Quando pensiamo al Canada, le prime cose che ci vengono in mente sono le grandi foreste innevate, i laghi, la fauna selvaggia e poi, ma solo dopo, le sue grandi città. Il Canada, nella sua storia moderna, ha posto un’attenzione particolare all’ecologia; i suoi abitanti sono molto attenti al rispetto della natura e non è un caso che, ad esempio, Greenpeace sia stata fondata a Vancouver nel 1971.
L’attuale identità del Canada nasce dall’incontro fra popoli nativi e quelli provenienti da due paesi europei, la Francia ed il Regno Unito. A queste culture se ne sono aggiunte molte altre, legate alle successive ondate di immigrati provenienti da tutte le parti del mondo in cerca di una vita migliore.
La letteratura di questo grande paese riflette largamente la prospettiva canadese della natura, delle vita di frontiera e della posizione del Canada nel mondo. La diversità etnica e culturale del Canada è riflessa nella letteratura attraverso i suoi scrittori più letti.
Il concetto di frontiera è sviluppato in quelle opere del passato che descrivono la marcia dei pionieri dalla costa est verso ovest, o quelle che trattano il tema della frontiera del nord, verso l’Artico.
Molti autori canadesi, nelle loro opere, analizzano gli effetti del clima e della geografia sulla vita delle persone.
Per quanto riguarda la letteratura franco-canadese si possono menzionare François-Xavier Garneau (1809-1866) e il poeta Louis Fréchette (1833-1908) influenzati sia da Victor Hugo che dal Simbolismo. I letterati franco-canadesi ricercarono sia una tradizione popolare originale sia temi locali da immortalare.
La letteratura anglo-canadese sviluppò le prime opere attorno ai viaggi degli esploratori e sulla vita dei coloni; la poesia evidenziò ottimi risultati nelle opere di Isabella Valency Crawford (1850-1887) e di William Henry Drummond (1854-1907), mentre nella narrativa si misero in evidenza James de Mille (1833-1889) e Frederick Philippe Grove (1872-1948).
Il Canada è un paese in cui si legge molto. Le oltre 22.000 biblioteche pubbliche lo testimoniano. Tempo fa ho parlato della Calgary New Central Library.
Se ne volete conoscere la storia, vi segnalo questo volume:

Storia del Canada. Dal primo contatto tra europei e indiani alle nuove influenze nel panorama politico mondiale. Di Luigi Bruti Liberati e Luca Codignola, Bompiani 2018
Quella del Canada è una storia da principio fatta di indiani e di Inuit, poi di francesi, poi di britannici, poi di immigrati provenienti da ogni parte del mondo, tutti ugualmente “canadesi”, diversi tanto dai loro antenati asiatici o europei quanto dai loro vicini statunitensi. Il caso canadese viene perciò continuamente comparato con le madrepatrie europee e con quello, spesso opposto, degli Stati Uniti. Fino alla Conquista britannica del 1760 il Paese fu infatti una piccola appendice dell’Europa, e tra il 1760 e il 1867 un insieme di province diverse con storie diverse e il cui destino di unificazione era soltanto una delle soluzioni possibili. Ma fu solamente dopo la nascita della Confederazione del 1867 che l’identità canadese diventò sempre più chiara. In una nuova edizione riveduta e aggiornata, gli autori ci guidano attraverso i secoli nell’unicità e nella diversità dell’esperienza di questo immenso Paese fino all’attuale contesto multietnico, caratterizzato da politiche di accoglienza e ambientali, ma anche economiche e culturali, che si presentano quali alternative all’attuale modello statunitense proposto da Donald Trump.
Molti sono le scrittrici e gli scrittori noti in tutto il mondo, come Margaret Atwood, Alice Munro, Carol Schields, Miriam Toews, Michael Ondaajte, Pierre Burton, Robertson Davies, Yann Martel, Antonine Maillet, Gabrielle Roy , Naim Kattan, Hubert Aquin, William Gibson, Mordecai Richler, John Hemming, Frances Greenslade e altri ancora.
Di seguito, vi propongo alcuni di loro: questi autori hanno scritto molti rimarchevoli romanzi, quindi ho deciso di proporne soltanto uno per autore. Lascio a voi la parola per segnalare invece quello che più vi è piaciuto.
Margaret Eleanor Atwood è poetessa, scrittrice e ambientalista. Prolifica critica letteraria, femminista e attivista, è stata vincitrice del premio Arthur C. Clarke e del Premio Principe delle Asturie per la letteratura, e soprattutto due volte del prestigioso Booker Prize (finalista per cinque volte, vincitrice con L’assassino cieco nel 2000 e con I testamenti nel 2019); è stata inoltre sette volte finalista del Governor General’s Award (Premio del Governatore Generale, un riconoscimento offerto dal Primo Ministro del Canada) vincendolo per due volte (con The Circle Game e Il racconto dell’ancella).
