Non esiste un’attività più prossima alla scrittura della cucina: entrambe necessitano di tecnica e immaginazione, di ordine e struttura, di esperienza e talento. Iaia Caputo 

Amate leggere e amate cucinare? Amate leggere mentre cucinate? Amate cucinare mentre leggete? Vabbé, ci siamo capiti, vi piace il connubio lettura e cibo: buone letture e buone ricette. Allora c’è una bella dose di libri che vi posso proporre, però attenti a non bruciare tutto nel forno!!!

Pronti per il menù…. ops, la lista?

Blixen capricci del destino_

“Il pranzo di Babette” è un racconto scritto da Karen Blixen, con lo pseudonimo di Isak Dinesen. Il racconto venne inizialmente pubblicato nel 1950 in inglese col titolo Babette’s Feast, prima di essere tradotto in danese (Babettes gæstebud) dalla stessa Blixen. Dal racconto è stato tratto il film omonimo che ha vinto numerosi premi. In Italia è stato pubblicato da Feltrinelli nel 1962 insieme alla raccolta di racconti intitolata “Capricci del destino” (Anecdotes of Destiny) con la traduzione di Paola Ojetti. Il racconto ruota intorno al tema del contrasto tra mondo immaginario e mondo reale, tra le umane fantasie e le convenzioni dell’agire umano.  Al centro de Il pranzo di Babette è il personaggio della cuoca comunarda che, crollati i suoi ideali rivoluzionari, vive esule in un mondo grigio e frugale. Ma il potere visionario di Babette trionfa, paradossalmente e orgogliosamente, sulle miserie della quotidianità.

Harris chocolat

“Chocolat” è un romanzo della scrittrice britannica Joanne Harris: edito in Italia nel 1999, ha ispirato l’omonimo film del 2000, con Juliette Binoche e Johnny Depp. Rocher arriva al tranquillo villaggio di Lansquenet accompagnata dalla figlia Anouk; in breve tempo, Vianne apre un negozio di dolciumi, La celeste praline, che ben presto attira le attenzioni degli abitanti del paesino. I clienti che lo frequentano sono i più disparati e per ognuno Vianne sa trovare il dolce preferito. L’apertura del negozio, però, attira su Vianne le antipatie del sacerdote che fa di tutto per importunarla nella gestione del suo negozio.

Barbery estasi culinarie

“Estasi culinarie” (Une gourmandise) è un romanzo della scrittrice francese Muriel Barbery. Pubblicato nel 2000, precede di sei anni L’eleganza del riccio, opera che ha consacrato l’autrice al successo mondiale. Nel signorile palazzo di rue de Grenelle, già reso celebre dall’Eleganza del riccio, monsieur Arthens, il più grande critico gastronomico del mondo, il genio della degustazione, è in punto di morte. Il despota cinico e tremendamente egocentrico, che dall’alto del suo potere smisurato decide le sorti degli chef più prestigiosi nelle ultime ore di vita cerca affannosamente di recuperare un sapore primordiale e sublime, un sapore provato e che ora gli sfugge, il Sapore per eccellenza, quello che vorrebbe assaggiare di nuovo, prima del trapasso. Ha così inizio un viaggio gustoso e ironico che ripercorre la carriera di Arthens dall’infanzia ai fasti della maturità, attraverso la celebrazione di piatti poveri e prelibatezze haute cuisine. A fare da contrappunto alla voce dell’arrogante critico c’è la nutrita galleria delle sue vittime (i familiari, l’amante, l’allievo, il gatto e anche la portinaia Renée…), ciascuna delle quali prende la parola per esprimere il suo punto di vista su un uomo che, tra grandezze pubbliche e miserie private, sembra ispirare solo sentimenti estremi, dall’ammirazione incondizionata al terrore, dall’amore cieco all’odio feroce. Anche in questo romanzo d’esordio Muriel Barbery racconta, assieme ai piaceri e alle tenerezze della vita, l’arroganza e la volgarità del potere (in un ambiente spietato dove – è cronaca di questi anni – un cuoco si uccide perché ha perso una stella Michelin). Estasi culinarie è un percorso che si snoda attraverso vivide evocazioni sensoriali, impreziosite da una scrittura raffinata e sinuosa, al servizio di una corrosiva satira delle manie alto borghesi.

