Una volta Ivo le aveva detto: Quest’idea che ci hanno inculcato, di dover essere felici, è un castigo. Chi ce l’ha inculcata?, aveva chiesto Nada. Sei figlio di una prostituta, sei scappato da una guerra, ma chi ti ha inculcato a te l’idea di dover essere felice? Boh, un certo cinema, aveva detto, certe storie. E quella cazzo di Costituzione americana. Lei si era piegata in due dalle risate. Non abitiamo in America, gli aveva risposto.
Mi limitavo ad amare te, pag. 261
Mi limitavo ad amare te, di Rosella Postorino, Feltrinelli editore 2023, pp. 351
Il nuovo romanzo di Rosella Postorino è un racconto toccante che prende spunto da storie vere, quelle dei bambini profughi dalla guerra bosniaca, durante il conflitto che ha insanguinato i Balcani, subito dopo il crollo della federazione jugoslava. Una trama che la Postorino ha costruito mettendo insieme i racconti di coloro che ha incontrato, intervistato, coi quali ha sviscerato il loro passato, intessendo con sensibilità e bravura un romanzo vibrante, coinvolgente, mai commiserevole.
Il racconto inizia nel 1992 quando Sarajevo è sotto assedio, e un pugno di bambini e adolescenti asserragliati nell’orfanatrofio di Bjelave tenta di sopravvivere ai cecchini che sparano dalle montagne, alle granate, alla fame, alla paura; una città fantasma, in cui persino uscire per andare a cercare cibo può trasformare una persona in un bersaglio; una città in cui mancano acqua, elettricità, generi di prima necessità, medicine. I ragazzi vivono in un orfanatrofio, accuditi da qualche volontario, cercano ciascuno a suo modo di resistere, fin quando anche quel luogo viene preso di mira dalle granate. E allora bisogna tentare di mettere in salvo i suoi occupanti.

Nell’estate del 1992 i ragazzi prelevati dall’orfanatrofio, a cui si sono aggiunti ragazzini che una famiglia ce l’hanno ma vogliono farli fuggire dalla guerra, vengono caricati su un pullman scortato dalle forze dell’Onu, e vengono mandati in Italia. Sono diversi per età, ceto sociale, religione: sono spaventati, alcuni hanno dovuto separarsi dai genitori, altri si sono protetti a vicenda nell’istituto, alcuni non sognano altro che integrarsi nel nuovo paese e dimenticare la paura e la fame, altri pensano in continuazione a chi è rimasto indietro in quell’inferno.
Tra chi non voleva partire per non lasciare la madre c’è Omar, che seppure legato al fratello maggiore Sen, è in pena per lei. Ma Sen non ne vuol sentire parlare, della madre: per lui, lei li ha abbandonati, non ha voluto tenerli con sé e allora perché mai darsi pena per lei?
Nel gruppetto c’è anche Nada, il cui nome in bosniaco significa speranza, mentre in spagnolo – come le dice il fratello per canzonarla – vuol dire niente; ed è così che spesso si sente, un niente; lei non ha più l’anulare, e per questo alcune bambine la prendono in giro ma ciononostante, lei è convinta che quella sua mutilazione rappresenti la sua essenza. Suo fratello Ivo non può partire, ha diciotto anni ed è costretto ad arruolarsi. Sul pullman Nada conosce Danilo, di qualche anno più grande, che le si siede di fianco e che cerca di rassicurarla. Danilo è figlio di due giornalisti, padre serbo, madre bosniaca: fino ad allora i matrimoni misti non erano stati un problema, le diverse culture avevano convissuto per secoli in quella città. Ma ora tutto è diverso. E suo padre lo ha spinto a fuggire, mentre lui, la moglie e la figlia piccola sono rimasti Sarajevo. La storia del legame tra Omar, Nada e Danilo inizia durante il drammatico viaggio.
Il pullman si inerpica per strade impervie all’interno, nella speranza di sfuggire ai posti di blocco, ma nessuno può uscire dal paese senza rischiare la vita. Dopo un lungo e pericoloso viaggio, i ragazzi arrivano in Italia, dove vengono portati in un centro di accoglienza. Sarà come una vacanza, poi torneremo a casa, continuano a ripetersi i ragazzi per convincersi che tutto questo disagio alla fine sarà solo un ricordo. Alcuni faticano ad adattarsi alle regole della struttura, alle imposizioni, si sentono come prigionieri. Altri cercano subito di adattarsi, altri rifiutano tutto, come Omar, che si rifugia su un albero, e che dopo lo scoppio della granata in cui aveva perso di vista sua madre, ha perso anche l’appetito. Per Omar questa partenza rappresenta una spaccatura, l’essere strappati alle proprie radici, alla lingua, a quell’unico legame familiare; e se per altri può essere vista come una salvezza da un destino peggiore se fossero rimasti in patria, per lui è una salvezza dolorosa, forzata, da pagare a duro prezzo.