La Atwood è una delle scrittrici viventi di narrativa e di fantascienza (o narrativa speculativa) più premiate. È conosciuta particolarmente per i suoi romanzi e le sue poesie, ma è anche nota per la sua notevole attività a favore del femminismo. Molte delle sue poesie sono ispirate a miti e fiabe, che costituiscono uno dei suoi particolari interessi fin dalla più tenera età.
Le sue opere testimoniano una continua e profonda preoccupazione per la civiltà occidentale e per la politica, da lei considerate a un crescente stadio di degrado. La narrativa di Margaret Atwood si presenta in una veste tormentata e visionaria, non priva però di spiragli ottimistici. La vasta cultura e l’ironia sono due componenti fondamentali della sua opera, accompagnate quali sono da sensibili cambiamenti di stile da opera ad opera e continui rimandi sia ad episodi della vita contemporanea, sia a scrittori di epoche precedenti.
Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica. Quello che l’ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.
In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione.
La maggior parte dei racconti di Alice Munro è ambientata nella sua regione natale, il Southwestern Ontario, e indaga le relazioni umane attraverso la lente della vita quotidiana, con uno stile solo ingannevolmente semplice. La sua scrittura è stata definita rivoluzionaria per come ristruttura completamente l’architettura del racconto breve, in particolare per il suo trattamento del tempo del racconto, la cui narrazione si sposta continuamente dal passato al futuro.
L’opera di Munro è stata insignita di numerosi riconoscimenti letterari, incluso il Premio Nobel per la Letteratura nel 2013 per il suo ruolo di “maestra del racconto breve contemporaneo”, e il Man Booker International Prize nel 2009 quale premio alla carriera. È stata anche vincitrice per tre volte dell’importante premio canadese Governor’s General Award, del Marian Engel Award conferitole dalla Writers’ Trust of Canada nel 1996, e del Rogers Writers’ Trust Fiction Prize del 2004, per la raccolta di racconti In Fuga.
Una serie di racconti brevi, collocati in quell’indefinito territorio che per alcuni altro non è che il “Paese di Alice Munro”. La maggior parte delle storie si svolgono in piccole città della regione dell’Ontario; protagoniste sono per lo più donne: di tutte le età, anelanti passioni e bramose di libertà. Ma l’autrice racconta anche le ansie dell’adolescenza, i difficili rapporti fra genitori e figli, i diversi aspetti dell’amore, della malattia e della morte. Racconti che in poche pagine condensano un’intera vita. Una scrittrice che costruisce, utilizzando una prosa diretta e fintamente semplice, strutture narrative di grande profondità e complessità.
Carol Shields. Nata nel 1935 negli Stati Uniti (il cognome da ragazza era Warner), è vissuta a lungo negli USA e poi in Canada dove è anche morta nel 2003, ed è considerata, insieme a Margaret Atwood e Alice Munro, tra le più significative rappresentanti della moderna narrativa canadese, malgrado sia diventata ufficilamente cittadina canadese solo nel 1971.
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali tra cui, nel 1995, il Pulitzer per la letteratura per Diari di pietra (Voland 2009), già finalista al Booker Prize e vincitore del Governor General’s Literary Award, il più prestigioso premio letterario canadese.
Tra gli altri titoli pubblicati in Italia: In cerca di Daisy (Rizzoli 1994), A meno che (Ponte alle Grazie 2003), La festa di Larry (Ponte alle Grazie 2004), L’amore è una repubblica (Voland 2011).
Un’esistenza apparentemente insignificante quella di Daisy Goodwill, nata nel 1905 in una piccola località del Manitoba, in Canada. Ma chi è davvero Daisy? A un tempo forte e fragile, disillusa e realizzata, sembra attraversare la vita con distacco, quasi non fosse la sua. Il mistero che la avvolge induce il lettore a spiarne di nascosto gli umori attraverso la corrispondenza con le amiche, la testimonianza dei figli, i diari, le azioni di tutti i giorni… Una complessa figura di donna e insieme un’ironica, tenera saga di sentimenti.
Miriam Toews è nata nel 1964 a Steinbach – vicino a Winnipeg – nella provincia di Manitoba, in una famiglia mennonita. Il padre era un discendente dei primi coloni giunti dall’Ucraina a seguito delle persecuzioni perpetrate dopo la Rivoluzione d’Ottobre; i mennoniti seguono un culto che rientra nella dottrina anabattista. La comunità in cui Toews è nata e cresciuta fino all’età di diciotto anni ha una struttura fortemente patriarcale, invasiva nelle scelte personali e dove il ruolo della donna si riduce alla procreazione. Un ambiente claustrofobico a cui diventa necessità ribellarsi per ottenere la propria autonomia: è questo lo sfondo dei suoi romanzi.