l ultimo chef cinese

Maggie è appena arrivata a Pechino, davanti alla casa del giovane chef che ha deciso di intervistare per la rivista americana di gastronomia con la quale collabora. In realtà è a Pechino anche per un altro motivo: una donna sostiene che il padre di sua figlia sia il marito di Maggie, da poco deceduto in un incidente. Nell’attesa che vengano espletate tutte le formalità, Maggie si dedica ad intervistare Sam Liang, giovane chef emergente, per metà americano e per l’altra metà cinese, erede diretto della scuola tradizionalista di Liang Wei, autore del celebre trattato intitolato L’ultimo chef cinese. Quando Maggie bussa al portone di casa Liang, dopo aver sentito dei passi risuonare sul ghiaino, si trova al cospetto di un giovane uomo affascinante, dagli zigomi pronunciati e dai capelli neri e lisci raccolti a coda di cavallo. Ma quello che le toglie il fiato è il regno di quell’antica casa: una cucina organizzata in modo stupefacente. Ogni centimetro delle pareti è coperto di mensole, con sopra ciotole, contenitori, bottiglie e vasetti pieni di ogni tipo di salsa e spezie. Al centro, poi, troneggia un magnifico bancone a isola, con sopra tre lucide sezioni circolari di tronchi d’albero…Romanzo che conduce il lettore nel cuore dell’alta cucina cinese, là dove il cibo diventa raffinato gioco intellettuale ed efficace modo di prendersi cura di sé e di stare insieme. Un romanzo in cui una storia d’amore si intreccia magnificamente con gli autentici precetti dell’antica arte culinaria cinese.

Bender torta al limone

Alla vigilia del suo nono compleanno, la timida Rose Edelstein scopre improvvisamente i avere uno strano dono: ogni volta che mangia qualcosa, il sapore che sente è quello delle emozioni provate da chi l’ha preparato, mentre lo preparava. I dolci della pasticceria dietro casa hanno un retrogusto di rabbia, il cibo della mensa scolastica sa di noia e frustrazione; ma il peggio è che le torte preparate da sua madre, una donna allegra ed energica, acquistano prima un terrificante sapore di angoscia e disperazione, e poi di senso di colpa. Rose si troverà così costretta a confrontarsi con la vita segreta della sua famiglia apparentemente normale, e con il passare degli anni scoprirà che anche il padre e il fratello – e forse, in fondo, ciascuno di noi – hanno doni misteriosi con cui affrontare il mondo.
Mescolando il realismo psicologico e la fiaba, la scrittura sensuale di Aimee Bender torna a regalarci una storia appassionante sulle sfide che ogni giorno ci pone il rapporto con le persone che amiamo.

La scuola degli ingredienti segreti

È lunedì, nel ristorante di Lillian è giorno di chiusura, e come ogni settimana si tengono le lezioni del corso di cucina. Circondata dagli allievi, Lillian muove delicatamente le mani, sta per aggiungere l’ultimo tocco, l’ingrediente segreto, e poi la torta sarà pronta. Nessuno meglio di Lillian conosce la magia degli ingredienti, nessuno meglio di lei sa che a volte basta una tazza di cioccolata per cambiare un po’ la vita. Era solo una bambina quando, grazie a una misteriosa ricetta donatale da Abuelita, la donna della bottega delle spezie, ha salvato sua madre. Sono passati anni da allora, anni in cui ha combattuto, ha sofferto, si è ribellata, a volte ha perso ogni certezza, tranne una: la fiducia nella magica alchimia del cibo. È per questo che il suo ristorante è un luogo speciale, dove si ritrovano ricordi perduti, si stringono promesse d’amore o nasce un’amicizia. Lo sanno bene gli allievi del corso di cucina, tutti alla ricerca dell’ingrediente segreto che ancora manca alla loro vita. Come Claire, giovane madre insicura, o Tom, che ha appena perso la moglie; Chloe, ragazza maldestra e vitale; Isabelle, che non ricorda nulla tranne le ricette. Per tutti loro Lillian ha la soluzione: sa che le tortillas restituiscono il gusto piccante dell’avventura, che una soffice glassa può far dimenticare un tradimento e che un ragù schiude le porte di un nuovo amore. Quello che non sa è la ricetta giusta per lei. Potrà trovarla solo se accetterà di mettersi alla prova, almeno una volta.

