Come già detto nel post dedicato a Keller, Bottega Errante, Voland, continuo la rassegna di novità libresche in vista del Salone di Torino e, più in generale, per segnalare le uscite che mi sembrano più interessanti. La formula è sempre quella: 3X3, tre case editrici, tre pubblicazioni per ciascuna.

Cominciamo con Sellerio, la casa editrice nata a Palermo nel 1969, con un piccolo investimento da parte di Elvira ed Enzo Sellerio, celebre fotografo, sulla base di una idea nata parlando assieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta, l’antropologo. Sellerio ha un catalogo molto ampio, strutturato su diverse collane che trovate QUI. Al Salone di Torino li trovate al Padiglione 3, Stand P102-Q101/P116.
La casa editrice palermitana ha scoperto e pubblicato molti grandi nomi, a cominciare dallo stesso Sciascia, passando per Gesualdo Bufalino, Antonio Tabucchi, Andrea Camilleri (cinque milioni di copie vendute in Italia), Gianrico Carofiglio. E poi lei, Alicia Giménez-Bartlett: è suo il primo libro che vi segnalo.

Per i vicoli di Barcellona e dintorni tornano a investigare i due poliziotti Petra Delicado e Fermín Garzón, coppia amata del giallo mediterraneo, fondata su intuito e battibecco, al centro della serie Sky Cinema con Paola Cortellesi e Andrea Pennacchi, diretta da Maria Sole Tognazzi.

La donna che fugge, di Alicia Giménez-Bartlett, traduzione dallo spagnolo di Maria Nicola, pp. 448

Petra Delicado torna con un’indagine tra gli ambulanti dello street food, avventurieri per alcuni, ma che invece il vice Garzón considera solo «saltimbanchi senza tetto». Da qui, le schermaglie comico-giocose tra l’ispettrice e il suo aiutante, che danno il ritmo a tutta la serie di Petra. Un dialogo supportato dai riusciti personaggi di contorno, come ad esempio Bob Castillo, simpatico quarantenne che fin da subito li aiuta nell’inchiesta. Perché il suo socio è stato ucciso, accoltellato al cuore, proprio dentro al furgone che era il ristorante all’aperto di specialità francesi dei due e fungeva da casa su ruote.
Scavando, Petra e Garzón scoprono una ricevuta intestata a una francese. Ma la donna è irreperibile all’ultimo indirizzo conosciuto. Il suo passaporto è addirittura un falso. E risulta falso anche quello della vittima. Un «tunnel di cui non si vede l’uscita» che rafforzerebbe l’ipotesi del commissario Coronas, che cioè si tratti di un caso di criminalità organizzata.
Ma Petra non è convinta. Così, scarpinando in tutta l’immensità urbana e umana di Barcellona, insieme a Garzón si infiltra in un vero e proprio gioco d’ombre. «Inseguivamo due fantasmi, due fotografie in realtà». In un «procedurale» – secondo la classificazione narrativa dei polizieschi che raccontano passo per passo l’azione dei detective in tempo reale –, però ricco, oltre che di umori picareschi, di satira sociale. Petra Delicado, ispettrice della Policía Nacional di Barcellona, è una detective hard boiled al femminile immersa in un «giallo latino». È femminista, senza disdegnare cose quali l’intuito femminile: «In fin dei conti, quello dell’intuito femminile è uno dei cliché meno fastidiosi in circolazione».

Un viaggio nella storia del pensiero, nel passato e nel futuro della Terra, nei territori dove l’uomo incontra ciò che non è umano e si appresta a un dialogo.

Il senso della natura. Sette sentieri per la Terra, di Paolo Pecere, pp. 540

Un viaggio nella storia del pensiero, nel passato e nel futuro della Terra, nei territori dove l’uomo incontra ciò che non è umano e si appresta a un dialogo.