Ha vinto prestigiosi premi letterari tra cui il Governor General’s Literary Award per il libro Un complicato atto d’amore (A Complicated Kindness) e il Rogers Writers’ Trust Fiction Prize per In fuga con la zia (The Flying Troutmans) e I miei piccoli dispiaceri (All My Puny Sorrows). In Italia, I miei piccoli dispiaceri ha vinto il premio per la narrativa straniera del Premio Sinbad degli editori indipendenti. Ha inoltre avuto un ruolo di attrice protagonista nel film Luz Silenciosa, diretto da Carlos Reygadas, esperienza che ha ispirato il suo quinto romanzo, Mi chiamo Irma Voth (Irma Voth). In Italia sono anche stati pubblicati Donne che parlano, Un tipo a posto, La mia estate fortunata. Li trovate tutti nel catalogo di Marcos y Marcos. I link rimandano alle mie recensioni. Avendoli letti tutti, posso dire che apprezzo molto questa autrice, che riflette molto della sua vita nei romanzi che scrive. Mi piace perché riesce a fondere profondità e leggerezza, toccando temi delicati con sottile ironia.

Il romanzo si sviluppa su questa lotta tra le sorelle, passando attraverso i ricordi della loro infanzia e via via, delle loro vite; i loro gesti di ribellione che scandalizzavano la comunità mennonita, i rapporti col padre e la madre, le scelte di vita. La voce narrante è Yoli, e attraverso di lei il lettore conosce tutti gli altri personaggi. Il suo travaglio interiore la fa viaggiare indietro nel tempo a cercare nel passato le radici della sofferenza di Elf: la sua vita apparentemente perfetta incrinata da un malessere a cui sembra non esserci rimedio. Ci sono momenti tristi, altri quasi comici, soprattutto laddove le eccentricità della madre fanno capolino e regalano sincere risate.
Ci sono tantissimi riferimenti letterari, compreso il titolo (che naturalmente non svelo), sparsi come le tessere di un puzzle che man mano che il romanzo procede, compongono un chiaro disegno, rispondendo a molte domande e generando altrettanti quesiti, perché niente è più effimero di una certezza illusoria.
Michael Ondaatje è scrittore e regista singalese naturalizzato canadese, noto soprattutto per il romanzo Il paziente inglese, vincitore nel 1992 del Booker Prize, da cui è stato tratto l’omonimo film vincitore di 9 Premi Oscar. È autore di romanzi e diverse raccolte poetiche. Vive a Toronto e insegna alla New York University. Tra le sue opere Garzanti ha attualmente in catalogo i romanzi Nella pelle del leone (1990), Il paziente inglese (1992), Buddy Bolden’s Blues (1995), dedicato a un trombettista jazz della New Orleans d’inizio secolo, Aria di famiglia (1997), la storia dei suoi genitori e della loro vita nella magica Ceylon coloniale, Lo spettro di Anil (2000), L’ora prima dell’alba (2012), Luci di guerra (2019). Ma Ondaatje è anche autore di diverse raccolte poetiche tra cui Manoscritto, pubblicata da Garzanti nel 1999.

Sul finire del secondo conflitto mondiale, tre uomini e una donna si rifugiano in una villa sulle colline di Firenze. Al piano superiore giace, gravemente ustionato in un incidente d’aereo e accudito dall’infermiera Hana, il misterioso «paziente inglese». Dai suoi racconti, allucinati dalla morfina, riemergono l’amore travolgente per Katharine e le avventurose peregrinazioni nel deserto. Intorno alla sua convalescenza s’intrecciano le vicende degli altri abitatori della villa: Hanam Caravaggio, un ladro che lavora per i servizi segreti, e Kip, un sikh, abile artificiere. La memoria, i miti e le leggende dei quattro protagonisti, lacerati e turbati dall’esperienza della guerra, ripercorrono la storia di un’epoca, e ci permettono di giudicarla. Ma «Il paziente inglese» è soprattutto una grande storia d’amore, un sogno emozionante, animato da una trascinante tensione lirica, ambientato in un fragile Eden, troppo vicino all’Apocalisse.
Yann Martel. La sua opera più conosciuta è Vita di Pi, libro che gli è valso il prestigioso Booker Prize per la narrativa nel 2002 e da cui è stato tratto il famoso film. Nasce a Salamanca, in Spagna, da genitori franco-canadesi.
Dopo aver studiato filosofia all’università Trent a Peterborough, Ontario all’età di ventisette anni cominciò la sua carriera di scrittore. Ha viaggiato molto in tutto il mondo, trascorrendo del tempo in Iran, Turchia e India. Vivere dentro o visitare molte culture ha influenzato il suo modo di scrivere, fornendo la ricca miscellanea culturale che fa da sfondo alle sue opere. Per scrivere Vita di Pi, Martel trascorse sei mesi in India visitando moschee, templi, chiese e zoo, oltre ad un intero anno passato a leggere testi religiosi. Dopo questa ricerca, la vera e propria stesura del libro richiese altri due anni.