Allende Afrodita

Questo libro è un viaggio senza carta geografica attraverso le regioni della memoria sensuale, là dove i confini tra l’amore e l’appetito a volte sono talmente labili da confondersi completamente. Dalla salsa corallina alle pere ubriache, dall’habanera di gamberi all’insalata delle odalische, dalla zuppa scacciapensieri alle ciliegie civettuole: un patrimonio di ricette piccanti e spiritose condite con le spezie dell’ironia. Isabel Allende torna a gustare la vita. La troviamo alle prese con il mondo della cucina, tempio del piacere dei sensi e anticamera del “piacere dei piaceri”. In un invito alla gioia dietro il grembiule, un gioco per nutrirsi ed inebriarsi senza prendersi troppo sul serio.

Pomodori verdi fritti

Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop” è un piccolo capolavoro che molti lettori hanno scoperto e amato anche grazie all’omonimo fortunato film dei primi anni Novanta. Coniugando uno humour irresistibile alla rievocazione struggente di un mondo che non c’è più, Fannie Flagg racconta la storia del caffè aperto in un’isolata località dell’Alabama dalla singolare coppia formata da Ruth, dolce e riservata, e Idgie, temeraria e intraprendente. Un locale, il loro, che è punto di incontro per i tipi umani più diversi e improbabili: stravaganti sognatori, poetici banditi, vittime della Grande Depressione. La movimentata vicenda che coinvolge Ruth e Idgie, implicate loro malgrado in un omicidio, e la tenacia che dimostrano nello sconfiggere le avversità, donano a chiunque segua le loro avventure la fiducia e la forza necessarie per affrontare le difficoltà dell’esistenza.

Montalban ricette immorali

Manuel Vazquez Montalban, creatore del famoso detective Pepe Carvalho, e ispiratore del più famoso ispettore Montalbano di Andrea Camilleri, ha ideato le Ricette immorali”, l’intraprendente e gustoso ricettario uscito per la prima volta nel 1994. Un vero e proprio trattato enogastronomico-sessuale, in cui lo scrittore spagnolo ci suggerisce 62 “ricette piccanti e gustose” spiegate con gusto e con le quali sedurre e coinvolgere, quelle che lui definisce “le prede femminili”. «La morale non è un valore assoluto bensi’ relativo e quindi anch’esso è immorale. Ognuna di queste ricette è una scommessa su un’altra morale possibile, quella del piacere immediato, basato sull’uso e abuso di saggezze innocenti: saper cucinare, saper mangiare, cercare d’imparare ad amare.»

Ogawa ristorante amore ritrovato

Ringo, una ragazza che lavora nelle cucine di un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l’intenzione di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po’. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l’appartamento è completamente vuoto. Niente televisore, lavatrice, frigorifero, mobili, tende, niente di niente. Spariti persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruola Le Creuset acquistata con la paga del suo primo impiego, il coltello italiano ricevuto in occasione del suo ventesimo compleanno. È, soprattutto, sparito il fidanzato indiano, maitre nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie. Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non le esce più dalla bocca. Decide allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicenne, è scappata di casa in un giorno di primavera. Là, appartata nella quiete dei monti, matura il suo dolore. Una mattina, però, osservando il granaio della casa materna, Ringo ha un’idea singolare per tornare pienamente alla vita: aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ritagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti.