Guardare negli occhi un orango, un polpo, uno squalo balena. Mettersi in cammino per capire un deserto, una foresta o una catena montuosa attraversando le tradizioni del pensiero umano. Muoversi da New York alle Galápagos, dall’Islanda al Borneo, dal Ruanda al Tibet, per immergersi nella nostra casa, il pianeta che dobbiamo amministrare.
Un pianeta di cui bisogna scrivere il futuro: negli ultimi anni è stato riconosciuto l’impatto distruttivo della civiltà umana sulla natura, reso evidente da catastrofi climatiche, estinzioni di intere specie animali, desertificazione e scomparsa di paesaggi. Eppure, questa consapevolezza non produce alcun reale cambiamento nei nostri modi di vivere, nelle soluzioni adottate dalle società industriali per evitare la calamità. Al tempo stesso, assistiamo al diffondersi di un amore appassionato e di una profonda nostalgia per la natura incontaminata, rifugio dall’assordante disarmonia del mondo. È sicuramente un sentimento genuino, ma del tutto inadeguato a proteggere la Terra.
Da questa scissione paradossale, consapevole che la sola verità scientifica non sembra sufficiente a scuoterci, inizia il percorso di Paolo Pecere. Studiare e attraversare le città, con il loro apparente isolamento dall’ambiente e la loro dipendenza dalle risorse naturali, spostarsi sulle montagne e sotto gli oceani, esplorando l’origine della nostra coscienza, l’idea di un ordine cosmico, il rapporto tra umano e ciò che ci appare profondamente altro, diverso da noi, gli animali, le piante, l’acqua e la pietra, il paesaggio. Qual è oggi, allora, il vero senso della natura, quel sentimento che siamo chiamati a ritrovare o immaginare di nuovo? Potrebbe significare «amare chi non è come noi», oppure restare in silenzio e guardare il mondo attraverso occhi che non sono i nostri. O forse smettere di scrutare sempre e ossessivamente noi stessi.
La scoperta di una cura del mondo, una nuova definizione dell’ecologia, quella «scienza magnifica che è diventata triste», hanno bisogno di una visione del futuro che immagini altri modi di percepire la natura, e di un recupero della nostra memoria biologica che ci faccia avvertire l’unione indissolubile, vivente, organica e inorganica di tutto ciò che esiste sulla Terra.

A volte emerge un libro così originale, così maturo e senza tempo da farci pensare di aver scoperto un classico. Questa è l’opera prima dell’autore di Le transizioni e Gli invisibili, un esordio che ha sorpreso i lettori e la critica.

Il mio gatto Jugoslavia, di Pajtim Statovci, traduzione dal finlandese di Nicola Rainò, pp. 304

Negli anni Ottanta, in un villaggio della Jugoslavia, Emine è una giovane donna che spesso si scontra con le idee del mondo attorno a sé e con un padre severo e superstizioso. Per un capriccio, un uomo che conosce appena le chiede la mano, e lei in quel matrimonio intravede la possibilità di un cambiamento. Quando i Balcani in guerra si sgretolano, la famiglia fugge in Finlandia e la vita nel nuovo paese è dominata dalla paura e dalla vergogna.
Accanto a lei, il figlio Bekim cresce in una terra dove a chi viene da fuori si comanda di accontentarsi di poco e di essere grati. Il ragazzo rischia di diventare un emarginato sociale, è un immigrato ed è gay, in un paese sospettoso verso gli stranieri fino alla violenza. Quando gli chiedono il suo nome, spesso ne inventa uno. A volte finge di essere russo. I duri del posto gli sputano in faccia. È ossessionato dalla pulizia e distaccato non solo dai suoi compagni di scuola ma anche dalla madre, che a sua volta è alla ricerca di una identità e di un futuro diversi. A parte incontri occasionali, l’unico compagno di Bekim è un enorme serpente, un boa che lascia vagare liberamente per l’appartamento. Poi, una notte in un gay bar, il giovane incontra un gatto come nessun altro. Questa creatura parlante, capricciosa, affascinante e manipolatrice lo guiderà in un viaggio sconvolgente nel passato, verso il Kosovo e i suoi demoni, per dare un senso alla storia magica e crudele della sua famiglia.
Il primo romanzo di Pajtim Statovci è una continua sorpresa: un serpente letale, un gatto sprezzante e sexy; incontri online e matrimoni balcanici; il caos surreale dell’identità; le cose che cambiano quando cambia il nostro mondo, quelle che invece non cambiano mai; il catastrofico antagonismo tra padri e figli; l’attonito sentimento dell’amore. Statovci è uno scrittore di singolare originalità e potenza, e in questo suo esordio abbraccia la complessità del nostro mondo creando un’opera letteraria che possiede la forza di un classico del futuro.

Passiamo ora ad Iperborea, la casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia. Primi a esplorarla in maniera sistematica, hanno potuto farlo con vasta libertà di scelta e una produzione di altissima qualità, che spazia dai classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni, alle voci di punta della narrativa contemporanea.
Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia), Iperborea pubblica letteratura baltica, nederlandese, tedesca, canadese, islandese (incluse le antiche saghe medioevali).
Una CE facilmente riconoscibile grazie anche al formato scelto e alle grafiche di copertina affidate a grafici ed illustratori di fama. Al Salone di Torino li trovate al Padiglione 2, Stand K51.

Il primo libro che vi segnalo è di uno degli autori più amati del loro catalogo, autore che anch’io apprezzo molto.

