Vuoi sapere tutto del mio passato.

Per capire se ti puoi fidare.

Rinunciare alla vita e non morire,

questo è amore, non quello che c’è in te-e.

Ho paura torero, di Pedro Lemebel, ediz mini Marcos di Marcos y Marcos, 2009, traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi, illustrazione in copertina di Lorenzo Lanzi

Ho paura torero è l’unico romanzo di Pedro Lemebel: unico perché non ne ha scritto altri e unico perché nessun altro romanzo è come questo.

golpe pinochetLa storia è ambientata nel 1986 in Cile, sotto la spietata e sanguinosa dittatura di Pinochet che salì al potere l’11 settembre del 1973 dopo il sanguinoso colpo di stato che costò la vita all’allora presidente e che travolse il governo legittimo. Durante il golpe perse la vita in circostanze mai del tutto chiarite Salvador Allende, primo presidente marxista democraticamente eletto nel continente americano. Una volta conquistato il potere con la forza, il dittatore attuò tutte le misure atte a garantirgli un dominio incontrastato: dichiarò fuori legge i partiti politici di sinistra, chiuse il parlamento, fece arrestare tutti gli oppositori o presunti tali e istituì un corpo speciale di polizia politica che arrestò, rapì, torturò e uccise – come dimenticare i cosiddetti “voli della morte” ? -migliaia di cittadini; mise in atto anche una ancora più disumana pratica, quella di strappare i figli delle persone arrestate o quelli nati durante la prigionia per darli in adozione alle famiglie abbienti. Tutto ciò avvenne fino al 1990, tra proteste – sia nel Paese che all’estero – attentati, guerriglia urbana e repressione di massa. Pinochet morì nel suo letto, a Santiago, alla bella età di 91, probabilmente senza alcun rimorso o pentimento.

Faccio questo breve sunto per farvi capire il clima di paura che aleggiava sulla immensa città di Santiago, soprattutto nei quartieri più poveri, ma anche nelle zone centrali dove spesso si riunivano i manifestanti e le donne dei desaparecidos.

Lemebel fotoIl romanzo di Pedro Lemebel ci racconta la storia della fata dell’angolo, un maricon esuberante, romantico e sognatore, che si sente donna fin nell’ultimo centimetro della sua pelle, abile ricamatrice che confeziona tovaglie e lenzuola per le signore ricche, mogli di generali e alte personalità. Vive in una casetta fatiscente all’angolo della via, in quella che nella sua fantasia è la reggia di un’immaginaria principessa, lei, che, con lieve e pungente auto-ironia, si definisce una checca artritica, senza denti e con quattro peli in testa. La fata incontra il suo principe, Carlos, Carlito,  che poi si rivelerà essere un membro del Fronte patriottico Manuel Rodríguez, e che le chiederà di nascondere in casa sua casse misteriose, senza fare troppe domande, o di consegnare un pericoloso pacchetto. Ma lei è disposta a tutto, a rischiare la vita, anche a passare per una scema che non capisce cosa succede a casa sua, dove Carlos e gli altri studenti si riuniscono per pianificare azioni di ribellione. La fata per Carlos e i suoi è un paravento perfetto, chi mai potrebbe sospettare di lei? Lei che vive nel suo mondo di lustrini, cappelli, piume e canzoni alla radio, lei che si innamora senza rimedio, che vive per quei pochi attimi in cui riesce ad avere Carlos tutto per sé, che sogna il suo Carlos pur sapendo che non sarà mai suo e che per lui la militanza politica viene prima di ogni cosa; lei che gli dice a proposito della loro storia improbabile:

Sembra una canzone: “Siamo un sogno impossibile che cerca la notte”

mentre lui le risponde:

Hai ragione, però noi non cerchiamo la notte, ma il giorno, l’alba dopo la lunga oscurità in cui sta vivendo il nostro paese.

