Marcel Rieder nacque a Thann nel 1862, in una abbiente famiglia alsaziana. Suo nonno Jean Jacques Rieder era un ministro della chiesa protestante di Temple Neuf a Strasburgo. Marcel Rieder studiò alla Scuola di Belle Arti di Parigi . Divenne membro della Société des Artistes Français nel 1894 e partecipò quasi tutti gli anni fino al 1939 al “Salon de Paris”.
Rieder sposò Marie Poiriault il 25 giugno 1903. Il loro figlio, Jean, nacque nell’agosto del 1906.
Lo stile pittorico di Rieder è rimasto realistico per tutta la sua vita. Inizialmente fu influenzato dai Simbolisti, come dimostra il suo dipinto Dante pleurant Béatrice (Dante che piange per Beatrice) – a fianco -, ora al Musée de Mulhouse.
Dal 1894 il suo stile cambiò, e i dipinti di Rieder divennero famosi per le loro scene interne pacifiche e intime di stanze illuminate da lampade a olio o illuminazione elettrica. Ha anche dipinto paesaggi crepuscolari. Come membro della Société Bach di Parigi, Rieder conobbe Albert Schweitzer: il suo ritratto del medico è esposto nel museo dedicato a Schweitzer.
Rieder trascorse la maggior parte della sua vita a Parigi, ma nel 1927 si ritirò a Busseu vicino a Fontainebleau. Rieder scherzava sul fatto di essersi avvicinato a uno stile pittorico “impressionistico”, a causa della vista e dei tremori che affievolivano l’abilità delle sue mani. Morì a Villiers-sous-Grez il 30 marzo 1942.
Quando vedi questi quadri stupendi hai la prova dello stile cui si era ancora abituati – e che qualche volta ancora piace oggi, non senza ragioni – così che si capisce la brutta impressione che allora dovettero fare gli impressionisti: con quella battuta, Rieder ci fornisce un ultimo ritratto, stavolta verbale, quello di un momento di passaggio fra due epoche; in questo caso, visto dall’altra parte. È curioso come, dopo tanti anni di avanguardie, alla fine gli impressionisti ci sembrino quasi i meno dirompenti di tutti: è allora che la battuta di Rieder ci rimette in prospettiva. So che come riflessione è un po’ teorica e a margine, rispetto all’artista in sé, ma nell’arte c’è anche questo 😉
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E’ un’ottima riflessione, che ci spinge a pensare a cosa e come gli impressionisti vollero dare una loro scossa. L’arte, credo, trovi la sua ragione d’essere proprio nel cambiamento, anziché nella staticità. Farsi precursori di un nuovo e diverso modo di esternare il proprio mondo interiore è compito degli artisti, in tutti i campi, e a chi ne è spettatore a volte ciò può apparire spiazzante, ma le generazioni successive, anche le più prossime, troveranno normale o illuminante ciò che prima era visto come assurdo.
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In questo tutti gli stili si somigliano: mi viene in mente la fredda accoglienza che il gotico ricevette in Italia al suo nascere – anche il nome, affibbiatogli dal Vasari, lo testimonia – o, in letteratura, il nome spregiativo dato da un critico a certi poeti di fine Ottocento, appunto i crepuscolari. Poi, pian piano, ci si ambienta come in mare.
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quanta serenità in questi dipinti pina…i colori sfumati in calde tonalità regalano pace…buondì carissima
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mi colpisce molto come la resa esteriore sappia magistralmente rendere viva l’interiorità delle persone ritratte
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esatto in fluidità continua…
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quante belle cose da leggere in “casa” tua! proprio contenta di averti incontrato, di nuovo, ogni augurio armonioso e sereno. Margot, un pastello blu.
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