Un romanzo d’ispirazione apertamente autobiografica del più amato scrittore islandese contemporaneo: una storia su come la vita può essere salvata dalla passione per i libri e per la poesia.

Il mio sottomarino giallo, di Jón Kalman Stefánsson, traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini, pp. 416

È estate in un parco di Londra, quando a uno scrittore islandese di passaggio sembra di vedere nientemeno che Paul McCartney, seduto sotto un albero. Deve avvicinarlo, ma cosa dirgli? Come riordinare il groviglio di una vita che ai Beatles si è aggrappata nei momenti più difficili? Forse la storia comincia nel 1969, quando lo scrittore aveva sette anni e il padre sulla sua Trabant, più imbarazzato che commosso, gli disse che mamma era morta, lasciando al figlio i suoi dischi, i suoi libri e un vuoto enorme. Poi arriveranno una matrigna, l’appartamento in uno squallido condominio di Reykjavík, i silenzi ostinati di un padre alcolista, lo scioglimento dei Beatles, l’immersione nella Bibbia e la scoperta amara del dio crudele dell’Antico Testamento. Il suo mondo è crollato e di lui si impossessa un furore senza nome, mitigato soltanto dalla solitudine e dalle lunghe estati trascorse nei selvaggi Strandir, nel Nord dell’Islanda, dove fantasia e realtà si confondono, i Beatles si riuniscono e i morti tornano, a implorare di non essere dimenticati. E se la vita è «una ferita che non si rimargina mai», il bambino si fa adulto e scopre la poesia chiuso nella biblioteca di Keflavík, conosce l’amicizia e impara a leggere il silenzio, forse anche quelli del padre. In un romanzo dove l’ispirazione autobiografica si mischia ad allucinazioni magiche, tra salti nel tempo e da un continente all’altro, Jón Kalman Stefánsson ripercorre a cuore aperto una vita intensa come tante e, munito solo di una penna che sa trovare la speranza quando tutte le luci si spengono, accompagna il lettore nei suoi luoghi oscuri.

Il grande Nord, di Malachy Tallack, traduzione dall’inglese di Stefania De Franco, pp. 256

Le Isole Shetland sono roccia e torba, mare, tempesta. È qui che vive Malachy Tallack, ed è da qui che – qualche anno dopo la morte del padre e la nascita nell’animo di una perpetua nostalgia di casa che è anche continuo bisogno di andarsene – parte per un viaggio intorno al mondo lungo il sessantesimo parallelo nord.
Ai piedi del Quassik, la montagna dei corvi in Groenlandia, davanti allo spettacolo degli iceberg nella baia di Nanortalik, scopre la bellezza caduca dell’Artico. A Fort Smith, in Canada, dove l’attrazione più importante sono le Rapide degli Annegati e nelle foreste gli orsi sono fantasmi in agguato, incontra un vecchio libraio danese che, alla ricerca di una comunione profonda con la natura, si è spinto sempre più a nord fino ad approdare lì, ad almeno trecento chilometri da tutto il resto.
È la stessa pulsione che porta frotte di turisti in Alaska, prima sulle sponde del fiume Kenai per fotografare la risalita dei salmoni rossi e poi su una delle tante imbarcazioni che promettono escursioni in un mondo incontaminato, reso però impossibile proprio dai clic delle loro macchine fotografiche. È così il grande Nord, terra di miti solenni e tragici: promette agli estranei miraggi di purezza, ma per chi lo abita – come gli eveni della Kamčatka, che grazie alle renne convivono da sempre in delicato equilibrio con i ghiacci della Siberia – è semplicemente casa.
E casa, come il Nord, non è solo un luogo: è uno stato dell’anima, capisce Tallack sulla nave da carico che lo riporta alle Shetland su un mare in tempesta, «un processo di consapevolezza del luogo in cui è coinvolto il cuore».

Infine vi segnalo il numero di The Passenger dedicato alla Sicilia.
AUTORI: Vanessa Ambrosecchio, Stefania Auci, Veronica Caprino, Colapesce, Giacomo Di Girolamo, Viola Di Grado, Claudia Durastanti, Davide Enia, Arnon Grunberg, Fabio Lo Verso, Piero Melati, Costanza Quatriglio, Evelina Santangelo, Gaetano Savatteri.
FOTOGRAFIE: Roselena Ramistella e Alterazioni video (Alla ricerca del cemento perduto).
ILLUSTRAZIONI: Edoardo Massa.
pp. 192

Concludiamo il 3X3 di oggi con e/o editore, che tutti conoscono per essere l’editore di Elena Ferrante e della saga de L’amica geniale, best seller mondiale. e/o è uno degli editori che maggiormente “saccheggio” nel senso che mi piace molto perché offre autori di tutto il mondo, oltre che italiani, con una scelta qualitativa davvero impressionante.
Al Salone di Torino li trovate al Padiglione OVAL, Stand U38.