Fajardo sapore perfetto

Una storia d’amore che comincia dove finiscono tutte le altre: è quella di Omar, marinaio-cuoco di origine spagnola che attraversa le strade notturne di Parigi, dove è approdato dopo l’infanzia trascorsa nelle Asturie e un passato sulle navi mercantili. Ed è una storia che deve assolutamente essere raccontata come se fosse il menu dell’Arc en Ciel, il ristorante in cui Omar lavora: dagli antipasti ai primi, dai secondi al dessert, senza mai trascurare la musica di sottofondo. Ma Omar non è solo un marinaio-cuoco perduto nella notte parigina: la sua storia è anche quella di un amore che sembra impossibile, ma che gli regala la voglia di continuare a lottare contro la tristezza e la disillusione, per la passione contro l’indifferenza del mondo. Una storia d’amore che comincia dalla fine, quindi, ma che forse non finisce nemmeno; se è vero, come è vero, che Omar non ha ancora rinunciato a cercare la sua felicità.

Amado dona Flor

Forse il romanzo più famoso di Jorge Amado, “Dona Flor e i suoi due mariti” ci porta nella speziata cucina di una donna brasiliana. Ogni parte si apre con una divagazione di cucina baiana, ricavata dalle ricette o dalle lezioni della protagonista, che per sbarcare il lunario si è improvvisata maestra di cucina. Ambientato nella capitale dello stato di Bahia, nei primi anni Sessanta, il libro è un affresco nostalgico della vivace vita dei quartieri popolari baiani. Inizia con la morte di Vadinho, allegro e scapestrato giocatore d’azzardo che si accascia improvvisamente mentre balla per la strada a carnevale, lasciando vedova Flor, donna innamorata ma in continua tribolazione per la vita sregolata del marito.

Morais amore cucina e curry

Hassan Haji, secondogenito di sei figli, è nato sopra il ristorante di suo nonno, in Napean Sea Road a Bombay, vent’anni prima che fosse ribattezzata Mumbai. Ed è cresciuto guardando la figura esile di sua nonna che sfrecciava a piedi nudi sul pavimento di terra battuta della cucina, passava svelta le fettine di melanzana nella farina di ceci, dava uno scappellotto al cuoco, gli allungava un croccante di mandorle e rimproverava a gran voce la zia. Tutto nel giro di pochi secondi. E ha capito infine come va il mondo osservando suo padre, il grande Abbas, girare tutto il giorno per il suo locale a Bombay come un produttore di Bollywood, gridando ordini, mollando scappellotti sulla testa degli sciatti camerieri e accogliendo col sorriso sulle labbra gli ospiti. Naturale che quando l’intera famiglia Haji si trasferisce, dopo la tragica scomparsa della madre di Hassan, prima a Londra e poi a Lumière, nel cuore della Francia, sia proprio lui, Hassan, a prendere il posto della nonna Ammi ai fornelli della Maison Mumbai, il ristorante aperto a Villa Dufour dal grande Abbas. Un locale magnifico per gli Haji, con un’imponente insegna a grandi lettere dorate su uno sfondo verde Islam, e la musica tradizionale indostana che riecheggia dagli altoparlanti di fortuna che zio Mayur ha montato in giardino. Peccato che abbia di fronte un albergo a diverse stelle, Le Saule Pleureur, la cui proprietaria, una certa Madame Mallory, sia andata a protestare dal sindaco per la presenza di un bistrò indiano…