Il naufragio di Piscine Molitor Patel, un ragazzo indiano chiamato da tutti Pi, e quattro insoliti compagni di viaggio – una zebra ferita, un orango, una iena e una tigre – si trasforma in un’avventura sospesa tra realtà e magia. La sfida del protagonista sarà la sopravvivenza nonostante la sete, la fame, gli squali e la furia del mare. Un libro unico, un po’ romanzo d’avventura e un po’ favola surreale dall’inattesa anima nera.
Gabrielle Roy è una scrittrice canadese di lingua francese (Saint-Boniface 1909 – Québec 1983). Si dedicò al giornalismo e soggiornò più volte in Europa. Esordì con il romanzo Bonheur d’occasion (2 voll., 1945), sulla vita di un quartiere francofono di Montreal, ambientazione che riprese in Alexandre Chénevert, caissier (1954). Dedicati al natio Manitoba sono invece La petite poule d’eau (1950), La montagne secrète (1961), La route d’Altamont (1966) e Un jardin au bout du monde et autres nouvelles (1975), mentre i racconti di La rivière sans repos (1970) sono ambientati tra gli Eschimesi. Ha scritto anche libri autobiografici: Rue Deschambault (1955; trad. it. La strada di casa mia, 1957); Ces enfants de ma vie (1977), ispirato alle sue esperienze di insegnante; La détresse et l’enchantement (post., 1984).
I suoi libri tradotti in italiano non sono facili da trovare. Per la verità, ho trovato solo un libro – ma non è nemmeno detto che esista… perché nel catalogo dell’editore non c’è traccia…- Il viaggio di Eveline, edito da Sinnos nel 2004. Si trovano, invece, in inglese e ovviamente in francese.
William Gibson (Conway, 1948) è uno scrittore statunitense di fantascienza. All’età di diciannove anni si trasferì in Canada per evitare l’arruolamento per il Vietnam. Nel 1977 si laureò in letteratura inglese a Vancouver, dopodiché partì per l’Europa, dove visse viaggiando per un anno. Rientrò a Vancouver, città nella quale vive ancor oggi, per permettere alla moglie di completare gli studi universitari.
Nel primo romanzo, Neuromante (Neuromancer, 1984), che ha inaugurato il genere cyberpunk, l’esistenza umana del prossimo futuro appare drammaticamente plasmata dalla rivoluzione informatica. Altre opere: La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome, 1986), Monna Lisa cyberpunk (Mona Lisa overdrive, 1988), Luce virtuale (Virtual light, 1993), Aidoru (1996), Guerreros (Spook Counry, 2007), Zero history (2012), Inverso (2017). È pubblicato in Italia da Mondadori e Fanucci. Gibson, inoltre, è autore di sceneggiature televisive.
2035, o giù di lì. Un mondo popolato da avventurieri e lottatrici, prostitute e mercenari, schiavi della società di massa e delle droghe; soprattutto, un mondo dominato dalla tecnocrazia e dalla corruzione. È l’universo narrativo immaginato da William Gibson nella sua Trilogia dello Sprawl . In questo futuro non così lontano dal nostro presente, gli unici a opporsi allo strapotere delle multinazionali e della Yakuza sono i “cowboy della tastiera”, anarchici e solitari, geni ribelli dell’informatica che passano la loro esistenza nella realtà virtuale del cyberspazio, intenti a carpire i segreti della matrice.
Mordecai Richler. Nato in una famiglia ebrea ortodossa, ha seguito le orme degli scrittori espatriati in Europa, prima in Francia e Spagna e poi in Inghilterra (esperienza che si ritrova nel suo primo romanzo Gli Acrobati, The Acrobats, 1954, e in Scegli il tuo nemico, A Choice of Enemies, 1957).
I suoi personaggi, tratteggiati con irriverente ironia, sono ebrei in costante confronto con la propria identità morale (L’apprendistato di Duddy Kravitz, The Apprenticeship of Duddy Kravitz, 1959), nazionale (Giosuè allora e ora, Joshua Then and Now, 1980; Solomon Gursky è stato qui, Solomon Gursky was here, 1989), religiosa (La versione di Barney, Barney’s version, 1997).
Richler è anche autore di due scritti autobiografici Quest’anno a Gerusalemme (This year in Jerusalem, 1994) e Il mio biliardo (On snooker, 2001), saggi, sceneggiature e libri per bambini (Jacob Due-Due contro Zanna Incappucciata, Jacob Two-Two and the Hooded Fang, 1975).
In Italia i suoi libri sono stati pubblicati esclusivamente dalla casa editrice Adelphi.
Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky – un ricco ebreo canadese figlio di un poliziotto – impugna la penna per difendersi dall’accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in “sitcom” decisamente popolari e altrettanto redditizie.