Omar non conosce gli orrori che intanto avvengono nella sua città e in tutta la Bosnia; li conosce invece Azra, la madre giornalista di Danilo – a cui si ricongiungerà dopo alcuni anni quando la donna, accompagnata dalla figlia più piccola, arriverà in Italia -; tra i suoi scritti, Danilo trova un taccuino, una specie di diario dell’orrore, in cui la donna, tormentata da ciò che ha visto e sentito, rivela la realtà. Le pagine del suo taccuino sono riportate nel romanzo, alternate ai capitoli della trama.
Dopo alcuni mesi, Omar e Sen – come altri bambini – vengono dati in affidamento a una coppia di Monza. Mentre Sen si affeziona ai genitori adottivi e accetta la sua nuova vita come una opportunità, Omar scappa di casa, fa uso di droghe e si mette a vivere di espedienti finendo anche in prigione. Il suo è un atto di ribellione autolesionista, la ferita lasciata dal trauma della separazione non si rimargina. Omar continua a pensare che sua madre sia viva, sia ancora a Sarajevo, e per quanto possa essere imperfetta, è solo con lei che desidera ricongiungersi.
Danilo si rivela un bravo studente; in Italia studia legge e si riunisce con la madre e la sorella, traumatizzate gravemente dalla guerra. Nada invece rimane a vivere nella struttura che li aveva accolti; il suo carattere solitario l’ha sempre portata ad isolarsi, non si è mai del tutto inserita a scuola dove fatica a progredire; l’unica sua passione è il disegno. Lei è il punto di unione, tra Danilo e Omar, è il vertice di un triangolo affettivo: anche se non si vedono per periodi lunghi, i due sono attratti da lei e traggono forza dalla sua presenza e dal suo silenzioso carisma.
Il libro è cronologicamente strutturato in quattro parti, a partire dal 1992-93 fino al 2010-11, una ventina d’anni durante i quali i ragazzini di Sarajevo diventeranno uomini e donne. E nonostante tutto, rimarranno appesi ad un filo che li unisce e li unirà per sempre; le loro traiettorie, che si sono incrociate quando erano bambini, continueranno a intersecarsi, con qualche strappo, anche doloroso, ma anche con tanta speranza.
Ci sono persone che sfidano la morte semplicemente vivendo, nel modo più intenso possibile: dato che prima o poi la morte trionfa, fino a quell’attimo ha senso solo essere vivi per davvero, con tutta la prepotenza del corpo. Ce ne sono altre, invece, che in uno stato prolungato di emergenza perdono ogni desiderio.
Mi limitavo ad amare te, pag. 281
Mi limitavo ad amare te è un romanzo di formazione e una storia di destini familiari, un libro che dà voce ai bambini che hanno conosciuto la guerra, bambini che poi sono diventati adolescenti, e adulti, che quella guerra se la sono portata dentro, per sempre; è anche un libro che parla di maternità declinata attraverso madri che si separano dai loro figli per proteggerli, madri che dopo aver visto l’orrore non ce la fanno ad andare avanti, madri che hanno abbandonato i propri figli, madri adottive piene di dubbi e fragilità, madri sole.

Rosella Postorino affronta con grande coraggio e sensibilità un contesto doloroso come quello che si è venuto a creare durante e dopo il conflitto in Bosnia. Lo ha fatto con lucidità, senza indulgere in sentimentalismi o scivolare in una sterile esibizione del dolore. Come Margaret Mazzantini in “Venuto al mondo“, come Elsa Morante nel capolavoro “La storia“, ci racconta la Storia attraverso le persone comuni; racconta l’assurdità della guerra, la cieca violenza che scatena, le ferite che mai potranno rimarginarsi. gli effetti devastanti che si riverberano sul futuro di chi riesce a sopravvivere; racconta lo sradicamento, il dolore di madri e figli. Racconta di quei bambini che rimangono da soli, anche quando – come nel caso dei protagonisti – vengono tratti in salvo, bambini che creano una rete di legami tra loro che li possa tenere in vita, come accade tra Omar, Nada e Danilo.
Sotto riporto il testo della poesia da cui prende il titolo e che troviamo in un significativo dialogo; una scelta quanto mai azzeccata, questi versi rispecchiano l’essenza del romanzo. Nel testo ci sono diversi rimandi letterari, che l’autrice specifica in appendice.
Cerco una strada per il mio nome
Passeggio per la città della nostra giovinezza
e cerco una strada per il mio nome.
Le strade ampie, rumorose
le lascio ai grandi della storia.
Cosa facevo io mentre durava la storia?
