Non volevo morire in pace. Volevo ruggire tra le fiamme. A posteriori sembra stupido, ma pensavo che se mi fossi dato fuoco avrebbero dovuto ascoltarmi. Ma nessuno lo fece.

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L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, di Michael Bible, Adeplhi 2023, traduzione dall’inglese statunitense di Martina Testa, pp. 135

Un romanzo polifonico, di formazione e generazionale, che per molti versi – parlo anche di stile – mi ha ricordato Salinger. Siamo in un’anonima cittadina del sud degli Stati Uniti, dal nome di Harmony, dove le persone e lo stile di vita appaiono tutto tranne che armonia. Il gap generazionale profondo come un baratro, la monotonia di una vita ripetitiva con pochi stimoli, pochi luoghi di aggregazione – eccezion fatta per la biblioteca, anche se per gli sbandati è solo un luogo fresco o caldo, a seconda delle stagioni, in cui rifugiarsi.

A parte la squadra di football, che l’allenatore usa come mercato di spaccio, il nulla. Gli adolescenti e i giovani appaiono confusi, senza punti di riferimento o mentori, senza ambizioni o persino senza sogni, trasportati da una corrente che li sballotta tra lavoretti precari, una scuola che non educa, abuso di alcol e droghe per anestetizzare il disagio; sono preda della depressione, della paranoia, dell’isolamento, della Costante, come la chiama Cleo. Un quadro troppo fosco? No, la realtà.

Come ci dice la voce narrante del primo capitolo – una voce collettiva, come il coro greco che, guidato da un corifèo, introduce e commenta il contesto - questa è la cittadina di Harmony, una come tante. Si può sopravvivere, e persino diventare adulti e poi vecchi, ma a che prezzo? E per fare cosa? Come leggiamo nel fulminante incipit (lo trovate QUI), per diventare “i vecchi che avevamo giurato di non diventare mai“, passare i pomeriggi in un diner pensando che la vita è scivolata via senza portare nulla.

Alla base di tutto c’era la Costante. Il tempo e la migliore amica del tempo, la transitorietà.(..) alla fine la vita ci tradisce tutti.

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I capitoli successivi sono centrati sui personaggi che popolano la storia e che hanno avuto la vita condizionata da un grave episodio avvenuto nella cittadina, molti anni addietro. Dunque, la tragedia esplorata da vari punti di vista, indagando le implicazioni e ripercussioni sulle esistenze di chi l’ha vissuta e, per estensione, su tutta la comunità.

Il fatto avviene una domenica d’estate, quando la chiesa è piena di fedeli. Iggy, un ragazzo la cui esistenza è già segnata da molte cicatrici, con l’intenzione di darsi fuoco cosparso di benzina, senza voler fare del male a nessun altro, come atto di ribellione o di arresa al mal di vivere, fa cadere accidentalmente il fiammifero e l’incendio divampa con violenza, strappando la vita a venticinque fedeli. Iggy, che in realtà voleva suicidarsi e si salva solo per aver capito, nel momento estremo, di voler continuare a vivere, sarà comunque destinato a morire, condannato alla pena capitale, alcuni anni dopo.

Nel capitolo in cui Iggy si racconta – a mio avviso il più intenso e commovente – ripercorriamo la sua breve esistenza vista dalla prospettiva della cella di isolamento in cui è rinchiuso pochi giorni prima dell’esecuzione della sentenza; dalla finestra della cella può vedere solo un albero, un corniolo. I fiori che cadono saranno l’ultima cosa bella sulla faccia della terra che i suoi occhi vedranno.

Oltre alla tormentata vita di Iggy, il ritratto umano di questa anonima cittadina si popola dei volti dei suoi due amici e amori Cleo e Paul, entrambi amati con un’intensità devastante, e destinati, a loro volta, ad sperimentare molta sofferenza. Incontriamo poi Farber, Nuvola, Alabama, Johnny Belladonna, Trudy, tutti coinvolti, direttamente o indirettamente, nel gesto e nella vita di Iggy.

Credo che nell’universo esista una strana forma di magnetismo. Che avvicina fra loro le persone e poi le porta via da questa terra.

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Le costanti di queste vite giovani, come ho detto sopra, sono l’apatia e una strisciante depressione, che i ragazzi cercano di anestetizzare con alcol e droghe; il senso di isolamento, la solitudine sono come un’ombra nera che incombe sulle loro fragili esistenze, ecco allora che cercano una alternativa alla vita reale nel mondo virtuale, dove passano ore e ore, notti insonni annegati nel mare magnum di internet, esposti ad una massa di stimoli che non sono filtrati attraverso il pensiero critico (che nessuno li aiuta a sviluppare). Oppure affidandosi a sette religiose che promettono una vita più piena e a misura d’uomo; tranne poi rivelarsi trappole prevaricatrici, e talvolta violente, da cui non si può più uscire. Oppure, ancora, rifugiandosi nelle teorie del complotto.

Nel romanzo però non c’è espressione di giudizio, c’è anzi comprensione, un sottolineare che, alla fine, che cosa rimane se non l’amore, a salvare certe situazioni? Un amore vissuto e sentito in modo naturale, senza barriere, che cerca di salvarsi nonostante il tempo, il dolore, il malessere esistenziale. Amore e tempo che nella loro transitorietà tanto hanno in comune con l’essere umano.
Un quadro preoccupante che dovrebbe fare molto riflettere tutte le parti coinvolte: genitori, educatori, allenatori e maestri. Nessuno può chiamarsi fuori e criticare i comportamenti dei ragazzi senza prima essersi chiesto che cosa è stato fatto per garantire loro una crescita, umana e formativa, adeguata.

Ho molto apprezzato lo stile: la scrittura di Bible va diretta al punto, è incisiva, usa frasi brevi, e questo dà ritmo, sviluppa un passo di lettura veloce ma capace di trasmettere al lettore tutta l’intensità dei momenti che sta descrivendo. Credo che l’autore abbia alle spalle una consistente frequentazione dei classici americani, della migliore letteratura targata USA, che nel suo personale stile è in qualche modo evocata senza diventare stereotipo o essere ingombrante. Un processo di sedimentazione che dà linfa ad una voce nuova.

Vi suggerisco la lettura dell’intervista all’autore apparsa su Lucy, Sulla cultura.