Così scorre la vita nel paese dove tutto (tranne quello che succede agli altri) è eterno. Ma ci sono cose che appartengono alle case di questa gente più della morte. Una di queste, senza esagerare, è quasi il centro della loro vita.

La questione della puttaneria.

Quanto li appassiona, quanto infiamma i loro cuori (che si accendono per un niente), a quali febbri e deliri conduce! È la questione vitale, interessa i vecchi e i giovani, i colti e gli incolti.

Ci sono regole che nello spirito di un popolo nascono così, in modo naturale, come le foglie su una pianta. Queste regole da noi si fondano su un’unica tesi: una ragazza bella è troia, e una brutta – poverina! – non lo è.

In questo paese una ragazza deve fare molta attenzione al suo «fiore immacolato», perché «un uomo si lava con un pezzo di sapone e torna come nuovo, mentre una ragazza non la lava neanche il mare!».

L’intero mare.

Il paese dove non si muore mai, Ornela Vorpsi, Minimum fax 2018.

Minimum fax ha pubblicato questo romanzo, scritto in italiano, uscito nel 2005 dalla penna della scrittrice albanese Ornela Vorpsi; l’autrice, fuggita in Italia, padroneggia molto bene la nostra lingua e la scrittura è accattivante e matura, capace di raccontare in modo diretto, l’adolescenza trascorsa nell’Albania dell’era comunista. Scrittura che con ironia e voli poetici, riesce a portare il lettore in spazi intimi e pubblici, affrontando temi scottanti senza ipocrisia, sfociando in un romanzo di formazione che vede protagonista una bambina che diventa adolescente, in una società intrisa di preconcetti e imposizioni socio-politiche dettate dalla grande e onnipresente Madre-Partito.

Una società che, come spiega l’autrice in esergo, non conosce la parola umiltà. Un popolo il cui detto più diffuso è «Vivi che ti odio, e muori che ti piango», perché la morte sembra essere l’unica soglia al di là della quale si può meritare il rispetto. Un paese in cui, per una donna, essere bella è la più grande disgrazia che possa capitare. Lo è nella società rurale, legata all’organizzazione patriarcale, così come in quella della capitale Tirana; lo era prima della guerra, e lo è dopo che il comunismo è diventato reale. Perché la bellezza ti rende diversa dalle altre, ti rende speciale, ti espone a desideri materiali e necessità capitalistiche,  mentre invece nella società comunista tutti devono essere uguali.

Ma la bellezza non è il solo problema a complicare la vita della protagonista – e delle sue tante coetanee e amiche -; può succedere di avere un padre in galera come prigioniero politico solo per avere detto che le patate non si trovano da nessuna parte, e non vederlo per anni, fino a trovarsi di fronte un perfetto estraneo. Può succedere di essere accusata di fiancheggiare il capitalismo perché si portano a scuola vecchie cartoline italiane trovate in un baule in soffitta. Senza parlare dei campi di addestramento militare, tanto voluti dal capo della nazione, Enver Hoxha, in sella al potere dal 1941 – quando fondò il Partito comunista albanese – fino alla sua morte, avvenuta nel 1985.

Gli imperialisti americani, gli sciovinisti russi, i grandi capitalisti francesi e italiani sono pronti a sbarcare per distruggere l’esempio della parità in terra, l’esempio di una società che non ha più lotte di classe, che non conosce antagonismi nel suo seno, la società più evoluta mai conosciuta dalla coscienza umana.

Romanzo di formazione, dicevamo. Il percorso accidentato dell’adolescente Elona, o Ormira, Ina, Eva – tanti sono i nomi della protagonista – che cerca risposte ai temi della vita: l’amore, il sesso, la morte. E la sua sete di libri da leggere, che cerca di procurarsi in tutti i modi, anche vendendo i gioielli della madre. Libri che legge di nascosto perché contrari alla propaganda del partito, che impone letture fondate solo sugli eroi della rivoluzione comunista. Ricerca di “solitudine”, quando invece la società prescrive attività di gruppo.

Racconto di un vissuto ormai passato, ricreato nella memoria segnata di chi, alla fine, ha deciso di scappare e di raggiungere la “terra promessa”, l’Italia a lungo sognata e sublimata. Salvo poi rimanere delusa da una realtà diversa dal mito, dove la prima cosa che sua madre si sente chiedere appena scesa dal treno, è la sua tariffa per una prestazione sessuale. E la consapevolezza, maturata nell’esilio, di un sentimento di finitezza: la scoperta che fuori dalla propria terra, si muore. Una presa di coscienza, alimentata dalla nostalgia dell’assolata terra albanese, che nemmeno le pastiglie dell’oblio riescono a fare passare.

Il paese dove non si muore mai” è un’ottima opportunità di fissare lo sguardo su un paese a noi tanto vicino, dal quale molte persone sono fuggite per venire nel nostro, e che noi spesso giudichiamo senza sapere nulla (ne ho parlato in uno dei miei racconti della serie “I sette mari”).

L’incipit lo trovate qui.