Mattarelli, mestoli di bronzo, fotografie di Sophia Loren e quadri di Amalfi: benvenuti all’Osteria Napolitana, il ristorante piú famoso di Mar del Plata. A gestirlo è il Chiche, l’ultimo dei Vespolini, cuoco estroso e custode della ricetta segreta dei leggendari «sorrentini».
Un’esotica commedia familiare dove la cucina diventa un rimedio per tutto, o quasi. È passato quasi un secolo da quando la famiglia Vespolini ha lasciato l’Italia per stabilirsi a Mar del Plata e aprire uno dei ristoranti piú famosi del Paese. Emigrati come tanti, se non fosse che i Vespolini, negli anni, hanno contribuito alla cultura argentina in un modo speciale, inventando una pasta unica al mondo: i «sorrentini». A custodirne la ricetta, tramandata di generazione in generazione, è il Chiche, l’ultimogenito, carismatico proprietario dell’osteria e punto di riferimento per i suoi sgangherati parenti: come Carmela, la sorella, che ha aperto un ristorante tutto suo con il marito piemontese per poi finire in bancarotta; o Ernesto, il cugino, che sogna la Russia e diventare un «bolscevico».

Di Mare il teorema

Manca ancora un mese a Natale, ma a Procolo Jovine, titolare del miglior ristorante di Bauci, piace fare le cose per bene e sta già preparando un menù coi fiocchi. Del resto, il suo pranzo del 25 è qualcosa di leggendario, un incantesimo di sapori e profumi capace di far tornare gli adulti bambini e riportarli nelle cucine delle loro nonne. I suoi segreti? Il rispetto rigoroso della tradizione e una ricerca maniacale degli ingredienti più genuini. Perciò, in questo meraviglioso paese della Costiera amalfitana, la sua autorità culinaria è indiscussa. Una mattina però, dall’altro lato della piazza, dove c’era una profumeria, Procolo nota una nuova insegna “Experience” – che promette “percorsi emozionali in cucina”. Una fitta allo stomaco lo avvisa che qualcosa non va. E quel qualcosa prende presto il volto di Jacopo Taddei, il paladino della cucina molecolare, il principe della mondanità in tv, “colui il quale ha trasformato le ostriche in nuvole, scomposto i prodotti in particelle, e inventato il cappuccino di baccalà”. Un uomo bellissimo e, “ça va sans dire”, il sogno proibito di ogni donna. Per Procolo il suo arrivo è un oltraggio, un insulto, una sfida. Di più: un atto di guerra. Franco Di Mare mette in scena una brigata di personaggi irresistibili le cui bassezze e genialità sono quelle di tutti noi. Perché la cucina è vita, e la vita è fatta di gioie, grattacapi, rivalità e grandi amori.

Esquivel dolce come il cioccolato

Molto più aderente alla storia, il titolo originale recita “Como agua para chocolate” e infatti le prime edizioni italiane portavano il titolo “Come l’acqua per il cioccolato“, poi cambiato nel più ammiccante “Dolce come il cioccolato“. Fin dal loro primo incontro, poco più che adolescenti, Pedro e Tita vengono travolti da un sentimento più grande di loro. Purtroppo, a causa di un’assurda tradizione familiare, per Tita il matrimonio è impossibile: ma per umana volontà e con la complicità del destino, lei e Pedro si ritroveranno a vivere sotto lo stesso tetto come cognati, costretti alla castità e tuttavia legati da una sensualità incandescente. Una storia d’amore in cui il cibo diventa metafora e strumento espressivo, rito e invenzione, promessa e godimento, veicolo di un’inedita comunione erotica.