Le Edizioni e/o nascono a Roma nel 1979, fondate da Sandro Ferri e Sandra Ozzola, accomunati da una forte passione per la politica e per i buoni romanzi.
Ai suoi inizi e/o è una piccola azienda a conduzione familiare. La famiglia si allarga da subito con la collaborazione e l’amicizia di straordinari professionisti e intellettuali da Grazia Cherchi a Goffredo Fofi, a Domenico Starnone e Anita Raja. La casa editrice è sin dal principio l’espressione della volontà di creare ponti e brecce nelle frontiere letterarie per stimolare il dialogo tra le culture. Ciò a partire dal nome “e/o”, che sta per “e/oppure” ma anche per “est/ovest”, e dal logo con la cicogna, l’uccello migratore che viaggerà nel mondo portando storie per i decenni successivi.
L’esplorazione di mondi letterari meno conosciuti ha portato negli anni le Edizioni e/o a scoprire opere e autori di grande interesse e originalità, approdando nei paesi del sud del mondo come i Caraibi del cubano Pedro Juan Gutiérrez o l’Africa di Chinua Achebe e Ahmadou Kourouma, fra i più grandi autori dei rispettivi paesi. Negli ultimi anni hanno esplorato le letterature dal Medio Oriente al Giappone, con grande attenzione a tutta l’area mediterranea.

Con i loro libri si viaggia tra i vari continenti, quindi vi propongo tre libri che vi porteranno in giro per il mondo.

Un libro che ci mostra come l’amore e la solidarietà possano sorgere dalle ombre dell’oscurità, illuminando la forza umana nel mezzo della tragedia.

Trent’anni fa, nell’aprile-luglio 1994, si compiva in Ruanda il genocidio contro i Tutsi, costato un milione di morti. Fu il più grave crimine contro l’umanità della seconda metà del Novecento. I giovani scampati a quella catastrofe, rimasti senza nessuno, profondamente feriti nell’anima, inventarono una forma di sopravvivenza unica al mondo. Formarono delle “famiglie d’elezione”, unendosi e nominando tra di loro un padre e una madre che assumessero nella loro vita quei ruoli perduti per sempre. Una di queste famiglie si è formata tra persone che il destino ha portato a vivere e incontrarsi in Italia. Riunisce donne e uomini che al momento del genocidio non si conoscevano, avevano età diverse, dai quattro ai 33 anni, e vivevano in luoghi e contesti differenti all’interno del loro paese. Trent’anni dopo, nove di loro hanno deciso di testimoniare in prima persona la propria storia, componendo un racconto corale di dolore, tragedia, ritorno alla vita, amore e speranza. Un documento unico che ci aiuta a conoscere e a ricordare.

Il romanzo racconta la vita della liceale Akari, distrutta dopo che l’idolo di cui è follemente innamorata finisce al centro di uno scandalo.

Akari, sedici anni, sta attraversando un periodo difficile. Non trae beneficio da nessun tipo di relazione con gli altri, né in famiglia né a scuola, e sembra anche avere qualche difficoltà d’apprendimento. Ma è una fan provetta: segue e cataloga ossessivamente ogni cosa che riguardi il suo idolo, Masaki.
Il romanzo si apre con un diverbio tra Masaki e una fan: Masaki perde le staffe e, travolto da un’ondata di critiche da parte del pubblico, è costretto a ritirarsi. Akari è persa. Non ha idea di come riprendere in mano la sua vita. Amava parlare di Masaki come di una sorta di “colonna”: il suo intero mondo ruota attorno a lui. Il resto della sua vita è allo sfascio, ecco allora che quando la “colonna” scompare, Akari cade preda della disperazione. Prova a scoprire dove abita Masaki ma non fa che sprofondare ancora di più nella tristezza.
Così comincia a rimettere in ordine la sua stanza, ridotta a luogo di solitudine e di caos. È un inizio. Per un po’ riuscirà a malapena ad alzarsi da terra, ma a poco a poco Akari saprà muovere i primi passi per costruirsi una nuova “colonna”…

Il 7 ottobre e la punizione collettiva contro Gaza lasceranno tracce profondissime nelle già lacerate società israeliane e palestinesi. Gli interventi qui raccolti affrontano quel che è successo in questi mesi secondo il prisma dell’antinazionalismo e della necessità di superare le diverse forme di disumanizzazione e solidarietà selettiva maturate in decenni di occupazione e apartheid. Non per approdare ad un impossibile equilibrismo, ma per provare a capire quali forme di coesistenza siano possibili al di là dello Stato-nazione.

Buone letture!