Mi limitavo ad amare te.
Cerco una strada piccola, semplice, quotidiana,
dove, senza dare nell’occhio al mondo
possiamo passeggiare anche dopo morti.
All’inizio essa non deve avere molto verde,
neppure i suoi uccelli.
È importante che in essa, sfuggendo alla persecuzione,
possano sempre trovare rifugio sia l’uomo che il cane.
Sarebbe bello se fosse lastricata,
ma, in fondo, neppure questa è la cosa più importante.
La cosa più importante è questa
che nella strada col mio nome
mai a nessuno tocchi una disgrazia.
Izet Sarajlić (1968)
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.
Per approfondire la vicenda dei bambini di Bjelave vi consiglio questo articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Proposto da Nicola Lagioia al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Nell’ultima decade del Novecento ci siamo cullati nell’illusione che la Storia, intesa come catena ininterrotta di atrocità, violenze e prevaricazioni – «uno scandalo che dura da diecimila anni», diceva Elsa Morante – fosse finita. Eppure bastava guardare alla ex Jugoslavia, al di là dell’Adriatico, per avere la conferma del contrario: una guerra rimossa in tempo reale trent’anni fa, e dimenticata poi. Con Mi limitavo ad amare te, Rosella Postorino decide di tornare a quei tempi tutto sommato recenti, e a quel conflitto, proprio mentre un’altra guerra (qui c’è il potere anticipatorio di certi scrittori) torna a scuotere l’Europa. Nel suo romanzo, Postorino pratica con grande sensibilità e forza narrativa una lezione letteraria sempre valida: i veri testimoni del tempo sono le sue vittime, chi porta addosso le cicatrici della Storia ne è il testimone più attendibile. Ma i testimoni di questo tipo quasi sempre non hanno voce, e così la letteratura svolge un fondamentale ruolo vicario: raccontare per chi non può farlo. Poiché la forma romanzesca, per sua natura, è tuttavia in grado di giocare contemporaneamente più partite, ecco che quello di Postorino, oltre che un romanzo storico, riesce a essere anche un toccante romanzo famigliare e di formazione, capace di farci riflettere e scuoterci nel profondo. Le vicende dei protagonisti diventano le nostre in poche pagine. Il premio Strega può essere un’ottima occasione perché Mi limitavo ad amare te entri al meglio nel dibattito letterario di quest’anno.»

Rosella Postorino
Cresciuta a San Lorenzo al mare (IM), vive a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula (Ragazze che dovresti conoscere, Einaudi Stile libero 2004), ha poi pubblicato alcuni racconti e un saggio di critica letteraria, Malati di intelligenza (nell’antologia Duras mon amour 3, Lindau 2003). Il suo primo romanzo, La stanza di sopra, uscito a febbraio 2007 per Neri Pozza Bloom, è entrato nella rosa dei tredici finalisti del Premio Strega e ha vinto il Premio Rapallo Carige Opera Prima e il Premio Città di Santa Marinella. Tra le sue collaborazioni: la Repubblica e Rolling Stone.
Ha pubblicato inoltre L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018; Premio Campiello, Rapallo, Pozzale Luigi Russo, Vigevano Lucio Mastronardi, Chianti, Wondy, Sogna Lib(e)ro e, in Francia, Prix Jean Monnet; Libro dell’anno per i gruppi di lettura di Fahrenheit Radio Tre). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015). Nel 2019 esce Tutti giù per aria, edito Salani. Sempre con Salani pubblica nel 2022 Io, mio padre e le formiche. Lettera ai ragazzi sui desideri e sul domani. Nel 2023 esce per Feltrinelli il romanzo Mi limitavo ad amare te.
Fonte immagine: Feltrinelli editore
Bellissimo
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Davvero un bel romanzo.
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Diffido un po’ di Postorino… Lessi anni fa Le assaggiatrici, potenzialmente una storia interessantissima, di cui apprezzai, nella prima parte, l’insistenza sul corpo e su tutto ciò che lo riguarda (quindi il cibo, la possibilità di essere avvelenati, ma anche il mestruo e altri aspetti molto materiali); tuttavia a un certo punto il romanzo virò verso la storia d’amore, anche un po’ trita, e questo mi deluse profondamente
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Non ho letto Le assaggiatrici, questo è il primo suo romanzo che leggo. Mi ha impressionato molto favorevolmente.
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Nel complesso il romanzo mi è piaciuto, ma alcuni personaggi li ho trovati poco credibili, in particolare mi riferisco a Sen e Meri.
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Ciao Anna, in effetti Sen risulta una personalità contraddittoria, in certi momenti anche opportunista, però credo che l’autrice in quel personaggio volesse proprio concentrare dei tratti problematici, per mostrare come il disagio poi condizioni le persone.
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