Forse sarebbe stato più ragionevole da parte mia optare per un’altra formula espressiva – un saggio o una monografia – dove avrei potuto usare tutti quei documenti nel modo più confacente. Due cose, tuttavia, me lo impediscono: il fatto che è disdicevole citare come documento le testimonianze orali, dirette, di persone degne di fede; e poi l’incapacità di privarmi di quel piacere di narrare che allo scrittore dà l’ingannevole impressione di creare il mondo, e di conseguenza, come si suol dire, di cambiarlo. (pag 41)

Una tomba per Boris Davidovič, di Danilo Kiš, Adelphi 2005, traduzione di Ljiljana Avirović

Per me si tratta del primo contatto con questo autore considerato uno dei massimi esponenti della letteratura in lingua serbo-croata (su questo concetto della lingua ho dovuto documentarmi ben bene, perché ne avevo un’idea che risaliva ai tempi della Jugoslavia, ma le cose oggi sono un po’ diverse; del resto è bene comprenderle prima di leggere Kiš, insieme alla sua biografia).

Non è una lettura facile; richiede attenzione e spesso ho riletto il capitolo, perché si sovrappongono strati e si affollano riferimenti. Soprattutto, bisogna entrare nella lingua e nella struttura narrativa. A mio parere, è uno di quei libri che, letti senza sapere nulla dell’autore, spiazzano. È però una fatica che si ripaga largamente.

Non è una lettura facile anche perché il tema è doloroso (già a pagina quindici stavo per desistere) e come dice Brodskij: “è un libro estremamente cupo, il cui unico lieto fine è la sua pubblicazione“. Ma non fatevi scoraggiare da queste parole!

Sette storie, o novelle, che girano intorno allo stesso tema: la sopraffazione in nome dell’ideologia. Che ciò avvenga in un preciso paese, o in una precisa epoca, poco conta. La Storia ci ha duramente insegnato che imprigionare, torturare, uccidere sono prerogative che accomunano tutti i poteri forti; forti della convinzione di essere nel giusto e perciò liberi di perpetrare qualsiasi crimine pur di fare prevalere la propria verità.

Possiamo dunque pensare che si tratti di sette variazioni della stessa sconfitta; cambiano i protagonisti (con qualche ritorno), tutti vittime di un apparato ben oliato, efficiente e spietato, fondato su un assunto ideologico e deciso a metterlo in pratica ad ogni costo. Un mastodontico animale che si nutre della propria carne, continuando a rigenerarsi e a ri-annientarsi in un loop continuo.

I racconti poggiano su basi documentali, oggettive o pseudo-oggettive, i personaggi possono essere veri, o verosimili. È un’opera di finzione ma, in misura maggiore o minore, le storie narrate sono realmente accadute. Per lo più, sono ambientate nelle città e nelle campagne euroasiatiche, e ci mostrano gli effetti del totalitarismo, portato a compimento con strumenti e politiche aberranti: gulag, lager, enormi apparati di servizi di informazione, dove tutti spiano tutti, dove ognuno, anche tuo fratello o il tuo migliore amico, possono essere delatori, perché ognuno deve solo badare a salvare la propria pelle, e pochi si fanno scrupolo di salvare la propria dignità.

Sono, dicevo, sette storie in forma di biografie (la fonte è la Storia) che l’autore consegna al lettore per futura memoria di ciò che è accaduto, per trasportare il passato nel presente, ma in una sorta di atemporalità. I protagonisti  sono polacchi, russi, romeni, irlandesi, ungheresi, in maggioranza di origine ebraica. E tutti hanno avuto a che vedersela con l’ideologia. O meglio, con il suo braccio esecutore.

Vorrei accennare alla biografia di Danilo Kiš (per sintetizzare, la fonte è wikipedia):

Nacque a Subotica, in Voivodina, nel 1935, figlio di un ispettore ferroviario ungherese di religione ebraica e di Milica Kiš (Nata Dragičević) una montenegrina di Cettigne. Durante la seconda guerra mondiale egli perse suo padre e diversi altri membri della sua famiglia, che morirono in diversi campi nazisti.

Trascorse assieme alla madre e alla sorella maggiore il periodo bellico in Ungheria, concluso il quale si trasferì in Montenegro, a Cettigne, dove Kiš concluse gli studi superiori nel 1954.

Kiš studiò letteratura all’Università di Belgrado, laureandosi nel 1958 e completando per primo un corso in letterature comparate. Divenne un importante redattore della rivista Vidici, dove lavorò fino al 1960. Nel 1962 pubblicò le prime due novelle, Mansarda e Psalam 44. Kiš ricevette il prestigioso premio letterario NIN (Nedeljne informativne novine) per il suo Peščanik (“La clessidra”) nel 1973, che restituì pochi anni dopo per una disputa politica.

In seguito ricevette diversi premi nazionali ed internazionali sia per le sue opere di prosa che di poesia. Visse per gran parte della sua vita a Parigi, lavorando come lettore universitario.

Kiš fu sposato con Mirjana Miočinović dal 1962 al 1981. Dopo la separazione, visse assieme a Pascale Delpech fino alla morte nel 1989 per cancro del polmone a Parigi.

Traduttore dal francese, russo e ungherese, Kiš ha insegnato lingua e letteratura serbo-croata nelle università di Strasburgo, Bordeaux e Lilla.

Ecco, da questa base potete partire per scoprirlo in modo più approfondito. Nel catalogo Adelphi trovate le sue opere maggiori: “Giardino, cenere”, “Enciclopedia dei morti”, “Clessidra”, “Dolori precoci”, “Il liuto e le cicatrici” e il volume di cui vi ho parlato oggi.

Alla fine del volume sono presenti due illuminanti saggi di Iosif Brodskij; riporto alcuni stralci:

Questo spaccato di storia mostra anche i segni di un notevole modernismo, evidente nelle sue metamorfosi spiccatamente surreali e nella natura chiaramente antieroica dei suoi archetipi. Tenuto conto dei numeri, possiamo ben dire che non sia mai esistito un altro periodo della storia umana in cui doppiezza e paura siano state così pervasive e tangibili. (..) L’aspetto più inquietante di questo libro è l’insostenibile, e per questo paradossalmente appropriata eccellenza della prosa di Kiš, che conferisce ulteriore bellezza alle sue morenti metamorfosi. (..) Lo stile di Kiš è estremamente denso, e dunque altamente allusivo. Dal momento che egli si occupa di biografie – gli ultimi bastioni del realismo -, ciascuno dei suoi schizzi ricorda un Bildungsroman in miniatura, montato come una sequenza cinematografica completa di particolari scelti in modo accorto che alludono sia all’esperienza reale sia a quella letteraria del lettore. (..) Gli schizzi che costituiscono i capitoli di questo libro possono essere letti e apprezzati singolarmente, come brevi componimenti poetici.

Qui potete leggere l’incipit.

Danilo Kiš è un autore che merita un approfondimento; elenco qui una serie di link dove ho trovato e letto; è materiale utile alla comprensione dell’uomo e dell’opera.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Danilo-Kis-la-memoria-del-numero-2071-111100

https://www.doppiozero.com/materiali/sullarte-della-composizione-di-danilo-kis

https://www.nazioneindiana.com/tag/danilo-kis/

http://www.altrianimali.it/2017/01/13/enciclopedia-morti-kis/

Colmare il silenzio. Un dialogo con Danilo Kiš