La rivoluzione culturale mi ha sporcato, mi ha reso complice. A un certo punto ha perfino ucciso in me ogni senso morale. Ho criticato i miei simili, li ho disprezzati, accusati di gravi colpe, ho indagato sul loro passato, ho preso parte attivamente a un processo di distruzione collettiva. Come cancellare questa macchia? (..) A tredici anni, sono stata una «vittima innocente», selezionata secondo un processo ben al di là della mia portata: ero stata designata come Chushen Buhao, individuo di cattive origini. Poi è seguita la seconda tappa: la Rivoluzione culturale mi ha fatto passare dallo stato di vittima innocente a quello di partecipante attiva ai suoi crimini. Il mio passato non ha mai smesso di ossessionarmi. In un certo senso, sono uscita di prigione per ritrovarmi prigioniera di me stessa. (pag. 261-262)
Il pianoforte segreto, di Zhu Xiao-Mei, Bollati Boringhieri 2018, traduzione di Tania Spagnoli
La citazione che ho riportato in apertura la incontriamo verso la fine di questo toccante e lucido memoir con cui Zhu Xiao-Mei affida al mondo la sua esperienza di vita. Trenta capitoli, come trenta sono le “Variazioni Goldberg”, il capolavoro di Bach, di cui Zhu Xiao-Mei, ormai affermata pianista, è una delle più grandi interpreti viventi, nonché l’opera grazie alla quale è riuscita a rimanere in vita. Capitoli, come le Variazioni, aperti e chiusi da un’Aria.
Zhu Xiao-Mei nasce nel 1949 in una famiglia borghese di Shangai, emigrata a Pechino. Una famiglia dove la musica e la cultura sono tenute in gran conto e praticate. Una colpa grave al tempo della Rivoluzione culturale di Mao Zedong.
Ma facciamo il punto sul momento storico in cui il memoir si apre. Zhu Xiao-Mei ha dieci anni quando riesce ad entrare al Conservatorio di Pechino, dove spera di coronare il suo (e di sua madre) sogno di diventare una pianista. Ma la storia del suo paese prende una strada divergente dalle sue aspettative. La Cina, vittima delle folli politiche economiche ed agricole del Grande Timoniere, vive una tremenda carestia, conseguenza di un disastro ambientale figlio di scelte aberranti. Una carestia sotto la cui mannaia cadranno decine di milioni di persone. Il potere è sul punto di vacillare ed ecco che, per mantenere ben saldo il comando e perseguire il suo piano, Mao si rivolge direttamente alle masse, con una estesa chiamata alla responsabilità per dare corso alla Rivoluzione culturale: una spinta sostenuta dal basso, che arruola i giovani e che deve cambiare totalmente la mentalità cinese, sradicando definitivamente tutto ciò che sono state le tradizioni secolari, e la cultura, troppo compromessa con l’Occidente, lo spirito borghese basato sulla famiglia e sulla scalata sociale.
Perché la collettività avanzi, perché l’individualismo regredisca, perché lo spirito del comunismo entri bene nelle nostre testoline, ogni sabato mattina partecipiamo a una seduta di autocritica e denuncia. Il principio è semplice: i nostri pensieri non appartengono solo a noi, ma anche al Partito. Dobbiamo confessarli, anche i più intimi, e sottometterci al suo giudizio, perché solo il Partito sa cosa è bene e cosa è male, cosa è vero e cosa è falso. Per noi questo si traduce nell’obbligo di indicare chi si è comportato bene o male durante la settimana. (pag 31)
Secondo il Partito, le masse hanno bisogno di un unico libro, il Libretto Rosso di Mao, tutto il resto deve essere distrutto: libri, dischi, tutto quanto sia considerato vettore colpevole dello spirito oppressore individualista, capitalista e borghese.
Ci annunciano che Mao terrà un discorso capitale in piazza Tienammen. Davanti a centinaia di migliaia di giovani deliranti, che brandiscono il Libretto rosso, il presidente Mao riceve da un gruppo di studenti un bracciale con sopra incise le parole guardia rossa, e dà la sua benedizione al movimento. Gli allievi più estremisti del Conservatorio considerano quindi di aver preso il potere col sostegno pubblico e senza riserve di Mao. (pag 72)
Tutti coloro che provengono da origini borghesi devono rinnegarle, devono fare pubblica autocritica e rieducarsi, attraverso il lavoro nei campi, al fianco di contadini e soldati, gli unici veri “puliti”. Si instaura un clima di terrore, di delazioni, di vendette, di morte. Un lavaggio del cervello che, corroborato dai duri lavori nei campi di rieducazione, producono una massa di individui assoggettati alla propaganda e alle politiche del regime il cui unico desiderio è assimilarsi a tutti gli altri, agire secondo il motto:
Se capite, dovete applicare. Se non capite, dovete applicare comunque. È applicando che infine capirete.
