Ma ti pare che possiamo costruire la nostra patria basandoci su queste storie enigmatiche? E perché noi dobbiamo costruirla? Gli esseri umani ereditano il loro paese così come ne ereditano la lingua. Perché soltanto noi, fra tutti i popoli della terra, per non perdere tutto e piombare in un eterno sonno, dobbiamo quotidianamente inventarci la nostra patria?

La porta del sole, di Elias Khoury, Feltrinelli universale economica 2014, edizione originale 1998, traduzione dall’arabo di Elisabetta Bartuli, pagg 537

Avevo letto questo romanzo molti anni fa; mi aveva commossa e anche fatto provare rabbia, quel sentimento che ci prende di fronte alle ingiustizie e alle sofferenze. In questi giorni mi è tornato in mente e vorrei consigliarlo perché offre un punto di vista molto umano sulla tormentata storia del popolo palestinese. Lontano da ogni retorica militante, il romanzo di Khoury racconta le vicende delle persone, degli esseri umani costretti a condizioni di vita e sofferenze ingiuste.

La Palestina non è una causa. Sì che lo è, in un certo senso, però anche no, perché la terra non si sposta. Questa terra resterà. Non è questione di chi la governerà, tanto governare la terra è un’illusione. Io, mio caro, non ho combattuto per la Storia; ho combattuto per la donna che ho amato.

Il romanzo si presenta come un lungo racconto, con salti temporali, perché i ricordi, affiorano man mano, si collegano tra loro, e come in un flusso incontrollato, emotivo, scorrono e riempiono le pagine. Un racconto che riprende più volte gli stessi episodi, perché è così che i ricordi tornano nella nostra mente, e ogni volta ci ricordiamo qualcosa di diverso, o vediamo gli accadimenti in modo diverso, ci sforziamo di dare un senso aggiungendo ogni volta una considerazione, un fatto.

Siamo a Shatìla, nel campo profughi, in Libano negli anni Novanta. Nell’ospedale del campo viene portato un uomo in fin di vita: è Younès, un anziano combattente per la liberazione della Palestina. Al suo capezzale c’è l’infermiere-medico Khalil: è lui la voce narrante che ripercorre la sua storia e quelle di moltissime altre persone, a comporre un quadro corale della tragedia palestinese. Dalla cacciata dalla Galilea nel 1948 fino agli accordi di Washington, nel 1993. Passando per il massacro di ‘Ayn al-Zaytùn, ad opera del Palmach.

Khoury compone un grande quadro, fatto di tanti particolari, di vite spezzate, di lotta, di sopravvivenza, di fughe, di amore, di morte, dove ogni personaggio raccontato emerge con la sua storia individuale, è persona, non massa indefinita. Khalil ci racconta il coraggio, la passione, l’amore dei personaggi che hanno popolato questo universo prostrato. E il suo amore per Nahila.

Elias Khoury, nato a Beirut nel 1948, è uno scrittore e intellettuale di grande rilievo, molto noto a livello internazionale; i suoi romanzi sono stati tradotti in molte lingue e sono universalmente apprezzati. Insieme al suo impegno intellettuale, nel corso della sua vita ha portato avanti l’impegno civile per la liberazione della Palestina. Il suo approccio alla letteratura è soprattutto come testimonianza. La sua scrittura vuole dare voce a chi non può parlare, a quei vinti che la Storia mette da parte e che la letteratura può riscattare.

Qui potete leggere l’incipit.