Lei, il cuore contratto e gli occhi rassegnati, i piedi sporchi di sabbia dell’ultimo pic nic sul mare, agli sgoccioli di una fuga che non li vedrà insieme, sa bene quale sarà l’epilogo:

Come si guarda qualcosa che non si rivedrà mai più? Come si fa a dimenticare quello che non si è mai posseduto? Così, semplicemente. (…) Ci siamo incontrati all’incrocio di due storie che hanno fatto appena in tempo a stringersi la mano nel mezzo degli eventi.

Lemebel torero citazione

La fata dell’angolo è un personaggio unico, che si affaccia tra le righe sghembe di un racconto alla Almodóvar (ricordate Agrado, in “Tutto su mia madre“?) e conquista la scena tra uno svolazzo e un pensiero profondo, tra un ancheggiare su immaginari tacchi a spillo e abiti con pailletes, e il ripiegarsi su un dolore che viene da lontano, dalle violenze subite dal padre quando era bambino; la fata inevitabile, indimenticabile, impossibile è una voce che trilla leggera anche quando mostra le sue debolezze, la sua sessualità spesso rubata, voluttuosa quanto tenera e adolescenziale sebbene sia ormai navigata.

A quest’amore trasognato, allegro come un compleanno cubano a sorpresa, effimero quanto palpitante, fa da contrappunto la cappa plumbea della paura che serpeggia tra le vie, che tiene tutti sul chi-va-là, e la funerea angoscia del dittatore, lo spietato assassino responsabile di orrendi crimini che viene da Lemebel ridicolizzato, fin da quando era un bambino solo, orrendamente attratto dalla morte:

Era lo zoo della guerra che aveva circondato gli anni della sua infanzia, i giochi con cui evocava l’immagine festosa di un massacro.

E ancora di più adesso, tutto involuto nel suo terrore di essere ucciso, grottesca vittima della logorrea della moglie che lo critica dalla mattina alla sera. I capitoli in cui Lemebel ci fa entrare nella vita di Pinochet sono una satira pungente ed esilarante: il suo è un modo per esorcizzare il terrore che ha tenuto in scacco i cileni per più di un decennio e che, nel 1986 lascia intravedere le inevitabili crepe che lo dissolveranno.

Dunque, una storia bella e vibrante, commovente e divertente. Si potrebbe allora obbiettare che di storie così ce ne sono tante, ed è certo vero. Ma quello che rende questo romanzo unico e assolutamente inimitabile è lo stile, la prosa di questo pirotecnico maneggiatore delle parole con cui fa scintille, creando fuochi che abbagliano e lasciano a bocca aperta per lo stupore. Uno stile sovversivo e sornione, gioiosamente provocante e delicato anche quando descrive scene “scabrose”. Il suo stile è poetico, le sue sinestesie travolgono il lettore e gli fanno percepire gli odori, vedere tutti i colori, le luci, del fantasmagorico palcoscenico che è la vita.

Basta leggere una pagina (196) per farsi ammaliare:

Lemebel torero citazione finaleCome le sarebbe piaciuto che tutto il suo dolore ingabbiato rotolasse fuori in almeno una lacrima d’amarezza. Sarebbe stato più semplice partire, lasciando una piccola pozza di pianto, una minuscola pozzanghera di tristezza acquosa che nessuna CNI potesse identificare. Perché le lacrime delle fate non avevano identità, colore, sapore, non irrigavano nessun giardino d’illusioni. Le lacrime di una fata orfana come lei non vedevano mai la luce, non si sarebbero mai trasformate in mondi umidi asciugati dalla carta assorbente delle pagine letterarie. Le lacrime delle fate sembravano sempre finte, lacrime interessate, pianto di pagliacci, lacrime artificiose, complemento esteriore di emozioni eccentriche.

Le conosceva bene, Pedro, le lacrime delle fate.

Copio il link all’editore: http://www.marcosymarcos.com/libri/ho-paura-torero/

L’incipit lo trovate qui.