«Non abbiamo niente da invidiare all’America. Non come alla Russia. Ma gli americani hanno il potere. E ciò che dà loro il potere è il dollaro. Questo è l’unico motivo per il quale dobbiamo opporci alla Russia. Abbiamo bisogno dei dollari americani. Tutto quello che ci può dare l’Unione Sovietica è l’esempio: l’esempio di ciò che si può raggiungere con la lealtà e la dedizione, anche senza soldi. E allora, pensi a cosa potrebbe realizzare la Germania con una simile dedizione e i soldi dell’America» (pag.320)

Un requiem tedesco, di Philip Kerr, Fazi editore 2021, traduzione di Luca Merlini, pagg.400

L’avvincente thriller storico-spionistico di Philip Kerr è l’ultimo capitolo della Trilogia berlinese, iniziata con Violette di Marzo – ambientato nella Berlino del ‘36, alla vigilia della XI olimpiade -, seguita da Il criminale pallido – sempre a Berlino nell’estate del ’38, in cui si attendono gli esiti della Conferenza di Monaco, alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Un Requiem tedesco inizia nell’inverno del ’47, ed è ambientato tra la Berlino (nei primi capitoli) sotto il dominio dei russi, mentre gli alleati cercano di mantenere un piede nella città, e soprattutto nella Vienna divenuta città sovraffollata di forze di spionaggio, controspionaggio, ex gerarchi nazisti e doppiogiochisti di ogni nazionalità.

Un requiem tedesco è un thriller che si basa su di un accuratissimo impianto storico che si colloca nel cruciale lasso di tempo in cui le due super potenze vittoriose – USA e URSS – si contrapposero duramente, senza esclusione di mezzi e senza scrupoli, sul piano militare, di spionaggio, nonché con un duro scontro ideologico, quello che avrebbe poi dato vita alla guerra fredda e alle lotte di influenza politica degli anni che seguirono. Berlino nel ’47 era un cumulo di macerie, una devastazione senza precedenti dovuta a decine di tonnellate di bombe scaricate sulla città; rovine tra le quali cercavano di sopravvivere gli abitanti superstiti, abbruttiti dalla fame, dalle privazioni, dai lutti e dalle umiliazioni inflitte dagli eserciti occupanti che controllavano le quattro zone in cui era stata suddivisa.

Per lo studioso di economia classica, Berlino rappresentava un perfetto modello del ciclo economico determinato dall’avidità e dal bisogno. (pag. 33)

Protagonista di questo nuovo capitolo è sempre Bernard Gunther, l’investigatore privato, ex commissario della Kriminalpolizei (Kripo):

Allo scoppio della guerra, ero un Kriminalkommissar alla Sezione 5 dell’RSHA, la Direzione generale per la sicurezza del Reich, classificato in automatico come tenente nelle SS. A parte il giuramento di fedeltà a Adolf Hitler, l’essere diventato un SS-Obersturmführer non mi aveva creato troppi problemi fino al giugno del 1941, quando Arthur Nebe, un tempo a capo della Polizia criminale del Reich, e da poco promosso SS-Gruppenführer, ricevette il comando di un gruppo operativo del Corpo di spedizione in Russia. (..) In tutti i miei quattro anni di servizio nella prima, Grande Guerra non avevo visto niente che avesse avuto un effetto più devastante sul mio spirito degli eventi di cui fui testimone nell’estate del 1941 (..) Così chiesi un immediato trasferimento alla Wehrmacht e al fronte. (pag.85-86)

Vivo per miracolo dopo essere fuggito da un campo di prigionia russo, Gunther incarna l’antieroe in perenne conflitto con se stesso, disposto sì a prendersi le sue responsabilità, ma fedele a certi principi, pronto a difendersi in guerra ma incapace di prendere parte agli stermini di massa di civili a cui avrebbe dovuto partecipare se fosse rimasto nel suo ruolo nelle SS. Ha una moglie a Berlino da cui è stato lontano per lungo tempo, teme anche che lei lo tradisca con un tenente americano per accaparrarsi qualche genere alimentare, ma la ama lo stesso; non è indifferente al fascino femminile ma odia i modi violenti contro le donne. Nelle sue indagini è sì alla ricerca di indizi e di prove, ma è soprattutto scoprire la verità ciò che lo spinge. Insomma, una simpatica canaglia, si potrebbe dire…

In Un requiem tedesco Bernard viene ingaggiato dall’ambiguo colonnello russo dell’MVD Poroshin, un ufficiale del controspionaggio sovietico che gli offre un incarico: si tratta di partire per Vienna, su richiesta del suo ex collega della Kripo, Emil Becker, che necessita il suo aiuto per risolvere il caso che lo vede accusato di avere ucciso un capitano americano. Becker, detenuto dalla polizia militare a stelle e strisce, rischia la pena capitale per impiccagione, e dunque è ben disposto a pagare a Gunther una cifra considerevole; Poroshin si occuperà dell’organizzazione per farlo arrivare nella capitale austriaca e metterlo in contatto con l’avvocato di Becker. Si dà però il caso che Becker, al contrario di Gunther, abbia continuato a servire nelle SS, fino a macchiarsi dei più efferati crimini di cui sappiamo essere stata capace la colonna nazista. E dunque, in un primo momento, Bernard si rifiuta di aiutarlo; salvo poi ripensarci per vari motivi, tra cui certamente l’ingente ingaggio che, visti i tempi, gli farebbe comodo, il fatto di allontanarsi per un po’ dalla moglie per riflettere sul suo tradimento, e, non ultimo, per la sua inclinazione a sobbarcarsi incarichi complicati e pericolosi.

