, anche se c’è chi sostiene di ricordare la propria nascita. È probabile che nella pancia di mia madre fossi nella giusta posizione, perché il parto fu naturale. Non troppo lungo né breve, con le contrazioni che alla fine si ripetevano ogni cinque minuti. Mia madre partorì all’età di venticinque anni, quindi giovane e in salute, anche se non del tutto in realtà, come si capì in seguito. Ricordo, però, o forse l’immagino, la placida e dorata quiete di ottobre alternarsi ai presentimenti del lungo periodo di oscurità. Un mese di confine, almeno a queste latitudini, dove le stagioni si avvicendano e l’autunno a poco a poco si trasforma in inverno. Gli alberi dovevano avere perciò foglie dorate, che nel cortile del nostro edificio la custode spazzava fra le imprecazioni: era venuta insieme alla famiglia dal soleggiato Kirghizistan e per il suo lavoro altamente qualificato aveva ricevuto subito un appartamento al numero 20 di via Mičurin.