Il romanzo è strutturato in tre parti, una per ciascuna delle tre mogli di Barney: la prima, la pittrice Clara Charnofsky, morta suicida a Parigi; la ciarliera “seconda signora Panofsky”, una ricca ereditiera che Barney sposa senza troppa convinzione e dalla quale divorzia presto; Miriam, il vero grande amore di Barney, dalla quale avrà tre figli (Michael, Saul, Kate), con i quali Barney ha un rapporto conflittuale. In realtà, a causa delle continue digressioni, episodi concernenti tutte e tre le donne sono presenti in ciascuna delle tre parti del romanzo.
Le memorie di Barney vengono poi pubblicate postume, con l’inserimento di pignole note a piè di pagina, a correzione delle sviste di Barney, dal figlio Michael, che è inoltre autore del poscritto dell’opera, in cui si spiegano i motivi dei vuoti di memoria di Barney (che è infatti affetto dalla malattia di Alzheimer) e nelle quali viene infine chiarito il mistero sulla morte di Boogie.
Dal libro è stato tratto un film nel 2010 diretto da Richard J. Lewis, interpretato da Paul Giamatti e da Dustin Hoffman. Il film è stato nominato per il Leone d’oro alla 67ª Mostra del cinema di Venezia.
A proposito di autori arrivati in Canada da altri paesi, è interessante leggere questo autore che proviene dal subcontinente indiano.
Rohinton Mistry, nato a Bombay nel 1952, è immigrato in Canada nel 1975, dove ha lavorato alla Banca di Toronto. Ha iniziato a scrivere racconti nel 1983, mentre frequentava l’Università di Toronto. Ha vinto due premi di letteratura Hart House, e nel 1985 ha vinto il Contributor’s Prize del “Canadian Fiction Magazine”. Firozsha Baag, il suo primo libro, è un’antologia di racconti che lo ha reso noto a livello internazionale ed è stata pubblicata in numerosi paesi. Firozsha Baag (Tales from Firozsha Baag, 1987), cui ha fatto seguito il romanzo Un lungo viaggio (Such a long journey, 1991), sono entrambi ambientati nel caotico viavai di un condominio, teatro di esistenze raccontate con amarezza e ironia, ciascuna a suo modo in lotta contro il senso di precarietà. Le vicende di quattro intoccabili in una società dominata da corruzione, violenza e fanatismo religioso sono al centro di Un equilibrio perfetto (A fine bilance, 1996). Questioni di famiglia (Family matters, 2002) si fa portavoce della cosiddetta narrativa «indo-nostalgica», che indaga luci e ombre della società indiana. È stato finalista del Booker Prize con tre dei suoi romanzi, Un lungo viaggio, Un perfetto equilibrio e Questioni di famiglia.
Bombay, 1971: l’India è in guerra con il Pakistan. Gustad Noble, ligio impiegato di banca tutto dedito alla famiglia, è la sola voce ragionevole nella comunità in cui vive e il suo forte senso morale spicca tra i mille drammi di cui sono protagonisti i suoi litigiosi vicini. Pian piano, però, vede la sua modesta vita sgretolarsi. La figlia più piccola si ammala e non guarisce, un figlio amoreggia con la figlia di un vicino con cui il protagonista si scontra ferocemente per banali questioni, il maggiore si ribella alle ambizioni che il padre coltiva per lui e se ne va di casa. Ma un giorno Gustad riceve una lettera da un vecchio amico che gli chiede di aiutarlo in quella che all’inizio sembra una missione eroica.
Frances Greenslade è una scrittrice canadese nata nel 1961 a St. Catharines, Ontario, dove è cresciuta con quattro sorelle e un fratello giocando tra i frutteti della penisola del Niagara. La famiglia si trasferì a Winnipeg, Manitoba, quando lei aveva dieci anni. Greenslade ha conseguito una laurea in inglese presso l’Università di Winnipeg prima di trasferirsi a Vancouver, British Columbia, dove ha completato il suo MFA in Scrittura Creativa presso l’Università della British Columbia nel 1992. Nel 2005 Frances e la sua famiglia si sono trasferite a Penticton, nell’Okanagan meridionale , dove fiorì il suo amore per il paesaggio della British Columbia e fu fonte di ispirazione per scrivere Shelter, il suo primo romanzo. Greenslade ora vive a Penticton, British Columbia, dove insegna Letteratura inglese all’Okanagan College.
Del suo bellissimo romanzo “Il nostro riparo” vi ho recentemente parlato nella mia recensione.
Passiamo ora a una saggista e giornalista, Naomi Klein.
Questo libro svela le verità che non conosciamo e mostra le conseguenze di quelle che non vogliamo vedere, portandoci sui fronti dei disastri naturali contemporanei, dalla Grande barriera corallina ai cieli anneriti dal fumo nel Pacifico nordoccidentale, fino ai danni provocati in Porto Rico dall’uragano Maria. Quelli di Naomi Klein sono interventi tragicamente premonitori, perché ci mettono in guardia sui disastri ecologici che ci aspettano se perdiamo l’ultima occasione per agire e cambiare la direzione del nostro futuro. Per combattere la crisi climatica dobbiamo essere capaci di rinunciare alla cultura consumistica, schiacciata sull’ipocrisia di un eterno presente, e anche alla costruzione dei muri che dividono i popoli e alimentano le disuguaglianze. Dobbiamo lasciarci alle spalle l’illusione di poter dimenticare i danni che la nostra civiltà procura al pianeta. Questa catastrofe globale non è solo un problema politico: ha a che fare con la nostra immaginazione e con il coraggio di affrontare la sfida di un cambiamento radicale nel nostro stile di vita. Per superare la crisi del clima, dobbiamo cambiare il sistema che l’ha prodotta.