Vaughan sapore sconosciuto amore

Apparentemente sembra facile preparare una torta. Eppure un dolce non è solo un dolce: è soprattutto una dimostrazione d’amore. Come una fetta di pane fatto in casa è un gesto che fa sentire importante chi si ama. È così per Jennifer, per cui una tavola imbandita è un modo per tenere unita la famiglia, anche se ora si sente più sola che mai, e per Vicki che sforna deliziosi e soffici pan di spagna per rendere finalmente fiera sua madre. Mike nella perfezione di un dolce cerca la conferma ai suoi sforzi di essere un buon padre; mentre Claire ha dovuto accantonare la sua passione culinaria per crescere da sola il suo bambino. Il destino li fa incontrare in un affascinante tenuta di campagna dove l’odore delle spezie e dei profumi si diffonde nelle ampie sale e nel giardino. Sono tutti in gara per diventare il degno erede di Kathleen Eaden, denominata «La regina della cucina», autrice di un famosissimo ricettario che dagli anni Sessanta ha ispirato intere generazioni. Sono tutti convinti sostenitori della sua idea secondo la quale cucinare riesce a ridare colore a una giornata grigia. Ed è una fonte inesauribile di felicità. Ma non hanno ancora trovato la ricetta giusta per raggiungerla. E quando si trovano fianco a fianco, concentrati sul creare il pudding perfetto e la gelatina di frutta più morbida, scoprono che a volte l’ingrediente speciale non è altro che un sorriso, una nuova opportunità che si affaccia all’orizzonte, una decisione sofferta che può cambiare la vita. Perché ci sono molte ragioni per cucinare: per nutrirsi; per regalare un’emozione; per ritrovare sé stessi. Eppure spesso si cucina per amare ed essere amati.

CAPUTO il gusto di una vita

Un memoir gastronomico-letterario dove cucina e scrittura siedono alla stessa tavola.

Il gusto di una vita è un piccolo, saporito romanzo di formazione, fatto di struffoli e sanguinacci, carciofi arrostiti e paste cresciute, crocché di patate e merende notturne. Un viaggio esistenziale dove ogni lettore può riconoscere i gusti della propria esistenza. Perché, al di là della geografia e della storia personale, la memoria si scompagina e si ricompone per tutti allo stesso modo, in un’unica grande commedia umana.

In queste pagine Iaia Caputo intreccia le due grandi passioni di una vita raccontando attraverso il cibo – assaporato, azzannato, rifiutato, gustato, cucinato, condiviso – il dispiegarsi dei suoi anni, e insieme quelli di un’intera generazione. Ecco dunque un’infanzia anni Sessanta a Posillipo, scandita da riti e divieti, da regole e felici solitudini, da grandi letture e un sentimento di sostanziale “inappartenenza” che la spingerà a “scavalcare impaziente i recinti per correre sempre più avanti”. Una giovinezza improntata alla passione politica, condita da arancini afferrati al volo per strada e interminabili riunioni alla nicotina. E, infine, una maturità milanese, laboriosa e inquieta, dove la “guantiera di paste” non è che una copia sbiadita di quella che fu.

Inghilterra, 1835. Eliza Acton spera che la sua nuova raccolta di poesie la conduca al successo. I sogni di gloria, però, si infrangono contro l’oltraggioso rifiuto dell’editore, Mr Longman. «La poesia non si addice alle donne», borbotta Mr Longman quando riceve Eliza nel suo ufficio londinese. Le liriche della sua nuova raccolta sono curate ed eleganti, ma lui preferirebbe un bel libro di ricette. Eliza stenta a credere alle sue orecchie: quell’editore le ha davvero suggerito di mettere la sua penna sublime al servizio di un’attività così frivola e pratica come la cucina? Eliza è indignata, ma anche preoccupata: a trentasei anni deluderà ancora la sua famiglia, e dovrà forse rinunciare ai sogni e arrendersi a un matrimonio combinato, o a rimanere un’anonima zitella del Suffolk. Ma quando suo padre, sull’orlo della bancarotta, si dà alla fuga, quell’assurda proposta si rivela l’unico modo per sopravvivere. (la mia recensione)

