Con i miei cinque malati, mi sentivo come quei giocolieri del circo che fanno girare contemporaneamente su un tavolo cinque piatti in piedi sul bordo, e devono correre tutto il tempo dall’uno all’altro in modo che continuino a girare tutti a velocità costante e non ne cada o se ne rompa nessuno.

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Le nuvole, di Juan José Saer, La Nuova Frontiera 2017, traduzione dallo spagnolo (Argentina) di Gina Maneri, pp. 184

La prima cosa che mi ha colpita, aprendo il libro, è stata la citazione in esergo dalla “Celestina, un’opera classica per chi studia la letteratura spagnola (come è capitato a me), che risale alla fine del 1400, attribuita a Fernando de Rojas ma pubblicata in forma anonima, un’opera di frontiera, dalla natura ibrida, incerta tra romanzo e opera teatrale. Leggendo il prologo, la “cornice”, ho realizzato, con lampante chiarezza, l’indizio che Saer ha fornito al lettore che ha deciso di avventurarsi nella lettura. Perché Le nuvole è un ibrido, che partendo da un espediente narrativo classico – un manoscritto ritrovato – si srotola tra romanzo d’avventura (ma forse ne è più una parodia…) disseminato dei classici topoi di genere – difficoltà, rapimenti, duelli, sesso, natura ostile -, romanzo storico, una dissertazione filosofico-scientifica, una seria riflessione sulla pazzia e su come curarla.

L’avvio vede Pichón Garay, un docente universitario, ricevere a Parigi un floppy disk che contiene un documento trascritto da Marcelo Soldi e che racchiude i ricordi del dottor Real, datati 1835; “un’opera narrativa“, priva di titolo a cui “l’autore non avrebbe nulla da ridire se lo intitolassimo Le nuvole”.
Real, dopo la formazione come psichiatra a Parigi, segue il suo mentore, l’esimio psichiatra Dottor Weiss, in Argentina, come suo assistente. Insieme si imbarcano in un viaggio – “cento leghe di peripezie” -, da Buenos Aires, attraverso la pampa infinita, monotona e desolata, ad una località chiamata Le tre acacie. Lì inaugurano la Casa della Salute, una specie di sanatorio all’avanguardia, dove possono curare disturbi e malattie dell’anima. Con idee rivoluzionarie per l’epoca, intendono curare i malati lasciandoli liberi di muoversi e di interagire negli spazi della clinica, sorretti dalla convinzione che le malattie dell’anima vadano curate con la comprensione e l’empatia, piuttosto che con la contenzione. Idee che vengono spesso riprese e approfondite dando un risvolto medico-scientifico, quasi in forma di trattato, al manoscritto.

Real, protagonista e narratore, racconta quell’avventura quando è ormai conclusa e la ricorda attraverso le lenti della malinconia: ora vive in Francia, a Rennes, e lavora presso l’ospedale dove era entrato dopo la separazione dal dottor Weiss, che era rientrato ad Amsterdam. Quell’esperienza ha lasciato un segno indelebile, e vale la pena di raccontarla, pensa Real.

Saer, attraverso Real, ci racconta di una carovana (con trentasei persone che formavano il convoglio, con otto carri e una scorta di sedici soldati), che si muove molto lentamente attraverso le terre argentine, in un’epoca in cui non esistevano comunicazioni né sentieri battuti. 

Le storie personali delle cinque persone alienate che vengono accompagnate verso la clinica mettono in discussione il confine tra follia e sanità mentale e, soprattutto, offrono prospettive ambivalenti con cui giustificare o comprendere l’atteggiamento dei presunti pazzi. Come narratore principale, il dottor Real utilizza diverse fonti per completare i fatti: testimonianze orali come quella del giardiniere Agustín e del dottor Weiss, le lettere che riceve periodicamente da lui (dominate dal suo ateismo e dalla sua irriverente passione per le donne) , il “Manuale d’Amore” di Suor Teresita; le fonti, unite all’esperienza vissuta, gli permettono di condividere riflessioni dogmatiche.

I pazienti Prudencio Parra, Suor Teresita, Troncoso e i due fratelli Verde, formano parte integrante di quell’unico ospedale mobile che li porterà alla Casa della Salute nel viaggio che inizia il primo giorno d’agosto del 1804, sfidando le intemperie e le insidie della pampaUn ambiente che, man mano che il romanzo avanza, diventa sempre più determinante in quanto mostra il potere distruttivo che la pianura esercita su coloro che hanno la sfortuna di attraversarla.

