Oggi ci ha lasciato Paul Auster, uno dei giganti contemporanei della letteratura mondiale; il prolifico scrittore americano autore della ‘Trilogia di New York‘, è morto per complicazioni dovute a un cancro ai polmoni: lo riporta il New York Times. Aveva 77 anni e, stando a quanto riportano i media, è deceduto nella sua amata casa di Brooklyn.

Nato in una famiglia ebrea di origine austriaca, ha compiuto gli studi alla Columbia University, completando la sua formazione letteraria con lunghi soggiorni in Francia. Protagonista della letteratura statunitense contemporanea, nonché di quella mondiale, viene ascritto al cosiddetto Postmodernismo assieme ai suoi amici e colleghi connazionali Thomas Pynchon e Don DeLillo.
La sua scrittura, diretta e incisiva, capace di scandagliare le angosce e le nevrosi dell’uomo di oggi e descrivere le solitudini delle vite contemporanee, in un mondo inesplicabile spesso dominato dal caso, fonde esistenzialismo, letteratura gialla e poliziesca, psicoanalisi, trascendentalismo e post-strutturalismo, in opere come Trilogia di New York (1987), Moon Palace (1989), La musica del caso (1990), Il libro delle illusioni (2002), Follie di Brooklyn (2005).

Paul Auster è un intellettuale la cui speculazione letteraria è spesso sfociata in impegno civile e politico e che, attraverso i suoi libri, si è spesso interrogato sul futuro del suo Paese. Rientra infatti fra i compilatori degli oltre mille lemmi che costituiscono il pamphlet, Futuro dizionario d’America (The Future Dictionary of America, McSweeney’s 2005) – teso a dare visibilità al malcontento da parte del movimento culturale e letterario statunitense rispetto alla leadership politica USA all’alba del terzo millennio. Nella lista dei partecipanti figurano, fra i molti altri, scrittori come Stephen King, Jonathan Franzen, Rick Moody, Joyce Carol Oates, Jeffrey Eugenides, tutti impegnati in un divertissement letterario che gioca con il futuro (guardando al presente e riflettendo sul passato prossimo). In particolare, nel pamphlet Paul Auster definisce Bush (cespuglio in lingua inglese) – presidente degli Stati Uniti d’America in carica al momento della pubblicazione del libro – come un Arbusto velenoso di una specie estinta.

La sua poliedrica produzione artistica – influenzata tra gli altri autori, da Franz Kafka, Samuel Beckett, Miguel de Cervantes, Kurt Vonnegut, Albert Camus – lo ha portato alla creazione anche di importanti opere cinematografiche. Auster ha firmato le sceneggiature di “Smoke” e “Blue in the face”, diretti da Wayne Wang (entrambi del 1995, il secondo in collaborazione con lo stesso Auster), di “Lulu on the bridge” (1998), interpretato da Willem Dafoe e Harvey Keitel, e “La vita interiore di Martin Frost” (2007), film rispettivamente del 1998 e del 2007 di cui ha curato anche la regia.

Nella vita privata non sono mancati dolori e tragedie. Il primogenito di Auster morì a causa di una overdose di eroina nel 2022: era stato arrestato e poi rilasciato su cauzione in attesa del processo per la tragica fine della figlia Ruby, di 10 mesi. Daniel Auster era stato arrestato il giorno di Pasqua 2022 e poi rilasciato su cauzione in attesa del processo. La piccola era stata uccisa da fentanyl e eroina. In casa, quel giorno, c’era proprio il padre, Daniel Auster, che poi verrà accusato di omicidio colposo. Disse che la figlia aveva ingerito la droga mentre lui dormiva.

Auster è stato un prolifico cantore dell’inverosimile, attraverso una produzione assai vasta, in grado di scardinare, se non sovvertire, molti dogmi di genere.
Tradotto in italiano da Einaudi, aveva esordito con le raccolte poetiche “Unhearth” (1974) e “Wall Writing” (1976), seguite da una pièce teatrale (”Laurel and Hardy go to heaven”, 1977) e “White spaces” (1980), primo testo in prosa che prelude a “L’invenzione della solitudine” (1982), originale intreccio di saggio, fiction e autobiografia incentrata sul suo rapporto con il padre, deceduto poco tempo prima. Il successo mondiale arriva nel 1987 con la “Trilogia di New York” composta da “Città di vetro” (1985), “Fantasmi” (1986) e “La stanza chiusa” (1987): sorta di parodia postmoderna del romanzo poliziesco.
E ancora “Moon palace” (1989); “La musica del caso” (1990); “Leviatano” (1992); “Mr. Vertigo” (1994); Timbuctù” (1999); “Il libro delle illusioni” (2002); “La notte dell’oracolo” (2004); “Follie di Brooklyn” (2005); “Viaggio nello scriptorium” (2007); “Uomo nel buio” (2008); “Invisibile” (2009); “Sunset Park” (2010); “Diario di inverno” (2012); “4 3 2 1” (2017); “Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane” (2021).