Home cooking. Una scrittrice in cucina, di Laurie Colwin, Sur edizioni

Laurie Colwin è morta nel 1992 a soli quarantotto anni, ma nel panorama letterario degli Stati Uniti rimane una figura di culto: per i suoi romanzi, che uniscono grazia, intelligenza e ironia, e per questa raccolta di saggi a tema culinario (usciti originariamente sulla rivista Gourmet), che dal 1988 a oggi ha conquistato generazioni di fan. Il segreto sta nel tono. Laurie Colwin invita a riscoprire il piacere del far da mangiare per gli altri e del mangiare insieme come occasione di condivisione, di incontro e di intimità – il che non era affatto scontato negli Stati Uniti reaganiani degli anni Ottanta, come non lo è in una città contemporanea dove dilagano le app di food delivery. Le sue ricette spaziano gioiosamente fra tradizioni diverse (americana, mediterranea, caraibica, britannica…) ma prediligono sempre la semplicità e l’efficacia, sono costellate di utili dritte e accompagnate da aneddoti e ricordi altrettanto gustosi: queste pagine ci portano nella Columbia University occupata del ’68 e nella mensa di un centro di accoglienza per donne senzatetto, nei cenoni di una famiglia ebraica newyorkese e sulla veranda fatiscente di una casa di villeggiatura.

Banchetti letterari. Cibi, pietanze e ricette nella letteratura da Dante a Camilleri, di G.M. Anselmi e G. Ruozzi, Carocci editore

Dal pane di Dante e di Manzoni al risotto di Gadda, dalle salsicce del Decameron al timballo di maccheroni del Gattopardo, la presenza del cibo nella letteratura italiana non è certo casuale o sporadica. Proprio per questo – in un momento in cui fra l’altro si registra a tutti i livelli un rinnovato interesse per la cucina – Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi hanno scelto il cibo come fil rouge attraverso cui ripercorrere il nostro patrimonio letterario. Sarà un percorso inevitabilmente fatto di “assaggi”, volti a stimolare più che a soddisfare la nostra fame di buone letture (e di buone pietanze), in cui si accosteranno cibi dietetici a cibi “infernali”, la cucina kasher all’invero assai meno commestibile cucina futurista, la cioccolata ai biscotti o alle merendine, la piada ai tartufi. Un banchetto insomma, o un buffet, a cui siamo tutti invitati e che, nella ricorrenza del suo centenario, ci piace immaginare idealmente imbandito per noi da Pellegrino Artusi.

I personaggi dei romanzi di Jane Austen appartengono alla nobiltà inglese benestante e agiata per cui è la loro cucina che viene narrata. Accanto al girotondo quotidiano di colazioni, tè e cene di famiglia si trova descritta una profusione di pasti e cene più formali e persino idilliaci picnic estivi. Il cibo di cui leggiamo nelle pagine di Jane Austen riflette quello ricco e pesante che consumava di solito la nobiltà terriera dell’epoca. Gli ingredienti erano quasi tutti locali e di stagione, alcuni prodotti provenivano da una tenuta vicina o da un orto attiguo. Comparivano anche alimenti più esotici come lo zucchero, il caffè, il tè, il cioccolato e le spezie, nonché i frutti tropicali, come l’ananas, che venivano importati dalle colonie britanniche in forte espansione. Spesso le portate erano ricche e stravaganti per una mera questione di status: l’ostentazione della ricchezza e la dimostrazione di avere “buon gusto” erano ritenuti importanti almeno quanto il cibo. È per analizzare questo tipo di società e per evidenziare le debolezze dei suoi personaggi che Jane Austen usava spesso il cibo nei suoi romanzi. Tuttavia, i pasti e gli ingredienti sono raramente descritti in modo sensuale: non era una persona particolarmente golosa o interessata al cibo, era piuttosto realista e descriveva i piatti in modo concreto, caricandoli a volte di significati simbolici, ironici o umoristici.