Giunto a Vienna sotto la tutela di Poroshin, Gunther, dopo avere incontrato Becker in prigione, inizia a muovere i primi passi della sua indagine, ma ben presto si ritrova coinvolto in una fitta trama di attività spionistiche e contro-spionistiche, di sabotaggi su archivi documentali che riguardano gli ex (mica tanto..) nazisti che cercano di riciclarsi – dopo essersi finti morti, ed avere acquisito nuove identità false -, pedinato da agenti dei servizi di sicurezza americani e sovietici, con i quali, come in un gioco di ruolo, dovrà venire a patti per ottenere le informazioni necessarie a scagionare il suo amico. In questa selva inestricabile dove è arduo capire chi mente, chi sta simulando per ottenere dei vantaggi, Gunther si trova coinvolto in uno scenario che complica la sua indagine, e mette a rischio la sua stessa vita.

«Sai, l’altro giorno ho potuto dare un’occhiata a un rapporto che affermava che ben il due per mille degli austriaci operano come spie dei sovietici. Ora, ci sono più di un milione e ottocentomila persone in questa città, Gunther; il che vuol dire che, se lo Zio Sam ha altrettante spie quanto lo Zio Iosif, ci sono più di settemila spie davanti alla mia porta. Per non parlare di ciò che fanno i francesi e gli inglesi. O di quello che fa la Polizia di Stato di Vienna, cioè la polizia politica gestita dai comunisti, non la normale polizia di Vienna, benché anche quella sia formata da un branco di comunisti. E in più, solo pochi mesi fa, abbiamo avuto un intero gruppo di uomini della Polizia di Stato ungherese che si è infiltrato a Vienna per rapire o uccidere alcuni dei loro compatrioti dissidenti». (pag. 141)

Kerr ricostruisce minuziosamente i meccanismi operativi delle varie parti che cercano di ottenere il controllo delle informazioni strategiche, per assicurarsi una posizione di dominio nel dopoguerra – la ricostruzione muoverà un ingente flusso di denaro.. -, e Gunther si trova spesso a doversi affidare al proprio istinto per distinguere il bene dal male, anche laddove questo confine è estremamente labile. Gli interessi in gioco sono così alti che nessuna azione è esclusa, nessuno scrupolo si frappone al raggiungimento degli obiettivi, a costo di vite umane, anche le più innocenti.

La ricerca dei nazisti e l’impiego di personale dello spionaggio tedesco non sono attività del tutto separate. Da molto tempo gli Stati Uniti reclutano vecchi membri dell’Abwehr per spiare i sovietici. È stata creata un’organizzazione indipendente a Pullach, comandata da un ufficiale superiore tedesco, per raccogliere informazioni a beneficio del CIC. (pag.223)

Basato su una ricostruzione storica fedele e documentata, questo thriller assurge ad opera letteraria, permettendo ai suoi lettori di godere di una trama avvincente e coinvolgente, imparando molto su quel preciso momento storico e sulle atmosfere che caratterizzavano le due città coinvolte, Berlino e Vienna, e sulle lotte di supremazia tra le varie organizzazioni di intelligence, pronte perfino ad usufruire dei servigi degli ex capi nazisti pur di controllare la controparte. L’autore, per bocca del suo protagonista, descrive con disincantata verve la Vienna post bellica, meno distrutta di Berlino, ma altrettanto ancorata ai (ne)fasti di conquistatori senza scrupoli, prima della disfatta finale. Così come riesce ad indagare il senso di colpa collettivo, e la bruciante umiliazione di un popolo, quello tedesco, uscito malridotto, materialmente e moralmente, da un conflitto di cui continuerà a pagare il prezzo fino quasi alla fine del secolo.

una nazione non può provare un senso di colpa collettivo: ognuno deve affrontarlo personalmente. E solo allora acquisii la consapevolezza della natura della mia colpa individuale – forse non molto dissimile da quella di tanti altri– che consisteva nel non aver detto niente, nel non aver sollevato la mano contro il nazismo. E mi resi anche conto di nutrire un rancore personale verso Heinrich Müller perché, in quanto capo della Gestapo, aveva, più di ogni altro, contribuito a far raggiungere un alto grado di corruzione alla polizia della quale un tempo ero stato orgogliosamente membro. Da ciò era scaturito il terrore universale. (pag. 259)

Con questo capitolo si conclude quindi la “Trilogia berlinese”, grande classico del romanzo poliziesco hard boiled, di qualità letteraria; i tre volumi uscirono per i tipi di Passigli negli anni Novanta, e tornano ora in libreria grazie a Fazi, che rimette in circolo un’opera assolutamente imperdibile, sia per gli amanti del genere, sia per gli appassionati di storia del Secolo breve. Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Philip Kerr, nato a Edinburgo, ha studiato legge all’università di Birmingham, dove ha ottenuto un master degree nel 1980, e negli anni ottanta ha lavorato come copywriter in diverse agenzie pubblicitarie, fra cui la Saatchi & Saatchi, prima di esordire nella narrativa nel 1989 con Violette di marzo (March Violets), che ha dato inizio ad una serie di thriller storici ambientati nella Germania nazista. Ha scritto numerosi romanzi, i più famosi dei quali compongono la serie noir in cui compare il detective Bernie Gunther, indimenticabile protagonista de La notte di Praga. Autore bestseller in Gran Bretagna e in Francia, Philip Kerr è stato amatissimo tanto dal pubblico quanto dalla critica, che gli ha tributato numerosi riconoscimenti, tra cui l’Ellis Peters Historical Award. Muore nel 2018 a seguito di un tumore.