Auster ha pubblicato inoltre raccolte di saggi come “L’arte della fame” (1992), “Il taccuino rosso” (1993), “Ho pensato che mio padre fosse Dio. Storie dal cuore dell’America raccolte e trascritte” (2001) e i testi autobiografici “Sbarcare il lunario. Cronaca di un iniziale fallimento” 1997) e “Notizie dall’interno” (2013).

Nel 2023 lo scrittore ha pubblicato il romanzo autobiografico Baumgartner (trad. it. 2023), lucida analisi dalla terra incognita della malattia oncologica.

Tra i suoi libri ho molto apprezzato:

Tre detective-stories eccentriche e avvincenti in cui Paul Auster inventa una sua New York fantastica, un «nessun luogo» in cui ciascuno può ritrovarsi e perdersi all’infinito. Pubblicati per la prima volta tra il 1985 e il 1987, i tre romanzi Città di vetroFantasmiLa stanza chiusa, che compongono Trilogia di New York, sono diventati classici della letteratura americana contemporanea.

In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un’inchiesta misteriosa e dall’esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di uno sconosciuto detective. Ma può anche capitare che chi debba pedinare si senta a sua volta pedinato (Fantasmi); o, ancora, che ci sia qualcuno che s’immedesima a tal punto nella vita di un amico da sposarne la vedova e adottarne il figlio (La stanza chiusa). Tre detective-stories eccentriche e avvincenti in cui Paul Auster inventa una sua New York fantastica, un «nessun luogo» in cui ciascuno può ritrovarsi e perdersi all’infinito. Ed è proprio nell’invenzione di questa solitudine che i personaggi della Trilogia misurano il proprio io e scoprono il loro vero destino.

Con un matrimonio fallito e una brutta malattia alle spalle, Nathan Glass torna a Brooklyn con l’intenzione precisa di cercare un buon posto per morire. Ma il caso ha in serbo per lui ancora molti avvenimenti, incontri ed emozioni.

Quando hai vissuto a lungo come me tendi a pensare di aver ascoltato di tutto, di non poterti piú stupire di nulla. Ti viene pure voglia di vantarti della tua esperienza del mondo e poi, ogni tanto, ti ritrovi di fronte a qualcosa che ti catapulta fuori dal bozzolo di goduta superiorità, ricordandoti da capo che della vita non capisci un bel niente.

Raggiunta ormai l’età della pensione, Nathan Glass ritorna a Brooklyn, la città dov’è nato e che ha lasciato quasi sessant’anni prima. Ha un solo e preciso desiderio, quello di cercare un buon posto per morire. Ma il caso ha deciso per lui diversamente. Gli amori infelici del nipote Tom, le avventure del libraio-falsario Harry Brightman, l’apparizione improvvisa della piccola Lucy, che rifiuta di svelare dove si trova sua madre, sorella di Tom. Nathan pensava di dedicarsi a un progetto, la scrittura di un Libro della follia umana, ma le follie sono lí, appena fuori dalla porta, nel piú vivo e colorato angolo di New York. Una commedia dalla trama apparentemente spensierata. Una commedia che termina però la mattina dell’11 settembre 2001, data oltre la quale i lieto fine diventeranno di colpo piú amari e difficili.

Qualche settimana dopo l’inattesa morte del padre, Paul Auster si ritrova nella grande casa ormai deserta di un uomo che per tutta la vita aveva vissuto caparbiamente distaccato dal mondo e dagli affetti. Accostando i frammenti sparsi di un’esistenza pressoché estranea, facendo lo spoglio delle carte e degli oggetti personali di quel padre distante e sfuggente, Auster si imbatte nelle testimonianze di un lontano delitto che aveva scosso la vita della famiglia all’inizio del secolo. E attraverso un mosaico di immagini, coincidenze e associazioni, “A.” riflette su come il caso impercettibilmente governi le nostre vite, sulla natura solitaria dello scrivere e l’inevitabile distacco che lo separa dal figlio Daniel.
Un delicato ritratto di famiglia, tutto giocato sul filo della memoria, una commossa riflessione sulla difficoltà di essere figli e padri.