Nata a Montréal in una famiglia di origini ebraiche, i genitori di Naomi Klein erano hippy americani emigrati in Canada per evitare la chiamata alle armi durante la guerra del Vietnam. È autrice del famoso saggio No logo, che tratta delle pratiche aziendali delle multinazionali nei paesi in via di sviluppo, è considerato il manifesto del movimento no-global ed è stato tradotto in 28 lingue, divenendo rapidamente un bestseller internazionale. Nel libro Klein ha criticato così duramente Nike, che l’azienda ha pubblicato un documento per rispondere punto per punto alle accuse.
Come giornalista ha ricevuto numerosi premi e ha una rubrica su The Guardian e su The Nation; ha anche pubblicato su testate prestigiose come The New York Times e The Village Voice. In Italia ha collaborato con L’Espresso, Internazionale e Il manifesto. Negli ultimi anni ha lavorato alla stesura del saggio Shock economy, commentandolo con articoli ed interviste per CNN, BBC, Rai, Los Angeles Times e The Washington Post. Nel 2004, inoltre, ha diretto il film-documentario The Take assieme al giornalista canadese Avi Lewis. Il 16 settembre 2014 ha pubblicato il libro Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile, che analizza la situazione dei cambiamenti climatici in relazione al capitalismo selvaggio. Nel 2014, il libro ha vinto il premio Hilary Weston Writers’ Trust nella sezione saggistica e nel 2015 era tra i finalisti del premio Shaughnessy Cohen nella sezione saggi politici.
Una storia fuori dall’ordinario e un’ambientazione selvaggia, sono i principali ingredienti di questo romanzo:

Raramente capita di imbattersi in un libro così bello: scritto con grande sapienza, poesia e originalità, mette in scena una storia senza confini, né di età, né di latitudine, una storia che afferma con forza che si può avere la forza di scegliersi la propria vita fino alla fine, “no matter who, no matter how”, scegliendo anche quando e come dire basta, che se si ama la libertà si è disposti a difenderla con le unghie e con i denti, e che l’amore arriva in modi misteriosi e per vie che nessuno può prevedere. Qui trovate la mia recensione completa.
Vi consiglio di leggere i romanzi di Richard Wagamese (1955-2017): è stato uno scrittore e giornalista canadese originario della tribù Ojibway. Il suo romanzo d’esordio, “Keeper ‘n Me”, pubblicato nel 1994, ha vinto l’Alberta Writers Guild’s Best Novel Award. I suoi articoli e scritti letterari gli sono valsi numerosi premi. Nelle sue opere, che hanno ispirato scrittori di tutte le etnie, affronta i problemi socioeconomici contemporanei e passati delle comunità indigene in Canada, oltre ai temi dell’identità e della cultura dei nativi e della riconciliazione.

Qui potete leggere la mia recensione
Quando il sedicenne Franklin Starlight giunge al capezzale di suo padre Eldon, trova un uomo segnato dall’alcolismo. Sentendo che la sua fine è vicina, Eldon ha chiamato il figlio – che non vede da anni – perché lo aiuti a esaudire un ultimo desiderio, quello di essere sepolto come un guerriero Ojibwe. Franklin all’inizio esita, perché quell’uomo che ha davanti per lui è uno sconosciuto, ma poi decide di assecondarlo e così padre e figlio iniziano un difficile viaggio attraverso le bellissime e selvagge foreste del Canada per giungere al luogo adatto alla sepoltura. Avanzano a piedi e a cavallo e mentre si avvicinano alla meta ripercorrono le loro difficili vite e riscoprono la comune eredità delle origini indiane. Durante questo percorso iniziatico Eldon svelerà a Franklin un mondo che non aveva mai visto e una storia che nessuno gli aveva mai raccontato. Le stelle si spengono all’alba è un romanzo appassionante con un finale commovente, che ci racconta del coraggio di un ragazzo che ritrova suo padre e di una cultura, quella degli autoctoni del Nord America, che vede nella natura una forza in grado di curarci.

Una storia sulle difficoltà di accettazione e integrazione, raccontata dalla voce semplice e sincera di un ragazzo.
Le nostre leggende raccontano di quando siamo usciti dal ventre della Madre Terra. Aki è il nome che le abbiamo dato. Siamo venuti fuori da lei già formati, con il martellare del suo cuore nella testa, pronti a diventare suoi assistenti e protettori. Quando sono nato il nostro popolo parlava ancora così. Eravamo ancora sotto l’influenza delle leggende. È stata la mia generazione a varcare il confine, e ancora ci struggiamo per un ritorno che non avverrà.
