Forse evitiamo di domandare quando abbiamo paura di conoscere le risposte. O forse la ragione è più semplice: non sono un investigatore e non ho l’istinto da investigatore. Sono un uomo che si è lasciato irretire da una donna capace di premere i pulsanti giusti. É così: quando si premono i pulsanti giusti possiamo perdere la testa, possiamo cadere nell’abisso, possiamo diventare complici di un crimine.

La Strada della Morte, pag. 72

Le vie dell’Eden, di Eshkol Nevo, Neri Pozza editore 2022, traduzione dall’ebraico di Raffaella Scardi, pagg. 250

Lo scrittore israeliano Eshkol Nevo torna in libreria con un libro che contiene tre racconti lunghi, o romanzi brevi, o novelle, come preferite. Un genere che l’autore padroneggia e che abbiamo assaggiato in Tre piani (qui la mia recensione), da cui Nanni Moretti ha tratto l’omonimo film presentato al Festival di Cannes. Tre piani è diviso in tre macro racconti che, a livello di trama, si sfiorano soltanto, ma che, ricollegati insieme a livello di significante, completano il puzzle-condominio, a sua volta simbolo di una comunità intera. Ne Le vie dell’Eden i racconti sono apparentemente autonomi; in realtà sono legati da un fil rouge: la catarsi attraverso l’ammissione delle proprie debolezze.

Nei tre racconti – La Strada della Morte, Storia familiare, Un uomo entra nel frutteto – incontriamo tre voci narranti, tre personaggi che si confessano, raccontando dall’inizio la loro versione di come sono andate le cose, cercando di spiegare in modo onesto e provando così a fare chiarezza, anche dentro se stessi. La scrittura segue un andamento espositivo all’interno del quale però non mancano pathos e drammaticità; anche una certa suspense, poiché si avverte quanto vicini si è arrivati al baratro, ad un passo dal non avere più una via di ritorno. Nel raccontare i fatti, i tre personaggi fanno spesso un passo indietro nel tempo, a cercare ricordi, sensazioni, abitudini che in parte sono stati compromessi dal turning point che ha deviato le loro vite. Turning point che si rivela essere un incontro fatale, cioè guidato dal fato, dal destino, o comunque si voglia chiamare quel potere misterioso ed ineluttabile a cui nessuno si può sottrarre.

Nei tre racconti incontriamo personaggi appartenenti a quello che Eshkol Nevo, proprio in Tre piani, chiamava il BorghesistanOmriAhser e Heli sono persone comuni, con una vita che oscilla tra nevrosi e manie, divorzi, tradimenti, figli, una professione. Hanno in comune anche l’amore per la musica, una sorta di sostrato profondo che parla alla zona più intima del sé e che in certi momenti emerge, assume un ruolo nella trama, come ad esempio per la sonata 13 di Chopin o per il brano Let love in de Knesiyat Hasekhel, e può creare una connessione vibrante tra le persone. E una vaga nostalgia per il passato, per ciò che ormai è alle loro spalle. E che erroneamente le persone che hanno scavallato la prima metà della vita associano ad una sorta di Eden perduto, un giardino segreto.

Nel primo racconto Omri è un musicista, divorziato, alle prese con la difficoltà della figlia di adattarsi alla separazione dei genitori. Un giorno legge sul giornale l’annuncio della morte di una persona che ha recentemente conosciuto durante un viaggio in Bolivia, si reca al funerale dell’uomo apparentemente per rendergli omaggio mentre, in realtà lo fa per rivedere Mor, la vedova, con un terribile segreto da nascondere che rischia di travolgere anche lui. 

Nel secondo racconto protagonista è il dottor Caro, un anziano e rispettato primario, accusato di molestie da una giovane specializzanda. Nel suo monologo-confessione il dottor Caro ripercorre dall’inizio come ha conosciuto la ragazza e come si sono avvicinati scoprendo affinità tra di loro. Liat, la giovane specializzanda, risveglia nel medico le sensazioni legate ad un remoto segreto del suo passato; sensazioni che lo costringono a maturare un senso di protezione nei confronti della ragazza che rischia di travalicare un confine delicato.

Nel terzo racconto troviamo una coppia che è solita passeggiare in un frutteto al sabato. Durante una di queste passeggiate, e senza alcun segno premonitore, Ofer, il marito di Heli, si allontana tra i filari lasciando alla moglie il suo telefono. Heli si ritrova a rispondere alle telefonate che si susseguono dovendo dare conto a tutti della strana sparizione del marito, scoprendo dei lati di lui e di se stessa che erano nascosti tra le pieghe di una vita apparentemente senza scossoni e che invece aveva nascosto segnali che solo a posteriori possono essere interpretati come tali. La storia – e il titolo – fanno riferimento al celebre Trattato del Talmud in cui si racconta di quattro saggi Maestri dell’ebraismo che entrano nel giardino di Dio, il Paradès, da cui solo uno uscirà incolume.

Ci sono dunque dei temi che trasversalmente ricorrono nei tre racconti: la fedeltà, il desiderio, il bisogno di proteggere chi sta accanto, ma anche l’incomunicabilità, il senso di scollamento dalla propria esistenza come è scorsa fino a quel momento, le omissioni, le mezze verità.

Nell’esporre quanto è accaduto, le voci dei tre protagonisti chiedono, anzi implorano, di essere ascoltate e credute, ed infine perdonate per le loro debolezze, per non avere capito in tempo cosa stava accadendo, per non avere saputo riconoscere i segnali, per essersi persi in un pericoloso labirinto di emozioni, in un cortocircuito di azioni e reazioni.

Lo stile apparentemente lineare della prosa di Nevo rende scorrevole la lettura, ma una attenta messa in opera di indizi, sospetti e rivelazioni, sapientemente dosati in modo da sorprendere il lettore, cattura l’attenzione e incolla il lettore attraverso l’uso dei cosiddetti cliffhanger, i colpi di scena che creano suspense e operano come dei page turner, obbligando il lettore a non staccarsi fino a giungere al finale.

Vi invito a leggere i tre incipit che ho raccolto in questa pagina. Vi ricordo che sul blog trovate anche le recensioni di altri romanzi dell’autore.

Eshkol Nevo è nato a Gerusalemme nel 1971. Dopo un’infanzia trascorsa tra Israele e gli Stati Uniti ha completato gli studi a Tel Aviv e intrapreso una carriera di pubblicitario, abbandonata in seguito per dedicarsi alla letteratura. Oggi insegna scrittura creativa in numerose istituzioni. Oltre a Nostalgia (2014), in classifica per oltre sessanta settimane e vincitore nel 2005 del premio della Book Publisher’s Association e nel 2008 a Parigi del FFI-Raymond Wallier Prize, per Neri Pozza ha pubblicato: La simmetria dei desideri (2010), Neuland (2012), Soli e perduti (2015), Tre piani (2017), L’ultima intervista (2019), Vocabolario dei desideri (2020).