Zhu Xiao-Mei racconta questa caduta all’inferno descrivendo con lucida razionalità come la rieducazione abbia completamente plagiato i suoi pensieri, come anche lei sia caduta in questa trappola. Finché qualche crepa inizia a minare il castello di convinzioni, finché il desiderio mai sopito di suonare la sua musica crea una forte spinta emotiva che la porta a tentare l’impossibile: farsi spedire da sua madre il pianoforte che era nascosto nella loro casa di Pechino, nel campo di rieducazione ai confini della Mongolia interna in cui si trova da cinque anni. Inizia da lì la sua lenta risalita, la riconquista di se stessa, a costo di correre rischi, di compromettere i genitori e gli amici. Quegli stessi amici che hanno vissuto con lei l’alienazione della rieducazione, e che come lei, ora che le cose stanno cambiando, vivono una nuova speranza. La morte di Mao, l’arresto della Banda dei Quattro, il nuovo corso: qualcosa si smuove e per Zhu Xiao-Mei arriva il momento dell’espatrio volontario. Un lungo peregrinare da Hong Kong agli Stati Uniti, alla Francia, vivendo di lavoretti, degli aiuti dei connazionali espatriati e di altri amici solidali. Ma portando sempre avanti gli studi musicali con maestri di volta in volta incontrati nel suo percorso di rinascita. Tra alti e bassi, il sogno di tornare alla musica, unica e sola ragione di vita, è il pungolo che la spinge a lottare.

Ma il percorso è lungo e travagliato, richiede un intenso lavoro interiore, una ricerca su se stessa per liberarsi dai sentimenti che ha così drammaticamente provato. Liberarsi dal senso di inadeguatezza, lei che ha perso dieci anni di scuola di musica, dal senso di insicurezza nelle proprie capacità. Un percorso difficile ma affrontato con la forza di volontà che l’ha tenuta in vita anche negli anni più bui dei campi di rieducazione, sostenuta da un amore incommensurabile per la musica. Un percorso attraverso il pensiero filosofico orientale del maestro Lao Tzu che pian piano l’ha condotta là dove aveva sempre desiderato arrivare.
Questo memoir, scritto contravvenendo all’insegnamento di suo padre a non lasciare traccia di sé sulla terra, è, nella volontà dell’autrice, anche un modo per chiedere scusa, sentendosi in colpa di non essersi opposta alla barbarie a cui il regime ha sottoposto lei e milioni di giovani. È il ritratto personale di una donna, ma anche della generazione di un intero Paese; con la sua storia, Zhu Xiao-Mei dimostra che anche se il potere ci può privare di tutto, soprattutto della cultura, della libertà e della dignità, nonostante ciò il nostro anelito interiore alla bellezza, all’arte non si spegne, e anzi diventa il salvagente che ci aiuta a sopravvivere. Come lei, così migliaia di prigionieri nei gulag staliniani, nei campi di concentramento nazisti, sono riusciti a non soccombere moralmente solo grazie all’arte che continuavano a mantenere viva nel loro animo.
La musica, l’arte, la bellezza che riescono a unire mondi così apparentemente diversi, come un musicista occidentale e la filosofia orientale. La musica che è linguaggio universale.
Le Goldberg hanno la particolarità di suscitare tutte le emozioni, tutti i sentimenti della vita umana: per questo costituiscono uno dei più grandi capolavori dell’umanità e trasmettono tanto al pubblico. In quest’opera è la vita stessa che Bach ha messo in musica, nelle sue infinite componenti. (..) E poi, naturalmente, c’è il mistero dell’Aria che apre e chiude le Goldberg. Sono rarissimi i capolavori della musica occidentale che ricorrono a un tale espediente. E di fatto nessuno è nella sua essenza così taoista. Come non pensare a quello che Lao Tzu dice del Tao, quel movimento universale e senza fine dovuto al soffio della vita: «Il ritorno è il movimento del Tao».
Un’altra lettura sulla storia cinese del XX secolo attraverso una saga intergenerazionale, che risale indietro agli anni ’40 e giunge fino al presente, e che ha a che fare con il Conservatorio di Shanghai e dove ritroviamo le Variazioni Goldberg, è il libro di Madeleine Thien, Non dite che non abbiamo niente.
questo libro mi manca e farò tesoro della tua recensione, e visto che uscire è complicato lo cercherò online, ho letto invece 3 o forse 4 anni fa “Non dite che non abbiamo niente” e mi òasciato davvero un buon sapore! grazie sempre
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Buongiorno Matilde! Si sono davvero due libri da leggere, per capire un’epoca, una nazione e la sua storia. Sono libri che lasciano il segno. Buona domenica
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sì , sopratutto si incontrano mondi differenti e vite diverse, e servono per capire per portare rispetto e per conoscere, ne sono convinta
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❤
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Un titolo che terrò di sicuro a mente vista la mia grande passione per la Cina e la sua storia. Grazie!
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Merita davvero, aiuta a capire un periodo storico cruciale per la Cina attraverso la storia di una donna, che però diviene paradigmatica. E poi è scritto con uno stile realistico ma con levità. Buona lettura!
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