Saul Cavallo Indiano è il nome di un bambino originario delle First Nations canadesi. È ancora piccolo quando la sua famiglia decide di ritirarsi a vivere nei boschi, nel tentativo di rinsaldare i sempre più labili legami con le tradizioni e di nascondersi dalle forze dell’ordine che rapiscono i giovani Ojibway per educarli e “civilizzarli”. Con l’arrivo dell’inverno Saul perde tutto: il fratello, i genitori, l’amata nonna e la casa. Solo al mondo, prigioniero di un collegio spaventoso, Saul si trova circondato dalla crudeltà e trova la salvezza nell’hockey, sport per il quale dimostra un innato talento. Diventato giocatore professionista, una vera star, non riuscirà mai a scrollarsi di dosso il razzismo e la durezza di un mondo che non lo accoglierà mai del tutto. Una storia sulle difficoltà di accettazione e integrazione, raccontata dalla voce semplice e sincera di un ragazzo. Da questo romanzo è stato tratto un film diretto da Stephen Campanelli, acclamato al Toronto Film Festival.
Un altro bel romanzo è il romanzo vincitore del prestigioso premio letterario canadese ScotiaBank Giller Prize: Riproduzione, di Ian Williams

Riproduzione è un romanzo gioioso e poetico, una riflessione sui legami di sangue, sull’evoluzione del concetto di famiglia, sull’incontro tra culture diverse e sul delicato equilibrio tra la vita e la morte. Un’opera corale spumeggiante, dallo stile estroso e innovativo, che rompe gli schemi del romanzo tradizionale e cresce e si sviluppa imitando l’aspetto biologico e ricorsivo della riproduzione.
Sono gli anni Settanta a Toronto quando Felicia, studentessa diciannovenne proveniente da una piccola e non meglio identificata isola caraibica, e Edgar, viziato rampollo di una ricca famiglia tedesca, si incontrano in una stanza d’ospedale dove le loro madri sono ricoverate. Tra i due nasce una strana relazione che si interrompe bruscamente non appena lei rimane incinta.
Passano gli anni e Felicia e il figlio Army prendono in affitto il seminterrato dell’abitazione di Oliver, un uomo divorziato di origini portoghesi, padre di Heather e Hendrix. Army non ha mai conosciuto Edgar, eppure il legame genetico tra i due è innegabile: del padre ha gli stessi comportamenti, gesti e predilezioni, in particolare l’attrazione per i soldi e le donne.
Quarant’anni dopo il loro primo incontro, le strade di Felicia e Edgar – che nel frattempo ha conosciuto il figlio – si incrociano di nuovo, lì dove tutto era cominciato…

Quanto la faccia che abbiamo corrisponde alla persona che siamo? Cosa ci racconta una faccia della storia e della geografia da cui veniamo? Quanto ci dice delle possibilità che ci sono state concesse? O di quelle che ci sono state negate? L’osservazione della propria faccia allo specchio è per la scrittrice e sacerdote buddhista Zen Ruth Ozeki abile pretesto e preziosa occasione per raccontare alcuni frammenti della propria vita e formazione di bambina e poi ragazza cresciuta da madre giapponese e padre americano nel Nord America degli anni Cinquanta e poi Sessanta. Attenta alla tradizione Zen secondo cui “la tua faccia prima che nascessero i tuoi genitori” è la tua faccia originale, Ozeki inizia le sue divagazioni su identità e razza chiedendo: Che aspetto aveva la tua faccia prima che nascessero i tuoi genitori? Alla domanda risponde con questo breve memoir che è un’attenta esplorazione sociologica, politica, poetica, filosofica, spirituale e sentimentale.
Non mi resta che augurarvi un buon viaggio, fisico o letterario, negli splendidi scenari del Canada!

Ultimamente mi sono appassionata alla Munro.
Ho idea che il Canada sia un grande misconosciuto.
(E, non saprei dirti perché, ma me lo immagino un paese femmina).
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Forse perché c’è tanta natura, ed è un paese accogliente?
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Forse. Ma ci dev’essere altro, di più.
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Noto che non mancano autori famosi. Credo che più che altro non molti sappiano che sono canadesi, io su alcuni ero completamente all’oscuro.
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Infatti, magari sono conosciuti però, complice la lingua, si pensa che siano statunitensi. Oppure, per esempio, Saul Bellow che è naturalizzato americano, è nato in Canada….