Il lavoro che c’è dietro ad una cucina è fatto di tante cose, di molto mestiere ma soprattutto di personalità. Il libro di Alessandro Morelli è una sorta di diario che raccoglie le sue esperienze in giro per il mondo: le mille avventure e difficoltà che un cuoco deve saper affrontare, i viaggi in paesi di cui non si conoscono lingua ed usanze ma si deve comunque approntare un banchetto. Il suo diario diventa così un interessante affresco sul mondo della ristorazione, sulle passioni, sulle tensioni, sugli oneri e doveri che lo animano. Il tutto impreziosito da ricette originali, italiane ed etniche.

la cucina, come parte integrante della vita e della cultura di ogni individuo e di ogni gruppo sociale, si è spesso ricavata un proprio spazio anche all’interno della grande letteratura: chi non ricorda il timballo di maccheroni del Gattopardo, o le quaglie in crosta del Pranzo di Babette, l‘omelette alle erbe di Sostiene Pereira, il Christmas pudding di Joyce, le melanzane all’amore di Márquez… Guidata dalla curiosità e dalla frequentazione quotidiana con i grandi classici della letteratura, Oretta Bongarzoni ha costruito un elenco di ricette godibile e pieno di notazioni, che prende le mosse da una convinzione profonda: «A seconda dei casi e degli autori, la presenza del cibo nei libri è una forma del tempo e dello spazio, un piacere sostitutivo o omplementare del piacere amoroso, un ricordo, un’allusione, un gesto dimostrativo; una delle tante funzioni del ritmo narrativo. Oppure: un dettaglio di vita quotidiana come tanti altri, un codice sociale, un segno (bello o brutto) del carattere dei personaggi, una dedizione, un’impazienza, una libertà, una banalità».

Menù letterari. Le ricette nei romanzi (e non solo), di Céline Girard, Franco Cesati editore

Cosa ordina per cena il Renzo di Manzoni alla locanda con Tonio e Gervaso? E l’Hemingway di “Festa mobile” dopo una giornata passata a scrivere? Qual è la ricetta segreta di Gadda per un perfetto risotto alla milanese? E quella della “celestiale frittata” di d’Annunzio? Cosa mangia il Sal Paradise di Jack Kerouac quando non macina chilometri alla scoperta del grande continente americano? “Menù letterari” è un viaggio spensierato nella letteratura alla scoperta dei piatti che fanno da sfondo e da “contorno” ai libri più famosi di sempre, con qualche incursione in testi meno noti. All’interno, stralci dei romanzi, tanti aneddoti e curiosità letterarie sugli scrittori e sulle opere; e in più le ricette che spiegano come preparare un menù letterario. Un libro che fa venire voglia di leggere e di mangiare.

Guido Nocentini sa di essere destinato a diventare un grande chef: il nonno Giovanni, cuoco fiorentino confinato alle Tremiti durante il fascismo, è ancora ricordato dagli isolani per un piatto eccezionale, le tagliatelle al sugo di ricci, una delizia che anche il nipote propone in un rinomato ristorante londinese. Coincidenza o dna? Per eseguire le ultime volontà del padre e trovare conferma ad alcune intuizioni, Guido torna a San Domino, mentre il primo lockdown sta per abbattersi sull’isola. Ad attenderlo ci sarà un passato sorprendente, di cui è parte anche Vittorio, scomparso in modo tragico il giorno delle nozze dei nonni…

La letteratura in cucina. Ricette per chi ama leggere e mangiare bene, di Giulia Ceiramo, illustrazioni di Lidia Ziruffo, Hoppipolla edizioni

Come si preparano i muffin al limone che aspettavano l’arrivo di Daisy nella dispensa del Grande Gatsby? Quali sono gli ingredienti del timballo di grano saraceno del dottor Živago? Cos’erano le madeleine prima di diventare il dolce di Proust? E il clam chowder prima di diventare la zuppa di vongole più amata di tutti i mari nelle pagine di Moby Dick? A rispondere a tutte queste domande arriva La letteratura in cucina. Ricette per chi ama leggere e mangiare bene: trenta ricette, tutte ispirate ai più grandi romanzi della letteratura classica e contemporanea. Antipasti, primi e secondi piatti, dolci e accompagnamenti; tutto quello che serve per una cena letteraria capace di incontrare proprio tutti i gusti (di palato e di lettura, s’intende).

Adesso lascio la parola a voi: avete altri suggerimenti per arricchire la lista?