Più di una volta vidi me stesso attraversare la pianura come Enea il mare procelloso, e un’emozione profonda mi assaliva presagendo il destino che mi aspettava in mezzo al deserto, simile a quello di Palinuro, il nocchiere che, lasciatosi sorprendere dal sonno, cade in mare e si perde per morire nudo su un arenile ignoto.

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Dei dieci-dodici giorni che doveva durare, il viaggio si protrae per poco più di un mese, in cui accade di tutto, dalle malattie ai rigori e alla monotonia del deserto, oltre alla costante minaccia di imbattersi nel sinistro Josesito, capo di una banda di criminali indiani. E se le intimidazioni di questo capo non bastassero, e sebbene le previsioni prevedessero la temuta tempesta di Santa Rosa, sarà invece l’incendio a mettere in serio pericolo la loro vita.

Con periodi molto estesi, espansi in subordinate, in assenza di dialoghi, Juan José Saer utilizza un linguaggio potente, pieno di ironia, una scrittura che evoca autori come Cervantes (il manoscritto ritrovato, l’epica picaresca…), Borges, ma anche il nostro Gesualdo Bufalino, che Saer ben conosceva.
Saer si sofferma a descrivere l’azione così come i personaggi, ritratti nei loro disturbi mentali ma anche come vittime di circostanze sfavorevoli che non trovano alcuna redenzione nemmeno tra i propri cari. Attraverso lo snodarsi del viaggio, Real/Saer esplora quelle poche certezze che definiscono il confine tra sanità mentale e demenza. La follia è una questione relativa, che dipende dai criteri con cui viene definita e da chi la definisce. Questo è l’asse strutturale dell’intero romanzo, e lo si percepisce già nelle prime pagine, in relazione all’esposizione del metodo terapeutico utilizzato dai medici Real e Weiss nella loro struttura.

Di quei cinque, sapevo che tre, anche in caso di un improvviso aggravarsi della malattia, non avrebbero dato grossi problemi, perché chiusi nella loro pazzia sembravano del tutto avulsi dal mondo esterno, e un aggravarsi dello stato in cui versavano non poteva che rendere più piccola e buia la prigione in cui vivevano, e più grande e passiva la loro indifferenza. (..) Erano suor Teresita e Troncoso a preoccuparmi, perché (..) credevano con fervore nella legittimità del loro delirio, e volendo a tutti i costi imporla al mondo, militavano per la loro pazzia.

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Il giovane Prudencio Parra, protetto nel suo silenzio e nella sua immobilità, che nasconde nel pugno sinistro un terribile segreto che solo lui conosce. Suor Teresita, che a quanto pare era caduta in demenza dopo essere stata ripetutamente violentata dal giardiniere del convento, ma che risulta essere una ninfomane libertina che, nella sua follia, dice essersi comportata così per mandato divino. Il signor Troncoso, che manifesta gli inconfondibili sintomi maniacali e che nasconde la sua follia con un’aria di superiorità che esercita su quelli intorno a lui. E i fratelli Verde; Juan Verde le cui uniche parole erano la frase “Mattino, pomeriggio e sera“, che ripeteva costantemente, e suo fratello Verdecito, intrappolato in un’onomatopea senza senso con cui imitava tutti i suoni che udiva, “una specie di muraglia sonora che lo isolava dal mondo“, che seguiva Real come un’ombra.

Viaggio ironico, viaggio sentimentale, questo romanzo di Saer concentra nelle sue avventure i nuclei fondamentali della sua scrittura: le sue idee sul tempo, lo spazio, la storia e l’inaffidabilità degli strumenti con cui abbiamo “coscienza e memoria” per apprendere la realtà.

Il titolo del romanzo, nonostante si riferisca alla tempesta di Santa Rosa che minaccia i nostri personaggi durante tutto il loro viaggio e che, infine, nelle ultime pagine del romanzo si abbatte su di loro, è un riferimento diretto ed esplicito ad Aristofane.

Il romanzo di Juan José Saer è inserito nella Box 13 di Romanzi.it, dedicata a La Nuova Frontiera. Potete acquistare la Box 13 A QUESTO LINK. Potete utilizzare il codice sconto di 5 euro esclusivo per il mio blog.

Qui potete leggere l’incipit.

Juan José Saer (1937 – 2005), nato a Serodino (provincia di Santa Fe), figlio di immigrati siriani ed ex professore universitario, è stato uno dei grandi scrittori argentini della seconda metà del Novecento. Trasferitosi a Parigi nel 1968, ha lavorato come professore di letteratura all’Università di Rennes. La Nuova Frontiera ha già pubblicato: Cicatrici, L’indagine, L’arcano, Le nuvole e Glossa.