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conosco bene la parte francofona del Canada, un paese davvero psettacolare per molte cose, ho letto soltanto il Racconto dell’ancella e Il mio biliardo, mi siono piaciuti entrambi e paradossalmente ho preferito la serie televisiva del Racconto dell’ancella al libro! bravissima come sempre
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Ho vissuto in Canada due anni, purtroppo lavorando molto ho avuto poco tempo per approfondire il suo lato letterario. Noto molti nomi famosi, che pensavo fossero statunitensi.. succede spesso anche in altri settori. Articolo che scaricherò e terrò da parte come una specie di vademecum. Alla tua amica che citava il Canada come paese “femmina”.. non ci avevo mai pensato. Sicuramente lo è lontano dalle pochi grande città, ma spesso anche in alcuni quartieri di Montreal, Toronto e Vancouver. Più passa il tempo e più mi accorgo che il più grande errore della mia vita è stato ritornare in Italia dal Canada… anche questo articolo me ne da una chiara e netta conferma.
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Lasciami dire che ti invidio… Due anni in Canada, una grande opportunità!! È un paese incredibile, uno di quelli in cui mi piacerebbe andare.
Un paese che ha molto da esprimere in termini culturali, grazie alla sua sensibilità ecologista e al mix di culture che lo compongono.
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Si è stata una grande opportunità in parte gettata al vento. La parte non gettata è stata capire che ci sono paesi al mondo in cui si vive molto meglio del proprio paese di origine e che la nostalgia è una nebbia ottusa che ti fa rimpiangere cose che o non esistono più o che vengono distorte dal fatto che le si è vissuto da bambini o da adolescenti/giovani.. quando si vive avvolti dalla famiglia e dalla scuola.
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Grazie, credo che le tue riflessioni possano essere utili a molti che magari stanno vivendo un’esperienza all’estero.
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Da viaggiatore uno dei paesi più belli da visitare
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Già, mi attrae molto 😊
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Bellissimo viaggio letterario :). Devo segnarmi Shields, specialmente se è brava quanto Atwood e Toews!
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Merita!
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Sono una grande estimatrice di Alice Munro, una delle più grandi scrittrici viventi, credo di aver letto tutto quello che ha pubblicato in Italia. Ha una sensibilità rara e una capacità narrativa straordinaria. Invece non amo molto la Toews, di cui ho letto due libri, I miei piccoli dispiaceri e Donne che parlano, carucci, sì, ma che mi hanno detto poco. Il racconto dell’ancella di Atwood l’ho trovato pesante e non mi azzardo ad affrontare I testamenti. La versione di Barney è uno dei pochissimi libri che mi hanno fatto piangere… E per finire voglio citare uno dei miei artisti rock preferiti, Neil Young, canadese: potete ascoltare le sue canzoni mentre leggete uno dei libri così accuratamente selezionati da Pina!
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Grazie per i tuoi sempre precisi commenti. Anche a me la Munro piace molto. E Neil Young, che dire.. Uno dei miei cantautori preferiti!
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Rock and roll can never die!
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Quanti autori famosi ha prodotto il Canada! Li riscopro nella tua bella recensione. Alcuni li ho sempre pensati semplicemente come ‘americani’, ad esempio William Gibson.
Sembra che il Canada sia un argomento che ultimamente calamita l’attenzione. Pensa che sto guardando la miniserie National Geographic “Pronti a Tutto” che racconta le vite degli abitanti della Nuova Francia degli anni ’90 del 1600. Un racconto duro e anche violento dove i ‘nostri ‘emigrati europei’ non ci fanno una gran bella figura. Un saluto e, pian piano, tornerò a leggerti con maggior continuità.
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Mi fa molto piacere ritrovarti tra queste pagine! 😊 Il Canada ci ha fornito una chiave di lettura di tematiche sociali e lettere che ci uniscono nelle letture. A presto!
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Suggerisco i libri di Douglas Coupland ambientati in Canada 🙂
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Grazie!!!
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Che galoppata, Pina! E io che ho ancora in lista, da leggere, Piovevano uccelli!
Ora rischia di venir scavalcato da Storia del Canada, che mi pare cornice necessaria.
Complimenti!
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Grazie cara Ivana 🤗 Piovevano uccelli però tienilo in caldo, che merita 👍👍👍 buona serata
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È vicino 😃
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👍👍👍 Sarò curiosa del tuo parere… Fammi sapere che ne pensi.
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Sono anche io una fedele lettrice della Murno, la mia scrittrice preferita per molti anni. Sono rimasta folgorata da lei fin dai primissimi racconti usciti in Italia. Fulminanti, precisi, intelligenti, spiazzanti, chiari e netti come la verità, illuminanti.. splenditi.
E La versione di Barney anche a me ha fatto piangere, ridere e piangere.
Qui finisce la mia cultura canadese, ho letto solo poesia dopo.
Attingerò dal tuo articolo adesso 🙂
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Beh direi che hai centrato due autori molto potenti. Il viaggio nel Canada letterario non finisce mai di affascinarmi: sto leggendo Wagamese, un romanzo stupendo, commovente, profondo, e un’immersione negli sconfinati spazi delle foreste, a contatto con la natura selvaggia.
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Ti seguirò 🙂
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