Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

La locanda ai margini d’Europa

INCIPIT

PRIMA PARTE

SEMI NELLA PIETRAIA

La tribù di confine

Un passo, più in silenzio che si può.
La grossa pietraia e le foglie delle querce sfrigolarono.
Un altro passo, ma in silenzio.
«In silenzio».
Passi di velluto, passi su piedi con calli da bestia, piano,
più piano che si può.
Li fecero i lupi, sniffando intrusi nel bosco vergine.
Li fece la tribù degli antenati, forse mille anni fa, alla fine di un inverno, giunta qua dopo mesi, anni e secoli di
cammino del popolo, dopo aver lasciato figli, fratelli e nonni nei villaggi dietro di loro, a est, a nord.
Passi di lupo, uomini, donne e bambini, pecore, vacche, maiali, qualche asino e qualche cavallo: zampe di fuliggine, piedi nel cuoio, piedi scalzi, zampe candide, zoccoli grigi sulla grossa pietraia.
«Ci sono i lupi, procediamo in silenzio, non fate rumore,
passo silente, passo felpato».
Le querce e le pietre sfrigolarono, ascoltarono e mormorarono.
Benvenuti.
La tribù raggiunse la sommità del colle guidata dai passi incerti di un’anziana. Si fermarono nei pressi dei ruderi di una fortezza antica quanto centinaia di generazioni, ormai mangiata dai rovi e dal bosco di querce. Qui, si fermarono.
L’anziana si chinò. Si accovacciò per terra, una smunta roverella esausta dal vento. Una bambina scalza, di nome Deva che piangeva per conto suo, per il freddo e la fatica, le salì in braccio. L’anziana massaggiò i piedi doloranti della bambina.
Un uomo della tribù si avvicinò.
La vecchia, la bambina e l’uomo alzarono tutti e tre gli occhi.
«Da una parte la neve dei monti, dall’altra il mare» disse lui.
Fu l’ultima immagine che la donna vide. La mano della bambina fu l’ultimo calore che provò.
Deva pianse, appoggiata a una quercia. Scese una fitta pioggia e si mischiò alle sue lacrime. Le bestie leccarono la pozzanghera. I bambini vi saltarono dentro, mischiandosi alle bestie. Poi l’acquazzone finì. L’acqua venne risucchiata dalle viscere del suolo.
Accesero un fuoco per piangere la donna, per scaldarsi, per ammonire i lupi.
Le donne si misero in cerchio, nascoste al mondo, riscaldate dalle fiamme.
Grazie al legno dei grandi alberi costruirono il primo circolo di capanne e con l’erba tagliata fecero i tetti. Poi, usarono i cumuli di pietra della vecchia fortezza per costruire mura intorno al villaggio e tenere fuori lupi, vagabondi, predatori.
Qui, scelsero di rimanere.
Deva, quella bambina, divenne una ragazza. Giunsero altre famiglie sulla collina. Con loro arrivò un giovane, quello che sarebbe stato lo sposo di Deva. Si chiamava Devač. Ebbero figli, nipoti e discendenti1. Alcuni membri della tribù si spinsero ancora più a ovest, oltre le pietraie, oltre il fiume Isonzo che le lambiva, nella pianura. Ma per la gran parte degli sloveni il lungo viaggio da oriente condotto per generazioni era finito proprio lassù, su questo colle. Iniziarono a chiamare il colle per quello che era: Debela griža, cioè la Grossa Pietraia, l’ultimo avamposto a sudovest per tutti i popoli slavi.

Enrico Maria Milič

Recensione